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L’infermiere in ambito oncologico: una sfida con se stessi

di Domenico Perna

L’Infermiere che si rapporta con pazienti affetti da tumore inizia la sua azione assistenziale contemporaneamente al sopraggiungere della diagnosi infausta. Esso si troverà a percorrere le tappe che porteranno ad un trattamento della stessa patologia insieme al sofferente. L’assistito, dal canto suo, attraverserà diversi stati d’animo che andranno dalla paura alla disperazione, giungendo man mano ad una accettazione della condizione. Spesso possono essere presenti anche delle forme di umore depresso.

Secondo l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) in Italia vengono diagnosticati circa 1000 nuovi casi di tumore all’anno, con una percentuale maggiore nel sesso maschile (54%) rispetto a quello femminile (46%) come riportato dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM).

Ospedale, hospice e assistenza domiciliare alcuni campi d’azione

Assistenza a paziente oncologica

Purtroppo, nonostante la tecnologia avanzata e i passi da gigante fatti dalla medicina, ancora non si è arrivati a capire la causa vera e propria e il perché una persona si ammali di tumore, anche se ci sono alcuni fattori di rischio che possono favorire l’insorgenza di malattie neoplastiche come, ad esempio, pratiche legate allo stile di vita (fumo, alcol e alimentazione non corretta), cause esterne (inquinamento atmosferico e ambientale) e, ovviamente, una predisposizione genetica che purtroppo in questo caso non può trovare accorgimenti.

Nonostante con gli anni la percentuale di guarigione sia aumentata in modo significativo, molte volte la malattia è impossibile da curare, anche perché nella maggior parte dei casi si arriva a conoscenza della patologia quando essa è già in uno stato avanzato.

Quando ormai la prognosi diventa innegabile, nel sofferente scattano una serie di situazioni che turbano molto la persona da un punto di vista psicologico, affettivo e sociale, visto che da lì in poi potrà subire un cambiamento radicale, immediato o graduale che sia.

L’infermiere che si rapporta con pazienti che scoprono di avere patologie neoplastiche comincia proprio dal momento in cui arriva la diagnosi, perché si troverà a percorrere le tappe che porteranno ad un trattamento della stessa patologia insieme al sofferente, il quale attraverserà diversi stati d’animo che andranno dalla paura alla disperazione, giungendo man mano ad una accettazione della condizione oppure ad una forma molto brutta di depressione.

Ecco che quindi la figura dell’infermiere entra in scena subito ed è compito suo attuare tutte le pratiche possibili per evitare il sorgere di forme di depressione nell’assistito, indirizzando lo stato d’animo del paziente verso l’accettazione.

L’infermiere è chiamato a supportare emotivamente il sofferente cercando di stargli vicino il più possibile in tanti modi: attraverso l’ascolto, il dialogo, la disponibilità all’aiuto. Tutti ingredienti necessari per garantire al sofferente la dignità che ogni essere umano merita fino all’ultimo istante della vita.

L’infermiere che lavora in ambito oncologico è una figura che si può ritrovare in ambienti diversi: ospedale, hospice, assistenza domiciliare e cure palliative.

L’infermiere che lavora in ambito ospedaliero è una figura professionale molto delicata che deve riuscire ad integrare la parte scientifica e assistenziale con quella umana ed empatica. Spesso lavora in contesti in cui l’ambiente lavorativo è carico di pressioni emotive e può risultare difficile da affrontare dal punto di vista psicologico. È anche vero che a livello professionale queste esperienze possono accresce il bagaglio del professionista, sia da un punto di vista prettamente tecnico e pratico che da uno squisitamente umano.

L’area oncologica è una delle più vaste ed abbraccia molte competenze che l’infermiere in oncologia può e deve essere in grado di svolgere.

Durante il periodo di ricovero in ospedale si dà priorità soprattutto al trattamento terapeutico. La chemioterapia e la radioterapia sono tipologie di cura molto forti, aggressive e provante per il paziente; è necessario un maggiore controllo rispetto ad altri tipi di terapia, anche perché gli effetti collaterali che questi interventi producono sono molto importanti e spesso persistono per svariati giorni.

Finito il trattamento terapeutico molte volte il paziente viene dimesso dall’ospedale, cosa che nella maggior parte delle circostanze viene accettata di buon grado dai familiari visto che si arriva ad un punto dove non conta più guarire o meno dalla patologia, ma vivere con dignità e tranquillità il resto della vita diventa una prerogativa per tutto il nucleo familiare che assiste il sofferente di tumore.

L’infermiere in ogni fase del percorso di assistenza al malato oncologico può svolgere il ruolo attivo di facilitatore e incentivatore delle abilità residue per la famiglia e i caregivers. Può capitare che la rete territoriale non sia sempre pronta ad accogliere ed assistere nel modo più adeguato le persone con problematiche legate a queste patologie.

Parlando sempre di strutture, anche l’hospice nasce per riservare cure ai pazienti oncologici specialmente negli ultimi istanti di vita, quando nemmeno l’assistenza domiciliare riesce a coprire tutti i fabbisogni gestionali del paziente, perché le condizioni cliniche peggiorano vistosamente e anche i caregiver restano inermi davanti questa situazione gravosa.

Nella società purtroppo l’hospice non viene visto di buon occhio, ovviamente dai pazienti stessi, perché vista la grande espansione delle patologie neoplastiche, molte volte sono gli stessi sofferenti che hanno sentito o visto amici o familiari affetti da tumore, passare gli ultimi istanti di vita nella struttura e allora rifiutano categoricamente il trasferimento preferendo le comodità, seppur limitate, dell’ambiente domestico.

Da quanto è emerso negli ultimi anni l’ambiente domestico risulta essere quello preferito dai pazienti e dai familiari che se ne devono prendere cura. Quindi ecco che direttamente dal polo oncologico, dopo la dimissione dall’ambiente ospedaliero, viene attivata l’assistenza domiciliare che a volte può essere squisitamente una pertinenza diretta della Asl di riferimento, mentre spesso e volentieri sono le Fondazioni Onlus come ANT a prendere in carico il paziente.

L’ambiente domestico ha ovviamente i suoi pro e i suoi contro, anche se sicuramente i primi sono nettamente al di sopra rispetto ai secondi, specialmente in un momento dove non c’è il regime di urgenza, perché la patologia farà il suo naturale decorso.

A casa il paziente può godere di tutti i comfort e di tutto l’amore e l’affetto della sfera familiare che in questi casi è senza dubbio la cosa più importante: dormire nel proprio letto, mangiare ai propri orari, avere la sicurezza di poter riposare tranquillamente, non tralasciare le proprie abitudini, avere qualcuno su cui fare affidamento sono cose impareggiabili e di estrema importanza.

Inoltre, parlando in termini freddamente burocratici, l’assistenza domiciliare e Fondazioni come ANT abbattono di tanto i costi del SSN, visto che il costo di un paziente assistito a casa è circa 3 volte inferiore rispetto ad uno che viene assistito a livello ospedaliero.

Fondazioni Onlus come ANT, la più famosa in Italia, garantiscono a casa del paziente non solo un’assistenza infermieristica continuativa, ma anche una medica e un supporto psicologico con servizi di reperibilità medico-infermieristica che consentono al paziente di avere una copertura dell’assistenza totale, anche nei giorni festivi e nel fine settimana, basandosi sul principio dell’Eubiosia, ovvero “buona vita”, per garantire al paziente la dignità che merita e una buona qualità di vita anche negli ultimi istanti.

Per quanto riguarda gli inconvenienti in ambiente domestico, essi sono di natura essenzialmente pratica, poiché a casa non si può disporre di tutte le strumentazioni utili presenti nei presidi ospedalieri e spesso episodi acuti come un forte dolore toracico, una grande emorragia o la morte improvvisa, possono rappresentare un trauma per i familiari e quindi di difficile gestione.

L’infermiere che lavora in ambito oncologico a livello ospedaliero può scegliere se nel suo percorso formativo effettuare la specialistica o dei master, anche se comunque potrebbe iniziare il suo impiego nell’unità operativa anche soltanto con il diploma di laurea ed acquisire le capacità per lavorare in ambito oncologico direttamente sul campo.

Se parliamo di Hospice, ci sono alcune strutture che dispongono per gli infermieri neo assunti dei corsi di formazione di durata variabile, ovvero da una settimana a un mese massimo e sono nella maggior parte dei corsi esclusivamente teorici.

Per quanto riguarda invece l’assistenza infermieristica domiciliare in ANT è previsto un periodo obbligatorio di formazione di almeno un mese, dopo il quale ne segue uno di affiancamento per completare il profilo dell’infermiere che opererà direttamente nell’ambiente domestico.

Essere infermieri in ambito oncologico, in struttura o sul territorio, è una sfida anche con sé stessi che aiuta a cresce molto sia dal punto di vista professionale, in quanto si viene a contatto con manovre e presidi esclusivi da gestire, che dal punto di vista umano, poiché toccare alcune situazioni direttamente con le proprie mani è sicuramente una cosa molto forte e anche molto triste.

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