Il 2020 verrà ricordato come l’anno dei cambiamenti. Cambiamenti nelle nostre vite, cambiamenti nel modo di porre le priorità, cambiamenti inerenti al significato che diamo alla vita e alle cose. Chissà se però cambierà mai la visione che abbiamo della presa in cura del paziente. Florence Nightingale durante la Pasqua del 1899 dichiarò: Secondo me la missione delle cure infermieristiche in definitiva è quella di curare il malato a casa sua (…) intravedo la sparizione di tutti gli ospedali e di tutti gli ospizi (…) ma a che cosa serve parlare ora dell’anno 2000?
La pandemia ha dimostrato che l'assistenza deve puntare sul territorio
Con una reale rete ospedale-territorio la pandemia forse si sarebbe potuta tamponare
L’anno 2000 è passato ormai da due decadi, molte cose sono cambiate e le nostre vite sono state stravolte in molteplici occasioni, ma nulla è cambiato, o quasi. Un grosso limite della pandemia che abbiamo appena vissuto - e della possibile seconda ondata che vivremo - è dato dal fatto che la realtà territoriale non viene riconosciuta . Il paziente, quando viene dichiarato malato, viene rinchiuso all’interno di un ospedale. Sì, rinchiuso, perché ora che siamo sull’attenti dopo quello che abbiamo vissuto, abbiamo blindato gli ospedali, disumanizzando la cura della persona.
Ospedali che già versavano in condizioni critiche per una ridotta presenza di personale e che in questi mesi si ritrovano sul fronte senza le giuste armi e con un numero di soldati sempre più ridotto. Vediamo ancora l’ospedale come l’unico luogo possibile per garantire un’efficace cura del paziente, creando un imbuto sempre più saturo. Le cure che vengono fornite risultano disumanizzanti , perché viene curato l’individuo soltanto sotto la sfera fisica, andando ad escludere le realtà sociali e psicologiche, come dichiarato dall’OMS nel 1948.
Ma che conseguenze potrebbe avere un aumentato afflusso di pazienti presso strutture ospedaliere, senza la reale necessità? Le conseguenze di queste azioni ce le abbiamo sotto gli occhi da almeno quindici anni. Abbiamo reso le strutture di degenza da realtà acute a realtà croniche e ciò non è solamente legato all’aumentata longevità della popolazione e delle problematiche età-correlate.
Un’altra conseguenza, che è stata visibile ai nostri occhi nei mesi passati, è legata al fatto che i soggetti malati, non sapendo a chi rivolgersi e per paura di non poter rivedere più i loro cari, han deciso di rimanere in casa, creando dei focolai familiari. Tali focolai hanno contribuito alla situazione drammatica che tutti sentiamo ancora come una ferita fresca.
Le persone non sapevano a chi rivolgersi e non si recavano in ospedale finché le loro condizioni non diventavano disperate. Se esistesse una reale rete ospedale-territorio, tale situazione si sarebbe potuta tamponare? Magari potremmo prendere esempio da regioni come l’Emilia-Romagna e il Veneto, che sono riuscite a controllare la situazione grazie agli interventi domiciliari, andando così a spalleggiare i colleghi in ospedale, senza la sensazione di sentirsi “diversi”.
Fabio Garelli - Infermiere
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?