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Non tutti i mali vengono per nuocere

di Davide Mori

Fin da quando eravamo bambini i consigli dei nostri nonni e le loro raccomandazioni ci hanno sempre aiutato nei momenti più bui. Se avevi un problema di qualsiasi tipo sapevi che in loro avresti trovato sempre una parola di conforto ed una calda e rugosa carezza. Un vecchio adagio di mio nonno recitava: Non tutti i mali vengono per nuocere. Semplice, ma vero. L'importante contributo fornito dai proverbi sta proprio nella loro capacità di sintetizzare e semplificare iperboli mentali in poche sapienti parole che possano aprirci gli occhi, anche quelli più pigri.

Coronavirus, una pandemia che ci ha privati della dignità

Coronavirus, Bergamo: le bare sui camion militari

Esattamente nello stesso momento in cui vi sto scrivendo, guardo per l'ennesima volta questa foto sullo schermo del mio computer: è disarmante, un pugno nello stomaco.

Un'interminabile coda di automezzi verdi dell'esercito, ordinata come solo i militari sanno fare, sfila al crepuscolo per le strade di Bergamo.

È un'immagine che se non avessi letto il titolo di giornale soprastante stenterei a capirne il significato: una parata militare? L'inizio della terza guerra mondiale? No, è un corteo funebre.

Decine e decine di autocarri colmi di bare accuratamente stipate viaggiano a passo d'uomo in fila indiana dagli ospedali verso i forni per la cremazione. Una scena che ti spezza il fiato e ti travolge, ti spinge giù in un baratro e, come attratto da un buco nero, vieni catturato da un'immensa tristezza.

Non un parente a potergli stringere la mano, non un funerale per dargli degna sepoltura, queste persone sono morte e lo hanno fatto nella più completa solitudine

La pandemia di Coronavirus ci ha tolto oltre che la libertà, anche la possibilità di piangere i nostri amati. Ci ha privato della dignità. Ci ha ridimensionato e destabilizzato.

Ci ha privato della nostra quotidianità, dei nostri abbracci, perfino dei nostri anziani genitori. Pensavamo di poter decidere le sorti dell'universo e invece... Siamo qui, rintanati a casa sui nostri divani, attaccati alla televisione a mangiarci le unghie, tra una spasmodica sequenza di giri intorno al tavolo per sgranchire le gambe e un via vai con il lavello per detergere le mani col sapone.

Rituali ormai permeati nelle nostre abitudini come se questa situazione ci appartenesse da sempre, eppure non è passato nemmeno un mese di quarantena. Miracolo della resilienza. È proprio questa capacità di adattamento che mi fa riflettere.

Se tante cose nelle nostre abitudini sono cambiate mi piace poter pensare che tutti questi sacrifici umani allora non siano stati vani, che in qualche modo possano servire da lezione e possano averci insegnato molto come popolo e come persone

Cosa avremo imparato da tutto questo?

Allora potremmo aver imparato il valore per troppo tempo deflazionato della famiglia e delle relazioni, del calore umano degli abbracci, dei baci e delle strette di mano. Potremmo finalmente cominciare ad apprezzare i gesti quotidiani, anche quelli più semplici, capendo quanto le regole che devono essere rispettate non sono limiti al vivere, ma baluardi per il mantenimento delle nostra libertà.

Potremmo aver imparato che per rispettare noi stessi dobbiamo prima rispettare gli altri, e potremmo imparare a stare uniti, non più come curve di tifoserie separate da confini politici, economici e culturali. Saremo finalmente uniti in un'unica nazione, in un'unica comunità di persone. Lo abbiamo visto a nostre spese quanto sia importante agire omogeneamente, in maniera coordinata e condivisa.

Ci siamo resi conto di quanto siano importanti il sistema salute ed i suoi attori, li abbiamo finalmente identificati come il pilastro costituzionale più importante del nostro paese. Abbiamo visto quanto sia importante investire e programmare e come una mancata applicazione di quanto pianificato porti al collasso non soltanto il sistema sanitario.

Abbiamo imparato che parole come efficacia ed efficienza non rappresenteranno più soli argomenti di natura economico-finanziaria per riempire la bocca agli economisti, bensì concetti socialmente avvertibili, condivisibili e determinanti per il bene di tutti.

Abbiamo imparato quanto sia stata tragica la decisione di esternalizzare la produzione di beni essenziali, privandoci con non pochi rimpianti del prodotto e della qualità dei nostri talenti. Abbiamo imparato a rispettare il sistema d'emergenza e capito che non rappresenta un comodo bypass alla medicina territoriale.

Abbiamo capito quanto nelle questioni di salute pubblica sia importante che la mano invisibile della politica sia guidata dalla mente competente dei sanitari

Abbiamo imparato che non si può porre rimedio a carte ormai scoperte e l'importanza dell'essere proattivi. Spero che quando tutto finirà ci riscopriremo una Nazione, scenderemo finalmente per le strade e ci saluteremo con gli occhi lucidi d'emozione.

Alzeremo lo sguardo dal telefono e riscopriremo i volti delle persone, riscopriremo la voce nelle parole, l'amore nella stretta di un abbraccio, il conforto delle carezze.

Ci riscopriremo umani, ma non saremo gli stessi di prima. Impareremo a vivere il pianeta, non staremo più affacciati a cantare dal balcone. Ma c'è una cosa che più di tutte vorrei che si imparasse: l'importanza di ricordare. Che tutto non scompaia in un nuovo vertiginoso oblio, che il monito sia scolpito nei nostri cuori, che venga tramandato ai nostri figli e da questi ai nostri nipoti.

Vorrei che almeno questa volta potessimo affermare di aver imparato la lezione, vorrei che per una volta chiedessimo scusa a noi stessi, ma senza piangerci addosso, con l'orgoglio, la fierezza e l'umiltà di noi Italiani.

Guarderemo al futuro con il sorriso amaro di chi ha sofferto, ma consapevoli che in ogni sofferenza c'è una crescita. Perché in fondo lo sappiamo, non tutti i mali vengono per nuocere

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