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COVID-19

Si continua a correre. Troppo

di Giordano Cotichelli

Nella giornata di domenica 8 novembre si sono raggiunti i 935.000 casi e 41.394 decessi dall’inizio della pandemia. Il sindaco di Palermo, per la gravità della situazione in Sicilia, avverte il presidente del Consiglio e quello della sua regione che si va verso una strage annunciata. Il presidente della Fnomceo chiede un lockdown da subito, di almeno un mese, nella speranza di poter contenere la crescita pandemica che, adesso, torna a far paura. La Provincia di Bolzano intanto, dietro autonoma iniziativa del Presidente, è diventata zona rossa.

Seconda ondata Covid-19 e la drammaticità della carenza di infermieri

Dopo lo sciopero del 2 novembre scorso indetto dal Nursing Up, è la volta del Nursind che alza la voce a livello locale. Ad Alessandria, Monza e Catania viene sottolineata la drammaticità della carenza infermieristica e dell’emergenzialità in cui si è costretti a lavorare.

Nella città siciliana un infermiere su cinque è contagiato. Un po’ dovunque le strutture e il personale di supporto delle forze armate tornano a cercare di frenare un rischio di collasso del sistema che sembra sempre più inevitabile. E siamo ancora a novembre; c’è ancora buona parte della cattiva stagione da farsi, l’usuale ondata epidemica di influenza stagionale, per la quale non in tutte le regioni d’Italia è stato possibile eseguire la vaccinazione agevolmente. E poi ci sarà ancora la primavera che, come si è visto, di per sé non garantisce nulla.

Ciononostante qualcuno non trova di meglio da fare che preoccuparsi dei mercatini di Natale. Altri continuano a creare confusione e a blaterare alla dittatura sanitaria. I soliti urlano di scegliere se morire di fame o di Covid, pur sapendo che, a chi muore, poco importa sapere quale sia la causa.

E poi il personale, i posti letto, i materiali e i ricoveri, i tamponi, i caschi e molto altro ancora che ogni giorno scandisce vorticosamente ritmi di lavoro non più sostenibili. Tutti promettono assunzioni. Non basta. Nella realtà bisognerebbe raddoppiare, o meglio triplicare il sistema sanitario esistente per garantirne la tenuta e la proiezione verso il futuro.

Ma come si può fare dopo anni che pezzo dopo pezzo, letto dopo letto, infermiere dopo infermiere, si è tagliato tutto quello che si poteva, e anche di più. Il personale? Perché non è stato assunto sei mesi fa?

A settembre qualche campagna elettorale ne ha promesso incrementi. Siamo a novembre e siamo in affanno. Si, è vero, ci vorrebbe maggiore responsabilità e senso civico anche da parte delle persone che continuano ad avere comportamenti a rischio; che continuano ad alimentare cluster familiari. Ma si può biasimare “il popolo” viste le indicazioni confuse che gli sono arrivate in continuazione da un certo mondo tecnocratico che non ha perso occasione per trasformarsi in tifoseria?

C’è chi dice di non intasare i Pronto soccorso. Lo ripete come un mantra giusto e irrinunciabile, ma viene da chiedersi se possa essere seguito, come e soprattutto da chi? Nella realtà come può reagire un singolo cittadino per difendere, oggi, la sua salute, trovandosi, in media con un livello di istruzione medio bassa, abituato a mangiare pane e angoscia da anni, con una copertura, anzi con coperta sanitaria rattoppata e troppo corta, senza avere la disponibilità funzionale di Medici di medicina generale, ridotti all’osso, cui chiedere aiuto.

Prende e non trova di meglio che andare ad intasare un Pronto soccorso. Non va bene, ma il cittadino medio è il prodotto di questa società depauperata. Lui ha le sue tante responsabilità, ma non è da solo.

Se bastasse per risolvere la situazione fare un semplice slogan, come qualcuno ci ha fatto credere fino ad oggi, allora riprendiamo quelli urlati la scorsa primavera: “Assumere infermieri in grande numero”, “Stabilizzare tutti”, “Promettere e garantire posti di ruolo, a tempo indeterminato a chi oggi è disposto ad entrare in servizio”, “Promettere e garantire prepensionamenti e anni di scivolamento a chi a malapena resiste nelle tute bianche”.

Mi piacerebbe rispondere con altrettanta facilità degli slogan populisti ed urlare tutta la responsabilità di una privatizzazione selvaggia di uno dei sistemi sanitari pubblici e gratuiti, un tempo, fra i migliori al mondo.

Come quello del Regno Unito, parimenti devastato. Il populismo serve a poco però e ha già cominciato, in maniera progressiva, a mostrare di avere il fiato corto. In Italia rispetto al ruolo giocato nei territori e nei governi locali, e nel più ricco paese del terzo mondo: gli USA; la definizione non né mia né di Saviano, ma di un noto storico statunitense: Howard Ziin.

La fellonia di Trump, le sue fake news e la sua colpevole responsabilità (assieme a tutto l’establishment statunitense) di aver reso gli USA il primo paese per contagi (9.937.709) e per morti (237.484) sono state spazzate via dalle recenti elezioni.

Il pacifico e centrista Biden, e la prima vice-presidente donna – Kamala Harris – entrano nelle stanze di Capitol Hill. Va ricordato però che, la scorsa primavera, in piena prima ondata, Biden polemizzò con il socialista Sanders rispetto ai servizi sanitari pubblici portando ad esempio il collasso di quello italiano. Una posizione tutta ideologica in quanto se oggi la popolazione italiana, nonostante le sue classi dirigenti, riesce a far fronte alla tragedia in atto, è anche perché è cresciuta più forte e protetta negli scorsi decenni da un sistema sanitario pubblico, universale e gratuito; costruito per dare un futuro per chi non sarebbe stato più in grado di resistere con le sue forze nella difesa della salute.

In particolare per chi, secondo qualcuno, è fra i meno produttivi della nazione. Per il momento è tutto. Come inizio settimana può bastare per chiedere forti cambiamenti prima che passino altri sette drammatici giorni.

NurseReporter

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