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editoriale

Il paziente ha diritto di sapere cosa è meglio per il suo bene

di Fabio Albano

Quanto riportato da alcuni media circa l’affezione tumorale che ha colpito il Dottor Antonio Marfella, stimato oncologo presso l’Istituto Pascale di Napoli, che ha scelto di farsi operare all’IEO di Milano e non nell’Istituto in cui lavora, ha scatenato reazioni diverse e meritevoli di una larga riflessione. Quel che è certo è che chi non ha competenze specifiche ed è affetto da patologia prostatica tumorale ha l’esigenza di sapere cosa è meglio per sé. Inoltre ha, pure, il diritto di potersi curare, anche chirurgicamente, in un raggio di distanza il più ridotto possibile.

Marfella: Io oncologo del Pascale curerò il mio cancro a Milano

Come prima cosa auguriamo al Dottor Marfella una pronta guarigione e un ritorno alle normali attività il più rapidamente possibile. Auguri sinceri.

Per meglio comprendere l’argomento si rende necessario leggere l’intervista che il Dottor Marfella ha rilasciato al Corriere del Mezzogiorno.

L’intervista del paziente Marfella è degna di attenzione e di riflessione. Si tratta, da un lato, di comprendere quali possano essere le sue conoscenze in materia di chirurgia oncologica e se la sua decisione di farsi operare a Milano sia stata indotta da qualche chirurgo del Pascale o da una sua personale ricognizione. Alcune considerazioni, dall'altro lato, scaturiscono dalla cassa di risonanza volutamente cercata e ottenuta dal medico/paziente.

La prima riflessione in merito è quella legata alla tempistica: è giusto - e qui non si scappa - che il paziente/medico abbia deciso di denunciare una situazione chirurgica quantomeno difficile; è altrettanto giusto che la divulgazione della sua decisone sia avvenuta quando il problema cancro della prostata lo ha toccato personalmente? Una scelta, assolutamente privata, diviene, proprio perché divulgata, di natura pubblica, con conseguente e lecito dibattito. Non sarebbe stato eticamente e deontologicamente maggiormente corretto una, eventuale, presa di posizione a prescindere? Magari suffragata da quei chirurghi napoletani che lo hanno, eventualmente, aiutato a scegliere Milano?

La seconda riflessione è quella relativa alla necessità di usufruire, per l’intervento di prostatectomia radicale, della chirurgia robotica. A leggere le linee guida e a confrontarsi con importanti urologi, pare che per la qualità di vita post chirurgica, nel medio e lungo periodo, e per il fattore prognostico e terapeutico, non esistano differenze tra l’intervento eseguito con tecnica video-laparoscopica e/o open e quelli eseguiti con tecnica robotica.

Ora si tratta di comprendere se al Pascale o comunque in tutta la Campania e/o nel sud Italia, non esista un chirurgo urologo in grado di operare, con tecnica laparoscopica o open, un tumore prostatico.

Ma per meglio dipanare la matassa ecco quanto riportato dal sito dello IEO, quindi informazioni pubbliche:

Appaiono del tutto evidenti i vantaggi post chirurgici che si possono apprezzare nell’immediato post-operatorio. Ma si fa una comparazione tra chirurgia robotica e chirurgia classica. Cosa vuol dire classica? Chirurgia a cielo aperto, quindi non laparoscopica. Quindi, eventualmente, come conseguenza i vantaggi elencati, che sono indiscutibili, probabilmente trovano adeguata coniugazione solo in caso di chirurgia open.

Adesso visualizziamo un, rapido, confronto tra la chirurgia tradizionale open e quella robotica per il trattamento del tumore alla prostata, per capire quale delle opzioni sia più efficace e quale garantisca una migliore qualità di vita del paziente.

La chirurgia robotica per il trattamento del tumore alla prostata

La chirurgia robotica è considerata all’avanguardia e, nella percezione comune, sia i medici che i pazienti pensano che si possano ottenere risultati migliori rispetto alla chirurgia tradizionale, soprattutto perché viene intesa come meno invasiva.


È davvero così? A provare a rispondere a questa domanda sono stati alcuni ricercatori australiani che, in uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet, hanno confrontato i risultati ottenuti dalle due tecniche.

Quanto riportato da Lancet è avvalorato dalla sanità privata statunitense dove le assicurazioni stanno iniziando a non solvere più gli interventi di prostatectomia radicale tramite prassi robotica, proprio perché i risultati non differiscono, mentre sostanziale è il gap dei costi economici.

Chirurgia open e chirurgia robotica, le differenze AURO

Di seguito quanto riportato dal sito dell’Associazione Urologi Italiani (AURO) circa le differenze tra chirurgia open e chirurgia robotica:

Quindi è così determinate la scelta della tecnica chirurgica? O ci stiamo trovando di fronte ad un processo teso verso, sostanzialmente, il business?

Ma poi, l’utente non professionista della salute, specie il cittadino del Sud, a quali riferimenti deve credere? Inoltre, perché non si fanno serie verifiche, a partire dal Pascale, circa l’utilizzo dei soldi pubblici? Sì, perché se il Robot, che ha costi di affitto e di esercizio altissimi, viene sotto utilizzato, produce uno spostamento dei soldi pubblici, laddove non risultano indispensabili, scoprendo vulnus che nuocciono in maniera importante ai processi di cura.

Il Dottor Marfella - a cui rinnoviamo i nostri più sinceri auguri di pronta guarigione - ha reso pubblico, forse con una tempistica non propriamente eticamente corretta, l’ennesimo spreco della sanità pubblica? A lui dobbiamo, comunque, un grazie; da chi preposto ci aspettiamo una risposta a quanto affermato dal paziente/medico ed eventualmente l’apertura di un fascicolo per individuare se esistono dei reati sanzionabili. Sì, perché di disporre di un dispositivo dai costi enormi e non fare formazione in merito o non dotarsi del personale sufficiente per farlo funzionare, è un reato, quanto meno morale. E qualcuno deve assumersi le responsabilità che gli competono.

Non si può, però, negare che quanto affermato dal paziente/medico Marfella e quanto riportato dalle riviste e/o dalle società scientifiche risulti in netto contrasto.

Ognuno la pensi come vuole, ma chi non ha competenze specifiche ed è affetto da patologia prostatica tumorale ha l’esigenza di sapere cosa è meglio per sé. Inoltre ha, pure, il diritto di potersi curare, anche chirurgicamente, in un raggio di distanza il più ridotto possibile.

Anche questo aspetto, che per altro coinvolge tutti i famigliari del paziente, non è da sottovalutare e in termini logistici e in termini economici. Immaginate, a proposito di disuguaglianze di salute, cosa possa significare per una famiglia doversi spostare di città e soggiornare in qualche albergo, gravando magari su una condizione economica non elevatissima.

Chi ha il dovere di riflettere lo faccia, magari in tempi brevi e renda pubbliche le proprie evidenze. Il tutto è dovuto a quelle persone affette da cancro che ripongono fiducia nella sanità pubblica.

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