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Gestione del paziente anziano fragile in Pronto Soccorso

di Chiara Sideri

L'invecchiamento progressivo della popolazione rappresenta una delle sfide più rilevanti per i sistemi sanitari contemporanei. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, entro il 2030 il numero di persone con più di 60 anni supererà quello dei bambini sotto i 10 anni. Parallelamente, cresce il numero di anziani che si rivolgono ai Pronto Soccorso (PS), spesso in condizioni cliniche complesse, caratterizzate da pluripatologie, declino cognitivo e funzionale, polifarmacoterapia e fragilità sociale. In questo contesto, il concetto di "paziente anziano fragile" assume un ruolo centrale. La fragilità è un costrutto multidimensionale che riflette una ridotta riserva fisiologica e una aumentata vulnerabilità agli stressor clinici, anche minimi. Si configura come un fattore predittivo indipendente di esiti clinici sfavorevoli, inclusi delirium, cadute, ricoveri prolungati e mortalità.

Fragilità e triage in emergenza: criticità e raccomandazioni

anziano fragile

Secondo le linee guida WSES nei pazienti geriatrici anche piccoli traumi o stressor clinici possono determinare gravi complicanze.

Numerosi studi evidenziano come l’identificazione della fragilità al momento del triage sia ancora insufficiente.

I pazienti anziani senza sintomi specifici ma con compromissione generale (“home care impossible”) sono frequentemente sotto-stimati, con conseguente ritardo nella diagnosi e nel trattamento.

Le attuali linee guida internazionali sottolineano la necessità di implementare strumenti di screening specifici già in fase di triage, capaci di individuare precocemente i soggetti a rischio e attivare percorsi assistenziali dedicati.

In particolare, il programma APOP (Acutely Presenting Older Patient), già implementato in alcuni contesti europei, ha dimostrato di migliorare l’assistenza e la sicurezza clinica dei pazienti ≥70 anni attraverso una valutazione iniziale standardizzata seguita da interventi mirati.

Strumenti e prospettive operative

L’assenza di una scala universale per la valutazione della fragilità in PS rappresenta una delle principali criticità rilevate dalla letteratura. Tuttavia, strumenti come l’ISAR (Identification of Seniors at Risk), il Clinical Frailty Scale (CFS) o lo stesso APOP sono oggi disponibili per facilitare il riconoscimento precoce dei pazienti a rischio.

L’integrazione di questi strumenti nella pratica clinica quotidiana può migliorare l’efficienza del percorso assistenziale e ridurre eventi avversi evitabili. L’evidenza disponibile suggerisce inoltre che il coinvolgimento precoce del caregiver – formale o informale – rappresenta una leva strategica nella continuità assistenziale e nella personalizzazione del piano di cura.

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