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Testimonianze

Bollettino Covid-19: non solo numeri

di Monica Vaccaretti

Il bollettino Covid-19, aggiornato e diffuso ogni giorno dal Ministero della Salute, è diventato una abitudine, da due anni fa parte della nostra quotidianità. Per me è un report serale che mi dà un quadro completo della situazione epidemiologica e conferma, su scala nazionale, il trend locale che vedo ogni turno in un Centro Tamponi. I contagi, che poi nel corso dei giorni successivi diventano ricoveri, terapie intensive e decessi, li conto sul campo. Si tratta di una mappa aggiornata che permette di rilevare la diffusione del contagio da Coronavirus. È uno strumento integrante della rete di sorveglianza italiana che garantisce il monitoraggio dell'epidemia dei casi Covid. È realizzato con il flusso dei dati che le Regioni inviano al Ministero della Salute, responsabile della raccolta, con il supporto della Protezione Civile e dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS). L'analisi è più accurata con la Sorveglianza Integrata Covid-19 che raccoglie anche i dati demografici, le comorbidità, lo stato clinico e la sua evoluzione, nel flusso di dati individuali che vengono inviati dalle Regioni all'ISS.

Bollettino Covid, non solo numeri ma anche storie di ogni giorno

L'inizio della storia, con i carri militari pieni di bare che lasciavano Bergamo di notte

Nelle ultime settimane è stato proposto di abolire o di modificare il bollettino Covid-19, togliendo qualche voce ritenuta inutile. Contano solo gli ingressi in terapia intensiva e i decessi, a quanto pare. Poiché nella narrazione collettiva Omicron è stata declassificata a raffreddore, soltanto perché colpisce preferibilmente le vie aeree superiori, molti ritengono che non sia necessario misurare la febbre del contagio. I dati che riguardano la pandemia devono essere raccolti ed analizzati, come richiesto dall'Oms, ogni giorno ma qualcuno ritiene che non sia più opportuno e giustificato comunicarli quotidianamente alla popolazione. Alcuni sostengono che non avrebbe senso, creerebbero ansia e terrorismo mediatico. Potrebbe eventualmente essere diffuso nei tg con cadenza settimanale, propongono. Penso che il bollettino, nato per informare con trasparenza sull'epidemiologia nazionale, resti una visione realistica dell'evoluzione dell'infezione nel nostro Paese, permettendo di non perdere la percezione del problema e del rischio. Ci ricorda che c'è, purtroppo, una pandemia in atto. Senza bollettino, la gente forse se ne dimenticherebbe. E se questo potrebbe essere un bene per la salute psicofisica delle persone, non sarebbe tuttavia prudente per il rischio di contagio e la sottostima del fenomeno. Già è un virus minaccioso che non si vede, se poi non sentiamo più parlare di indice di positività e di Rt si vivrebbe come se non esistesse nessun Coronavirus. Il bollettino, che ricorda quello di guerra, è un termometro che misura il polso della situazione.

Mi viene spontaneo decodificare i dati e trasformarli in persone sintomatiche e asintomatiche

Tuttavia rifletto, leggendo alcuni studi delle neuroscienze, che il cervello funziona per storie, non per dati. La mente non se fa niente dei 395 morti del bollettino di oggi perché non ragiona con i numeri in testa. Generalmente i numeri vengono messi nella memoria di calcolo immediata per essere utilizzati a breve termine e, se non servono, la mente li elimina perché non hanno valenza.

Scopro che la mente ragiona a storytelling ed è per questo motivo che mi ricordo un evento o una storia e non un numero

All'ora di cena si viene a sapere, ascoltando distrattamente la tv, che ci sono stati altri 395 decessi per Covid. Sono troppi? Sono pochi? Il dato mi è indifferente o mi colpisce? In ogni caso, ok, ne prendo atto. Ci penso. Non ci penso. Poi chiedo Che si mangia a cena?. Se invece sono un infermiere e lavoro in un reparto Covid ho memoria della storia che stanno raccontando al tg, come ogni sera da due anni. È la storia di quello che vivo ogni giorno da quando è scoppiata la pandemia. Per me quei dati non sono solo numeri, sono la fotografia della mia realtà. Fanno parte del mio lavoro. Mi viene spontaneo decodificare i dati e trasformarli in persone sintomatiche e asintomatiche. Che stanno male e che contagiano altre persone. Che si ricoverano, sento le ambulanze che vanno e vengono dall'ospedale. Che muoiono, non ce la fanno nonostante l'ossigeno dentro i caschi e la pronazione. Ce li ho ancora davanti i sintomi, mi hanno tossito sulla maschera e sulla visiera tutto il pomeriggio. Da due anni, che sono tanti. Ho raccolto lacrime e paure di una piccola parte di quei numeri. Ho sentito le storie che, in quanto numeri, avevano da raccontarmi.

La storia, per essere capita, deve essere vissuta emozionalmente. E il bilancio dei morti, ancora altissimo, emoziona solo chi quei morti li vede o li sente dentro. Non erano soltanto un numero. Erano un numero con un nome

Tuttavia mi rendo conto che, per avere un impatto sulle persone, una situazione, anche quella pandemica, deve coinvolgere emotivamente. Come è capitato, all'inizio della storia, con i carri militari pieni di bare che lasciavano Bergamo di notte. Era una narrazione nuova, da paura, come lo è stato il lockdown. Capisco che ci si ricorda bene qualcosa se ha un senso ed un significato per noi o se le cose collegate hanno un senso logico tra loro e ci toccano nel profondo. Ora che la storia è stata letta e riletta, dopo quattro ondate, siamo entrati in una zona di comfort che non genera una risposta emotiva. Un numero, infatti, non ha nella sua natura la capacità di generare emozioni. I dati del bollettino vengono letti pertanto per quello che sono. Numeri. Troppi numeri. Sempre numeri. Per impattare sulle persone, come ai tempi della pandemia a Bergamo quando la storia era ancora sentita come un dramma in prima visione, basterebbe veder morire anche solo una persona di Covid. Il numero invece non rimane, neanche sullo schermo del tg, non dice niente alla stragrande maggioranza delle persone. Si fa presto a dimenticarlo, è ancor più facile se non d'interesse o si ha in mente altro. Uno scenario raccontato con i numeri non raggiunge il cuore delle persone e può suscitare addirittura una reazione contraria, dall'insofferenza all'indifferenza.

112.691, sono i contagi di ieri 3 febbraio con 414 morti per Coronavirus. È un numero che non si memorizza e non ti emoziona, anche se si è consapevoli che sono persone malate e morte. Anche quando il contagio si è fatto esponenziale con quasi 300 mila nuovi casi Covid, il numero spaventoso e mai raggiunto prima non ha suscitato paura nella maggior parte delle persone. Non si ottiene niente raccontando una storia con i numeri, solo fastidio e noia. Il bollettino di guerra giornaliero diventa così solo un numero di sottofondo. La storia, per essere capita, deve essere vissuta emozionalmente. E il bilancio dei morti, ancora altissimo, emoziona solo chi quei morti li vede o li sente, empaticamente, dentro. O li ha avuti, anonimi, con un proprio caro, dentro al bollettino. Non erano soltanto un numero. Erano un numero con un nome.

Non è neanche colpa delle persone, è così che funziona la mente umana. Per me, e per molti di coloro che fanno questo mestiere, domani invece sarà un'altra storia.

Nel mio ultimo pomeriggio al centro tamponi, la settimana scorsa, abbiano rilevato 265 positività da antigenico rapido. Nei tempi peggiori della variante inglese e della variante Delta, nell'inverno 2020-2021, il numero massimo di positivi rilevato in un giorno con un tampone rapido è stato 60. Dopo un anno, mi sono resa conto che con Omicron il contagio in un pomeriggio è quintuplicato. Ed è stato spaventoso. Perché ho realizzato che la nuova variante è davvero più contagiosa del morbillo ma che il contagio non sarebbe comunque così elevato se i numeri che ho attorno non facessero circolare il virus, contagiandosi. Senza il bollettino, nessuno – anche se non si ha più voglia di ascoltare questa storia – si renderebbe conto di quello che c'è in giro.

Infermiere

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