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COVID-19

Interpretare concretamente necessità di persone e professionisti

di Annalisa Silvestro

È questo il momento per gli infermieri, ma non solo loro, di chiedere con forza di essere presenti nei tavoli delle decisioni sul da farsi, di presentare proposte basate sulle competenze abbondantemente dimostrate, sulle esperienze direttamente agite e sul consenso professionale e relazionale accumulato sul campo, grazie ad un impegno universalmente riconosciuto. Non è più il tempo di aspettare che qualcuno chiami e forse coinvolga; è il tempo di proporsi con le proprie competenze e capacità per dare ulteriore concretezza e visibilità al mandato sociale delle professioni sanitarie tutte, infermieri in primis.

Investire sul territorio e potenziarlo

In questi giorni si susseguono riflessioni e analisi su cosa sia e su cosa sia stata la tragedia epidemica, su come è stata affrontata, su come dovrà essere gestito lo sciame epidemico e su come pianificare la cosiddetta fase due anche in relazione alla certezza di una lunga convivenza con il Covid-19.

Il nostro Sistema sanitario ha retto il pesante urto epidemico, si è difeso anche grazie alla dedizione e competenza dei suoi operatori ed ha ultimamente iniziato a superare la fase difensiva per dare corso a mirate azioni proattive.

Dalle diverse analisi risulta ormai evidente che il sistema ospedale e il sistema territorio hanno dimostrato una capacità di azione ben diversa nel contrapporsi e nel contenere l’epidemia sia in termini clinico assistenziali sia in termini gestionali ed organizzativi.

Le azioni del territorio sono state contenute se non addirittura minimali non solo per lo storico sottodimensionamento del ruolo e delle potenzialità della medicina (e dell’assistenza) di base, ma anche per le croniche e mai affrontate carenze strutturali e per le note insufficienze di tipo professionale ed organizzativo.

Molto di più si sarebbe potuto fare per prevenire gestire e contenere l’acuirsi di situazioni patologiche o in grado di produrre e diffondere contagi, per mantenere una solida e sicura assistenza nelle case e per garantire una continuità terapeutica sia autonoma sia connessa con le strutture ospedaliere e con le strutture residenziali sanitarie e socio sanitarie.

È importante riflettere sul “dopo” - che in realtà è già qui - anche per definire che cosa rivedere, ripensare e rafforzare nel sistema sanitario. L’esperienza epidemica induce ad affermare che un potenziamento del solo sistema ospedaliero potrebbe essere di poca utilità se non addirittura di nulla incisività in situazioni similari all’attuale e che si potrebbero ripresentare. È necessario invece investire sul territorio e potenziarlo, dotarlo di ulteriori professionalità, mezzi e risorse tecniche ed informatiche e di modelli organizzativi e assistenziali capaci di azioni preventive e di interazioni proattive con i cittadini tutti, con gli assistiti e con le strutture ospedaliere e residenziali di diversa tipologia e organizzazione.

Cure e assistenza di base, medicina e assistenza di iniziativa, definizione di flussi e percorsi curativo assistenziali specifici, predisposizione di protocolli multidisciplinari, informazione, educazione sanitaria, superamento della logica prestazionale a favore della presa in carico globale, mantenimento della continuità terapeutica anche attraverso l’assegnazione alle equipe multiprofessionali di tecnologia diagnostica e di devices informatici.

Presa in carico ed accompagnamento certamente dei pazienti Covid-19 pauci sintomatici o in fase di superamento dell’infezione, ma anche presa in carico e accompagnamento delle persone anziane con le loro criticità e necessità, delle persone fragili, dei pazienti cronici mono e pluripatologici e comunque di coloro che con un strutturato sostegno sanitario ed assistenziale potrebbero volentieri permanere al loro domicilio lasciando all’ospedale la gestione dell’acuzie o di situazioni cliniche necessitanti di cure intensive.

È questo il momento per gli infermieri, ma non solo loro, di chiedere con forza di essere presenti nei tavoli delle decisioni sul da farsi, di presentare proposte basate sulle competenze abbondantemente dimostrate, sulle esperienze direttamente agite e sul consenso professionale e relazionale accumulato sul campo, grazie ad un impegno universalmente riconosciuto

Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCAR) 

Bisogna esserci senza rivangare fumosi disegni o ipotesi e proposte abbandonate da tempo nei cassetti. Bisogna saper leggere e interpretare concretamente le necessità delle persone, dei professionisti e del sistema. Un prima occasione per iniziare un percorso concretamente costruttivo, può essere l’attivazione delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale nelle Regioni indicate nell’articolo n. 8 del decreto legge (in via di conversione) 9 marzo 2020 n.14 che recita:

Al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta o al medico di continuità assistenziale di garantire l'attività assistenziale ordinaria, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano istituiscono (...) in una sede di continuita' assistenziale gia' esistente una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero. L'unità speciale è costituita da un numero di medici (...)

Le USCAR si strutturano dunque con alcuni medici per permettere ai medici di medicina generale, di continuità assistenziale e ai pediatri di libera scelta di dedicarsi con la disponibilità di sempre ai pazienti di loro competenza.

Tali Unità, però, una volta costituite dovrebbero operare non solo per monitorare, seguire, orientare e gestire a domicilio i pazienti Covid19 nelle diverse fasi del processo infettivo, ma anche per gestire, in connessione con i medici di medicina generale, quei pazienti non Covid19 che possono permanere nel loro domicilio se ben supportati da un punto di vista sanitario e assistenziale e con un monitoraggio strutturato nel tempo.

Le Uscar potrebbero cioè costituirsi da subito come équipe di infermieri e medici in possesso delle competenze necessarie per operare ad ampio raggio e prevenire le conseguenze di una debole presenza sanitaria territoriale; conseguenze che purtroppo abbiamo ben visto recentemente.

Qualche Regione si sta muovendo in tal senso; è il caso della regione Lazio, che nell’attivare una Uscar recluta non solo medici ma anche infermieri.

Non è più il tempo di aspettare che qualcuno chiami e forse coinvolga; è il tempo di proporsi con le proprie competenze e capacità per dare ulteriore concretezza e visibilità al mandato sociale delle professioni sanitarie tutte, infermieri in primis

Editorialista

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