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COVID-19

Cosa sappiamo sulle reinfezioni da Sars-CoV-2

di Giacomo Sebastiano Canova

La ricerca in questo ambito è ancora in fase iniziale, ma è stata evidenziata la possibile reinfezione da SARS-CoV-2 con un ceppo di SARS-CoV-2 geneticamente distinto nei pazienti subito dopo il recupero da Covid-19 lieve. L'infezione da SARS-CoV-2, quindi, potrebbe non conferire immunità contro un diverso ceppo di SARS-CoV-2, sebbene sia necessaria ulteriore ricerca nell’ambito.

Rischio reinfezione da Covid-19, cosa evidenziano i primi studi

La pandemia da SARS-CoV-2, virus responsabile del Covid-19, rappresenta una sfida per quanto riguarda il follow-up dei pazienti guariti e la questione del rischio di reinfezione. Nel corso degli anni altri virus responsabili di varie malattie respiratorie infettive sono stati in grado di presentare una reinfezione nei soggetti originalmente guariti, come ad esempio il coronavirus HCoV-NL63 (NL63) e il virus respiratorio sinciziale umano (hRSV).

In letteratura è stato pubblicato ad aprile scorso un report proveniente dalla Corea del Sud che ha messo in evidenza 116 pazienti ritestati positivi dopo la guarigione dal Covid-19. Proprio in riferimento alla sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 (SARS-CoV-2), diversi referti di risultati positivi alla rRT-PCR nei pazienti guariti hanno sollevato la preoccupazione che i pazienti guariti dal Covid-19 possano essere a rischio di reinfezione, definita come una successiva infezione dell’ospite con la stessa tipologia di microrganismo. Recentemente sono stati riportati 2 casi di reinfezione da SARS-CoV-2 e questi studi hanno descritto una reinfezione avvenuta circa 3-4 mesi dopo l’infezione iniziale.

Tuttavia, la ricerca in questo ambito è ancora in fase iniziale e sono necessarie ulteriori prove per chiarire le caratteristiche uniche della reinfezione da SARS-CoV-2. Di particolare interesse nel merito è il lavoro pubblicato recentemente da Lee et al., i quali hanno eseguito il sequenziamento dell’intero genoma degli RNA di SARS-CoV-2 ottenuti consecutivamente dai campioni respiratori all’infezione iniziale e alla ripetizione del test positivo per SARS-CoV-2 con l’obiettivo di caratterizzare la differenza tra i genomi virali nei 2 diversi punti temporali e studiare dunque il meccanismo alla base di un risultato positivo del test per SARS-CoV-2 nei pazienti guariti.

Gli studiosi hanno scoperto come la maggior parte dei casi ritestati positivi per SARS-CoV-2 attraverso la metodica rRT-PCR non presentavano genomi virali intatti. Piuttosto, in questi casi è stato amplificato uno specifico frammento del genoma del virus morto.

Così come avviene quando qualsiasi ospite indesiderato entra a contatto con il nostro organismo, anche nel caso di infezione da SARS-CoV-2 la maggior parte dei pazienti è in grado di sviluppare specifici anticorpi neutralizzanti le proteine spike di questo virus. Tuttavia, resta da determinare se questi anticorpi possano neutralizzare ogni clade di SARS-CoV-2 e garantire l'immunità alla successiva infezione nel caso in cui entri a contatto con virus mutati.

Questo in quanto il caso descritto dai ricercatori evidenzia la possibile reinfezione da SARS-CoV-2 con un ceppo di SARS-CoV-2 geneticamente distinto nei pazienti subito dopo il recupero da Covid-19 lieve. Per questo motivo gli autori concludono che l'infezione da SARS-CoV-2 potrebbe non conferire immunità contro un diverso ceppo di SARS-CoV-2, sebbene sia necessaria ulteriore ricerca nell’ambito.

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