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Lesioni Cutanee

Biofilm della lesione: come riconoscerlo e come combatterlo

di Sandra Ausili

Il 78% delle lesioni croniche presenta - come dimostrato da tecniche microscopiche – biofilm, una delle principali barriere che ostacolano la guarigione della ferita. A spiegare cos’è, come riconoscere e come combattere il biofilm secondo la strategia del Wound Hygiene - ad oggi il trattamento più efficace sul tema - è il dott. Alessandro Greco, Specialista in Dermatologia e Responsabile Centro Ulcere Cutanee Azienda ULS Frosinone.

Greco, Wound Hygiene: strategia preventiva antibiofilm delle lesioni

Il biofilm della lesione è un fattore indipendente che ritarda o blocca la guarigione. Si tratta di una complessa comunità polimicrobica di microorganismi immersi in una matrice extracellulare (ECM) autoprodotta, che fornisce protezione contro gli agenti antimicrobici e le difese dell’ospite.

La formazione di un biofilm è divisa in sei fasi:

  1. Singoli batteri planctonici si fissano alla superficie della lesione
  2. I batteri colonizzano la superficie della lesione e formano una colonia (biofilm)
  3. Il biofilm aumenta di dimensioni e scatena segni subclinici di infezione nell'ospite
  4. Il biofilm matura
  5. Man mano che il biofilm matura, la sua microbiologia indigena inizia a raggiungere il climax e stabilizzarsi, con conseguente omeostasi microbica
  6. Il distacco e il riattacco microbici continuano su base regolare per tutto il ciclo di vita del biofilm

Identificare il biofilm ad occhio nudo non è possibile, per riconoscerlo servono tecniche molto raffinate – spiega Greco – come l’uso di microscopi laser a scansione confocale, ma è anche vero che sono identificabili dei segni clinici indiretti che siano suggestivi del biofilm. Ad esempio, una lesione eccessivamente essudante, un tessuto di granulazione distrofico, oppure la comparsa di segni di infezione locale, l’inefficacia di terapie antibiotiche mirate, il risultato negativo degli esami colturali in presenza di segni clinici che suggeriscono l’infezione. E ancora, un’ulcera recalcitrante nonostante l’adozione di tutte le procedure corrette.

Una recente meta-analisi – sottolinea Greco – ha confermato il sospetto che il biofilm è presente nel 78% delle ulcere croniche, ciò significa che possiamo dire che tutte le ulcere croniche sono biofilmate. Per questo i professionisti sanitari impegnati nella cura delle lesioni sono interessati a tutte le strategie che possono contribuire a ridurre il biofilm e ottimizzare la riparazione tessutale favorendo la progressione della lesione cutanea.

Nel marzo 2019 un comitato consultivo di esperti si è riunito per discutere ostacoli e opportunità rispetto all’adozione e diffusione di un approccio di cura basato sul biofilm; dai lavori di questo panel di esperti è arrivata la pubblicazione di una consensus internazionale che ha introdotto il concetto di Wound Hygiene, un nuovo approccio alla gestione delle lesioni di difficile guarigione.

Se prima erano già ben solide le fasi di debridement meccanico, l’uso di medicazioni antimicrobiche attive sul biofilm e quello di impacchi e soluzioni antisettiche con attività disgregante sul biofilm, questo nuovo documento di consenso – continua il Responsabile Centro Ulcere Cutanee Azienda ULS Frosinone – ha messo l’accento su altri due aspetti: detersione e riattivazione.

Si tratta di una strategia preventiva antibiofilm che prepara la lesione alla guarigione stessa e che si declina in quattro fasi: detersione, sbrigliamento, riattivazione, medicazione. La detersione – spiega Greco – deve riguardare lesione e perilesione e deve essere effettuata utilizzando dei tensioattivi con antisettici, applicando tanta energia quanta il paziente sia in grado di tollerarne. Questo affinché la prima fase del Wound Hygiene consenta di rimuovere detriti e squame, non solo dalla lesione, ma anche dalla perilesione.

La seconda, importantissima, fase da ripetersi ad ogni cambio medicazione è quella dello sbrigliamento, del debridement meccanico, ovvero la rimozione del tessuto non vitale da detriti, dal biofilm stesso e dalla matrice di copertura. A seguire, è la volta della fase del refashion, della riattivazione, un momento delicato ma fondamentale, che consiste nel rimuovere dai margini della lesione, livellandoli, quelle croste, quelle esuberanze e quei ricettacoli di introflessione e/o lieve sottominatura che sono la sede elettiva dell’attacco dei batteri.

La quarta fase è quella della medicazione, che deve avvenire mediante l’utilizzo di medicazioni antimicrobiche che abbiano delle sostanze attive e siano accompagnate da principi attivi in grado di disgregare e penetrare il biofilm. Che si tratti di antisettici con argento ionico o poliesametilene biguanide, la cosa importante – sottolinea ancora Greco – è che queste medicazioni abbiano coniugate al loro interno delle sostanze tensioattive e surfactanti in grado di disgregare ed impedire la nuova formazione del biofilm. Non solo. La medicazione deve essere in grado di gestire l’essudato e ritenerlo al suo interno al fine di evitare una reinfezione.