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Infermieri

Uno sciopero di cui si rischia di perdere cognizione a breve

di Giordano Cotichelli

Giornata importante quella del due novembre 2020. Il governo ha varato un nuovo DPCM per cercare di contenere il montare dei contagi e contemporaneamente è arrivata una sorta di risposta da una parte importante di quei lavoratori che tornano ad essere messi sotto pressione: i medici e gli infermieri. I primi hanno chiesto esplicitamente misure più decise, dato che: non esistono piccoli rimedi a grandi problemi – ha detto Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei Medici di Milano - così come non si può giocare a scaricare su altri ruoli e responsabilità. Gli hanno fatto eco gli infermieri che hanno aderito alla giornata di sciopero indetta proprio per il due novembre e che ha visto un’articolata partecipazione e l’annullamento di molte prestazioni, in segno di protesta per i disattesi impegni sindacali e retributivi, nonché per la mancata assunzione di personale infermieristico, che ripropone in tutta la sua tragicità gli scenari delle carenze della scorsa primavera. I due soggetti che hanno fatto sentire la loro voce non sono poi così rappresentativi delle rispettive professioni nella loro globalità, ma lo sono pienamente nella dimensione politica e sociale in cui si è stati tutti costretti da questa pandemia.

Allo sciopero del 2 novembre ne dovranno seguire altri?

Ad alzare la voce di azioni concrete sono stati i medici della regione che maggiormente ha pagato un tributo di vite e di sofferenze e che continua, in maniera differente, a farlo. E gli infermieri, seppur con uno sciopero di cui si rischia di perdere cognizione a breve, hanno ribadito ciò che già in misura diversa era stato detto nei vari flash mob di fine primavera, un concetto che in sintesi ricorda quello di don Milani: L’obbedienza non è più una virtù.

Le settimane che verranno, purtroppo, segneranno l’agenda delle scelte future da seguire, degli errori e degli orrori presenti che sembrano non trovare alcuna fine: c’è chi aspetta un tampone da qualche parte e chi non sa cosa fare per isolare un familiare in un appartamento di meno di sessanta metri quadri; c’è chi aspetta decisioni prese da altri, su cui scaricare la colpa e chi, ora che si è deciso finalmente, non riesce a trovare una dose di vaccino antinfluenzale.

Nella realtà, c’è un paese che sta mostrando il suo volto più brutto, lontano dall’arcobaleno con cui preannunciava che sarebbe andato tutto bene. C’è un paese fatto di particolarismi, di compatibilità politiche ed economiche, in cui interessi e bisogni si misurano in termini di potere da esercitare a favore di qualcuno e a danno di qualcun altro.

È un paese che si accorge dei problemi esistenti solo quando toccano il piccolo e meschino orto di casa che per qualcuno in realtà è un giardino fiorito, per pochissimi un parco immenso, mentre per molti è solo il retro di un cortile maleodorante e squallido. Di questo paese facciamo parte anche noi, come infermieri e come cittadini, che oggi ci ritroviamo a desiderare l’appartenenza ad una comunità, quando non ce lo siamo mai posto in maniera troppo approfondita. Oggi vorremmo conoscere il significato vero della solidarietà, senza dover passare per il sacrificio quotidiano all’interno di tute dannate.

Non so se e come cresceremo in queste lunghe settimane che ci aspettano. La scorsa primavera c’era un po’ più di speranza; oggi un po’ più di realismo. Lo stesso che ci fa temere che i provvedimenti adottati fino ad oggi, per fermare questa seconda ondata, non saranno sufficienti. Si rischia una deriva liberista, stile Brasile o USA, in cui del collasso del sistema sanitario e del moltiplicarsi delle vittime, si avrà una rappresentazione scenica degna unicamente dei peggiori talk-show televisivi.

Allo stesso tempo è vero che, al brutto paese descritto, se ne contrappone un altro in cui, giocoforza, si condividono i tanti problemi e le poche risorse. È un paese fatto di infermieri e medici, lavoratori, precari e genitori preoccupati per la scuola dei loro figli, che non credono alle smargiassate o alle fughe di responsabilità di chi ha incarichi istituzionali, ma credono in un futuro da non farsi rubare, né dal Covid-19, né da chi ha dimostrato ancora una volta di essere incapace a gestire gli interessi della collettività; di essere insensibile ai bisogni della collettività.

Allo sciopero del 2 novembre ne dovranno seguire altri? Più partecipati, maggiormente rappresentativi e con una piattaforma rivendicativa che possa essere incassata da subito e non rimandata all’infinito? Probabilmente sì! All’alzata di scudi dell’ordine dei medici di Milano è necessario un sostegno più ampio, a livello nazionale? Da parte anche di altri ordini professionali? Sicuramente sì!

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