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Editoriale

Barbero e lo squid game delle donne

di Giordano Cotichelli

È di qualche giorno fa un’intervista del professore di storia Alessandro Barbero che ha suscitato scalpore. Questa volta l’argomento non riguardava né la giusta collocazione storica delle Foibe, né l’adesione ad un appello contro il green pass, bensì interessava le donne, a proposito della presentazione di una serie di lezioni dove la dimensione storica di genere veniva presa in considerazione. All’interno dell’intervista un passaggio ha attirato l’attenzione delle molte critiche sollevate da più parti. Il pezzo interessato è il seguente (tratto da La Stampa del 21 ottobre).

Va da sé che il timore del professore di suscitare scalpore causa un’affermazione, che lui stesso sottolinea come impopolare, si è avverato. Non poteva essere altrimenti, dato che nella realtà attuale della comunicazione, tutto viene interpretato e letto velocemente, pronto a suscitare scalpore, prima che ragionamento, per poi essere bruciato nel dimenticatoio delle pulsioni mediatiche.

Vanno fatte due precisazioni. Barbero non ha bisogno di alcuna difesa d’ufficio, men che meno della presente. Il rilievo dell’articolo è interessante in quanto riguarda la dimensione di genere e la subalternità sociale in cui essa viene costretta, causa delle “differenze strutturali”, che in pratica sottolineano la necessità di essere sostanzialmente delle carogne (spavalde e aggressive) per fare carriera in questa società, quasi lasciando ad intendere che tale attributo sembra essere più proprio dei maschietti, quasi in maniera esclusiva.

Lo storico nella sostanza ha ricordato che nello squid game della competizione sociale le donne sono destinate a perdere. E lo ha fatto in correlazione a figure storiche femminili legate a contesti storici, personali e identitari molto forti: Madre Teresa di Calcutta, figura religiosa controversa, Nilde Iotti, comunista e donna delle istituzioni che non fu certo sempre trattata con riguardo dai suoi stessi compagni di partito, per arrivare poi a Caterina di Russia, la quale era tutto fuorché una sovrana aperta ed illuminata. Insomma Barbero sottolinea come la dimensione di genere, sia un modello “altro” rispetto a quello dominante e dei dominatori, e per tale motivo, come tutte le diversità, incontra non pochi problemi lungo la strada dell’affermazione sociale.

L’alzata di scudi contro questa affermazione dimostra come molti, e soprattutto molte, abbiano non solo mal interpretato le parole dello storico, enucleandole dal contesto in cui erano collocate e utilizzandole solo per lanciare slogan e maledizioni di ogni genere (con la scusa del genere), unicamente per dire qualcosa, rubare attimi di attenzione per sé sui media e prendersela con un intellettuale che, insomma, un po’ troppo comunista sembra apparire! A dire il vero qualche voce fuori dal coro si è sollevata ed in alcuni casi ha sottolineato che, se per poter far carriera bisogna essere spavalde e aggressive, essere cioè delle vere e proprie …onze, tale ruolo andrebbe lasciato ben volentieri ai maschietti.

Alla fine la sintesi è quella nota. Essere donna comporta certamente una diversità biologica rispetto all’essere maschio, ma in questo i fattori di condizionamento, segregazione, sottomissione e sfruttamento sono tutti legati alla costruzione sociale delle disuguaglianze, delle stratificazioni, dei suoi costrutti culturali che affermano il primato unico solo di certe peculiarità di fondo: maschio, bianco, etero, e cis, magari anche con la “giusta” religione professata: quella del potere. In tutto ciò cade anche la bella favoletta che le donne non primeggiano per colpa delle… donne.

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