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Disturbo cronico. Quando lavorare porta amarezza

di Francesca Gianfrancesco

La vita del lavoratore, peggio se precario, è ardua. Restare sereni è diventata sempre più una missione impossibile in un ambito caratterizzato da continue tensioni e insoddisfazioni, compromessi e mancanza di prospettive. Queste situazioni generano sensazioni di malessere, ansia e tristezza associate a manifestazioni psicosomatiche come gastrite, colite, mal di testa.

Il lavoro precario e lo stress ad esso correlato

Lo stress lavorativo e la tendenza a somatizzare

Magari molti ne soffrono ma associano quel fastidioso mal di stomaco di fine turno al cibo sbagliato, la cefalea alla stanchezza o a cause puramente fisiche. Difficilmente vengono associate all’espressione della paura del futuro, all’incertezza che avvolge la vita quotidiana, alla rabbia nei confronti dei superiori o colleghi.

Si somatizza dunque, esprimendo fisicamente un disagio psicologico con questo tipo di malessere che, anche se non ci sono evidenti ragioni organiche, continua a persistere. Ha un nome ben preciso ed è una delle malattie del nuovo millennio, una nuova forma di stress-lavoro correlato, dove questi, il lavoro, manca o è precario. Chi né è affetto inoltre, passa gran parte del tempo a riflettere sulla propria situazione e rimugina su tutte le ingiustizie, vere o presunte, che subisce durante la sua vita lavorativa (o non lavorativa) aumentando il livello di stress

Lo stress lavorativo dunque è in grado di determinare la salute psicofisica del soggetto. In inglese viene chiamato embitterment disorder, da noi viene riconosciuto come sindrome da amarezza cronica. Non è una semplice depressione, perché è legata a un motivo ben preciso, ovvero la mancanza di prospettive lavorative. Non esiste una categoria di lavoratori più colpita rispetto alle altre. Infatti può interessare chiunque, indipendentemente dall’età e dal sesso. Ne soffrono molto anche i giovani e i neolaureati. Questi individui vanno incontro più frequentemente a forme di lavoro precario e questa instabilità, la mancanza di prospettive unita alle speranze ferite vengono percepite come una forte ingiustizia che ben presto si trasforma in malessere. 

Si tratta di una forma di disturbo dell’adattamento, una reazione psicologica ad un evento vissuto come negativo. Diversamente dallo stress post-traumatico dovuto ad eventi riconosciuti come tali (guerre, violenze fisiche, catastrofi naturali e simili) il disturbo da amarezza cronica è legato ad eventi ritenuti non traumatici ma che hanno una frequenza e una forza tale da innescare un circuito di emozioni. Un senso perenne di amarezza, una sensazione di impotenza dovuta al non riuscire a cambiare le cose sono i turbamenti che spesso troviamo in queste persone.

Lentamente, giorno dopo giorno, il ricordo di questo evento vissuto sul lavoro diventa parte del quotidiano anche fuori dall’orario di lavoro. Nell'individuo colpito il problema si intrufola nei suoi pensieri anche in ambiti più strettamente personali tali da renderlo ancora più irritabile. Cautamente gli toglie la libertà di azione negandogli la gestione della sua vita privata. La rassegnazione accompagna il peggioramento delle relazioni e degli affetti, generando anche il senso di colpa. Insorgono i disturbi del sonno quindi di conseguenza diventa difficile dormire. Adattarsi alla realtà diventa una lotta che si ritiene di non poter vincere, l’amarezza è la compagna di tutti i giorni, la normale vita viene compromessa.

L’unica difesa che abbiamo per non restare vittime dell'amarezza sono i meccanismi di auto protezione e di riduzione dello stress. Si deve cioè provare ad arginare quel vissuto negativo evitando di dar troppo peso a ciò che succede sul lavoro, dando un nuovo valore positivo alla professione. Bisogna trovare altri sbocchi in cui ci si possa realizzare. Diventa fondamentale proteggere la vita quotidiana e i propri affetti coltivando il dolce che si ha dentro unito ad un pensiero propositivo nonostante le stressanti condizioni lavorative.

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