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Editoriale

Il cuoco, l’imprenditore e lo studente infermiere

di Giordano Cotichelli

Nel 2005 le famiglie in povertà assoluta in Italia erano 819.000, con un’incidenza del 3,6%. Nel 2020 sono diventate 2.007.000, pari al 7,7% (ISTAT). Nei quindici anni trascorsi c’è stata una crisi economica globale, una pandemia – ancora in corso – ed ora si aggiunge anche una guerra che rischia di diventare, sempre più, combattuta su scala mondiale. In questo quadro generale, fra i più brutti della storia repubblicana, ogni tanto la classe politica e dirigente di questo paese ci regala delle perle di saggezza che rinfrancano i cuori più tristi.

Studenti infermieri: giovani che lavorano gratis e pagano le tasse

Un ricco cuoco, e personaggio televisivo, in merito alle problematiche della mancanza di personale per i servizi di ristorazione, se la prende con le giovani generazioni che avrebbero la pretesa di essere stipendiati, esigere dei giorni di riposo, un orario adeguato, e altre cose di questo tipo, quando in realtà: Lavorare per imparare non significa per forza essere pagati. I ragazzi vogliono compensi importanti, da subito. Gli fa eco in questo, un noto imprenditore che si sofferma sull’assenza di spirito di sacrificio presente nelle ultime generazioni, mentre lui addirittura andava per campi a raccogliere mele per due soldi.

In entrambi i casi, le affermazioni fatte hanno la capacità di mostrare la caratura dell’attuale classe dirigente, la composizione dei ricchi e il loro retropensiero che, oltre a non vedere più in là del loro prezioso e dorato orticello, considerano, secondo la visione liberista più classica, un demerito per i poveri l’essere… poveri; ed un fatto abbastanza disdicevole per i lavoratori il pretendere di essere… pagati.

Intanto, si potrebbe pensare, per chi si lamenta che ci sono pochi infermieri ed è necessario incentivare i giovani nel compiere questa scelta, di prevedere il non pagamento delle tasse universitarie come riconoscimento salariale per chi, durante il corso di tre anni, lavora gratuitamente.

I due personaggi citati, più tanti politici che la pensano come loro, e per loro si adoperano, magari perdono di vista che qualcuno dei giovani fannulloni appartiene a quei due milioni e passa di famiglie povere che non si possono permettere in nessuna maniera di lavorare gratis. È vero che il lavoro, in giovane età, va inteso anche come scuola di vita e di apprendistato, ma di quale lavoro stiamo parlando e di quale vita? Certo, riuscire ad entrare nel gotha del jet set, o nel mondo dei vip, o comunque negli strati alti della società, ricchi e protetti, qualche sacrificio lo merita, ma questo vale per una percentuale così irrisoria da non fare testo e che ad ogni modo può esistere perché una alta numerosità di persone prende stipendi da fame, con diritti assenti per lavori infami.

Un esempio fuori da ogni retorica? Gli studenti infermieri dei vari corsi di laurea. Costoro pagano le tasse universitarie per circa un triennio di corso e per lo stesso arco di tempo effettuano un tirocinio che li vede in formazione e al lavoro nelle corsie e negli ambulatori, sul territorio e nei servizi sanitari vari, non solo al fine di imparare una professione, ma in attività per garantire un’assistenza adeguata, ed aggiornata, ai tanti utenti del servizio sanitario nazionale.

Giovani che dunque lavorano gratis e pagano le tasse. In sostanza il contrario di tanti saccenti evasori. Inoltre in non pochi casi poi, molti studenti infermieri si mantengono agli studi facendo vari lavori, spesso malpagati e precari, cercando poi di ritagliare il tempo necessario per studiare. Il premio finale è la laurea da infermiere e la professionalità e la conoscenza tutta che saranno in grado di riprodurre. Buona cosa certo, però non è stato sempre così.

Fino al Diploma Universitario, nei corsi regionali, veniva erogata una borsa di studio, minima, che in parte sosteneva le piccole esigenze dello studente in formazione. Nulla di che, ma almeno non era costretto né a lavorare gratis, né a pagare le tasse universitarie che, diciamolo, sono un’espressione di iniquità dell’istruzione pubblica nella società moderna. Facile retorica e demagogia da quattro soldi?

Come dubitarne, ma è necessario a questo punto fare un piccolo sforzo ulteriore e cercare di vedere oltre il proprio piccolo naso, come sembra facciano d’abitudine il cuoco e l’imprenditore, e guardare il contesto attuale socio-economico in cui vivono le giovani generazioni che, ancor prima della pandemia, già soffrivano in una discreta percentuale, di disturbi depressivi, i quali poi sono stati accentuati dagli eventi degli ultimi due anni (lockdown, DAD, etc.).

Il tutto in un quadro educativo impoverito dal peggioramento della qualità dell’istruzione pubblica – causa i tanti tagli effettuati in questi decenni – ed un livello di peggioramento della preparazione culturale, appiattita unicamente ai fini dell’uso pulsionale dei prodotti dei social media da consumare.

Gli spazi e i tempi della socialità ridotti sempre più e finalizzati troppo spesso alla sola competizione sportiva o musicale, con capacità relazionali ipotrofiche, di cui il bullismo è solo una delle tante espressioni. Alla fine l’offerta del mercato è rappresentata dalla miseria della tossicità della movida nei fine settimana, senza andare poi a finire in quello che è il consumo di sostanze a vari livelli che ha visto abbassarsi l’età di iniziazione in maniera molto preoccupante. Le risposte istituzionali a tutto ciò da tempo si sono indirizzate solo in senso securitario: telecamere e strette legislative, prove evidenti del fallimento pedagogico dell’attuale società. Un giovane quattordicenne viene accoltellato a Napoli? Si guarda al fatto singolo e si evita di leggere il contesto di depauperamento generale di questo paese.

Molto altro si potrebbe aggiungere, ma quanto detto può essere sufficiente per rispondere all’arroganza e alla nullità di chi esalta il servilismo e la povertà altrui unicamente per legittimare il proprio privilegiato modo di vita. Dalle mie parti si dice che i soldi mandano l’acqua in salita (per d’in su). Ed è vero, ma non necessariamente questo significa che sia giusto e meritevole.

Molti giovani in questo paese sono impegnati in opere di volontariato e per questo non ricevono attestati o ricompense alcune. Molte persone considerano la solidarietà anonima e gratuita un atto dovuto, come lo sono i giusti stipendi ed i giusti orari per chi lavora.

Presto arriverà anche nel nostro paese il dibattito sulla riduzione delle ore e delle giornate lavorative. Come reagiranno i sostenitori dello sfruttamento lavorativo è facile da intuire. Come reagiranno i giovani non è scontato in alcun modo. Intanto, si potrebbe pensare, per chi si lamenta che ci sono pochi infermieri ed è necessario incentivare i giovani nel compiere questa scelta, di prevedere il non pagamento delle tasse universitarie come riconoscimento salariale per chi, durante il corso di tre anni, lavora gratuitamente.

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Commenti (1)

Anna!!!

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1 commenti

Parere personale

#1

Se mettessero le facoltà di infermieristica ad accesso libero questo problema non ci sarebbe. Ci sono persone che mirano a questa professione ma i test di ammissione sono troppo selettivi.