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Editoriale

Medici H 16 per una sanità che cambia. E gli infermieri?

di Giordano Cotichelli

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Quando ci sarà bisogno di una prestazione di emergenza verrà attivato il 118. Partirà l’auto medicalizzata predisposta con l’infermiere a bordo che potrà eseguire un primo triage di valutazione.

JESI. Nei giorni scorsi è stato approvato il documento che sostanzialmente ridisegna la sanità territoriale italiana. I medici di famiglia e i medici di continuità assistenziale (quelli che fino a ieri si chiamavano guardie mediche) risponderanno ai fabbisogni di salute del territorio dalle 8 della mattina a mezzanotte (per il pediatra di libera scelta dalle 8 alle 20), per cinque giorni a settimana.

Quando ci sarà bisogno di una prestazione di emergenza verrà attivato il 118. Partirà l’auto medicalizzata predisposta con l’infermiere a bordo che potrà eseguire un primo triage di valutazione.

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Medici 16h su 16h in servizio... e gli infermieri?

Inoltre partiranno sempre dallo studio medico le prenotazioni dirette per esami diagnostici e ticket, bypassando in buona parte alcune funzioni dei CUP. L’ottica è quella del nuovo modello assistenziale legato alle AFT (Aggregazioni funzionali territoriali) che faranno poi riferimento alle UCCP (Unità complesse di cure primarie) presenti sul territorio lungo una prospettiva multidisciplinare e interprofessionale.

Insomma più territorio e meno ospedalizzazione, uso razionale delle risorse e prossimità maggiore fra medici e cittadini, lungo un percorso di ridefinizione della Sanità italiana con ricadute positive: decongestione delle sale di attesa negli ambulatori e nei Pronto Soccorso, riduzione di liste di attesa e di ricoveri impropri, ma soprattutto mantenimento di livelli avanzati di tutela della salute. Almeno è quello che in questa prima fase si può sperare. Sperare è il verbo ancora da usare, dato che fino a prova contraria la rimodulazione della sanità italiana ha un aspetto molto diverso dalla rivoluzione che venne fatta nel 1978 con la creazione del SSN. Allora si arrivò finalmente a costruire un sistema universalista che spazzava via prestazioni e servizi differenziati a seconda del reddito da lavoro (le vecchie mutue) e garantiva così a tutti l’accesso alle cure. Oggi invece, a fronte di un sistema sempre più insostenibile e carico di diseguaglianze, si ridefiniscono gli ambiti e le progettualità di intervento con molte aspettative positive, ma anche con non poche perplessità per il futuro.

In primo luogo sono stati avanzati dubbi sulla funzionalità della copertura assistenziale prevista, e su che cosa potrà accadere nelle ore non direttamente coperte dai nuovi servizi. Il timore è quello di trovarsi di fronte ad una fase di transizione che possa dare il via a ricadute negative sui bisogni degli utenti. Una fase che può rischiare di realizzarsi a macchia di leopardo così come si presenta la stessa sanità nel paese, con molte differenze fra Nord e Sud, fra centro e periferia, fra provincia e città.

In questo la professionalità infermieristica è stata più volte chiamata in causa. In maniera diretta, rispetto alla gestione dell’emergenza territoriale dove la questione del see and treat continua ad essere oggetto di polemica e di rallentamenti di vario genere. Chi teme sovrapposizioni, chi perdita di ambiti specifici di intervento e chi infine paventa il rischio di prestazioni improprie. Difficile dare una risposta univoca a tutti questi timori. In Emilia Romagna hanno legiferato in merito, ma la questione è di la dall’essere risolta in termini di autonomia, riconoscimenti, prestazioni. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad un bivio: da un lato il rischio che la professionalità infermieristica trovi un maggior spazio di intervento sul territorio, liberandosi ulteriormente dagli angusti confini ospedalieri, dall’altro però che questo avvenga con il rischio di una perdita di quella autonomia e professionalità duramente conquistate fino ad oggi. Nelle nuove AFT quale sarà il ruolo dell’infermiere? Sarà una figura al pari del professionista medico, da un lato la clinica e dall’altro l’assistenza, oppure dovrà contendersi gli spazi con segretarie sanitarie e darsi da fare per telefono alla ricerca di prenotazioni, appuntamenti, etc.

L’infermiere di famiglia potrà assumere un ruolo, sul piano dell’assistenza, al pari di quello che in passato aveva il medico di famiglia, oppure potrà ritrovarsi appiattito, come in passato, nella mera esecuzione di compiti e funzioni in una posizione ancillare fuori moda.

Si sono già visti, dove sono rimasti spazi di intervento, risultati positivi sul piano della promozione e della prevenzione della salute: ambulatori infermieristici, UOGI (Unità Operative a Gestione Infermieristica), medicina di iniziativa e così via.

Dalla Toscana, al Lazio, dall’Emilia Romagna al Friuli vari sono stati gli esperimenti e le ricadute sul piano dell’offerta ai bisogni di salute della collettività, del contenimento dei costi, della multidisciplinarietà, si sono fatte sentire. Ma sembra che ancora molta strada debba essere fatta al fine di avere una strutturazione ed un riconoscimento che si faccia sistema da un lato, correlato alle scelte politiche di governo, dignità professionale dall’altro, legato alle relazioni interdisciplinari e sapere diffuso infine sul piano della formazione e dell’aggiornamento, irrinunciabili per una professione che voglia farsi protagonista del cambiamento. Per una professione che deve essere considerata protagonista del cambiamento. Molto c’è da fare, nell’immediato e nel prossimo futuro. Gli esiti non sono scontati ed è necessario mantenere alta l’attenzione sull’universalismo di un sistema sanitario che sta cambiando, sull’equità d’accesso e sulle prestazioni erogate. A partire anche dagli spazi e dagli ambiti di sviluppo della professione infermieristica.

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