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Editoriale

Professione infermieristica e impegno sociale.

di Giordano Cotichelli

infermiere burnout

Una seria riflessione su quanto accaduto nei giorni scorsi: "Non ci si spoglia della divisa di infermiere alla fine del turno e non ci si può dimenticare al tempo stesso di essere soggetti di un paese che sta cambiando rapidamente e che in molti casi sembra stia tornando indietro sul piano delle garanzie."

JESI. Nel commentare l’editoriale del 10 marzo scorso dal titolo: “Cattiva salute e sistema Italia: le risorse dell’infermieristica” un collega mi scrive alcune considerazioni puntuali e stimolanti che suggeriscono un approfondimento ulteriore alle tematiche, o meglio alla chiave di lettura presentata al fine di allargare l’orizzonte evitando così la riproposizione, molto comune al nostro interno, del “vogliamoci bene e rimbocchiamoci le maniche”.

Detto questo, riporto il testo del collega: “Oltre alla facciata retorica che c'è, e tu menzioni, non è che con il nostro saper fare, saper essere e l'intreccio relazionale invece che dare un valore aggiunto, va a tappare falle aperte dai tagli, ritardando di fatto, mitigando in alcuni casi gli effetti della "revisione finanziaria". Fino a quando reggeremo, fino a quando avremo i tappi giusti per le falle .... e poi sarà nuovo Vajont? Con la susseguente restaurazione, che gioco forza verrà demandata alla finanza privata? Per il momento questo valore aggiunto che ogni infermiere o altro professionista mette, in misura maggiore o minore, correlata alle risorse individuali disponibili, e non solo), finalizzato a sopperire le criticità di un’offerta sanitaria ridotta all’osso, continua a rendere il nostro sistema sanitario più operatore dipendente, strettamente correlato al suo spirito di sacrificio più che alla sua professionalità.”

Difficile non concordare con quanto scritto, specie in queste settimane in cui infuria la polemica per le umilianti considerazioni fatte su alcuni media televisivi, in tema di triage e a fronte della carenza infermieristica che definire cronica rischia di essere un eufemismo. I numeri OCSE parlano di una media di 9 infermieri ogni 1000 abitanti. L’Italia si trova a valori di 6 ogni 1000. A questo si può aggiungere l’aumento preoccupante della disoccupazione ad un anno dalla laurea infermieristica, salita dal 25% del 2009 al 81% del 2013. In generale si ravvisa nell’immediato un bisogno di almeno 60.000 infermieri, considerando che nei prossimi anni, con il pensionamento dell’attuale baby boom generation in servizio, che sta progressivamente invecchiando, c’è chi parla nell’immediato futuro di 250.000 unità.

Il grido d’allarme lanciato dal collega è più attuale che mai anche se rischia di spingere verso una lettura appiattita unicamente sul piano della carenza infermieristica che è in realtà l’aspetto di un problema più ampio ed articolato dato che il ruolo dell’infermiere, e gli ambiti di intervento, debbono essere letti in un'ottica di sistema, e di conseguenza affrontati come tali: sul piano sindacale, politico, sociale. In merito quando qualcuno ha detto, tempo fa, in occasione di una consultazione elettorale che, qualsiasi fosse stata la scelta l’importante era votare un infermiere, per dare peso alla professione, ha messo in evidenza il bisogno di una maggiore presenza all’interno della società in cui viviamo; e la partecipazione alle consultazioni elettorali è solo uno degli aspetti di quello che un infermiere può fare a livello sociale, come professionista, o come utente di un sistema di welfare universalistico, o come cittadino di quello che dovrebbe essere uno stato democratico e di diritto, o come volontario, caregiver, attivista, etc.

Non ci si spoglia della divisa di infermiere alla fine del turno e non ci si può dimenticare al tempo stesso di essere soggetti di un paese che sta cambiando rapidamente e che in molti casi sembra stia tornando indietro sul piano delle garanzie. Proprio chi lavora in sanità sente in prima persona questo cambiamento che fino ad oggi ha assunto la doppia faccia di tagli e aumento di indicatori sanitari negativi. Nelle ultime analisi della Corte dei Conti si è messa in evidenza una spesa pro capite di circa 47 euro a testa, ripartiti sostanzialmente in maniera uguale fra spesa farmaceutica e altre prestazioni.

L'istituto registra un calo che, nel 2015, si attesta sui 2.857 miliardi, ma che sostiene una analisi del fenomeno in cui si vede come la compartecipazione alla spesa (il ticket) favorisce più lo spostamento verso prestazioni private che non verso una razionalizzazione. In ciò si ritorna ai 47 euro a testa che se vengono valutati attraverso la lente di chi realmente ha usufruito e usufruisce delle prestazioni rischia di raddoppiare. Ecco, l'infermiere in tutto ciò è colui che in servizio prende in mano l'impegnativa, verifica esenzioni e pagamenti, ascolta lamentele e filtra richieste, risponde alle urgenze, media, chiede, sostiene, o si irrigidisce nella sua funzione e non sente ragioni. In tutto ciò si è corpo sociale e, se si è costretti a chiedere il pagamento di una prestazione, la ricevuta di una visita, il codice di un'esenzione, allo stesso tempo per mandato sociale e professionale, bisogna mettersi in gioco per capire come denunciare carenze, disuguaglianze, disequità, per sostenere la domanda e modulare la risposta, per essere veicolare educazione sanitaria nella società e farsi strumento rivendicativo di diritti, nel ruolo proprio dell'advocacy professionale e della società democratica partecipata in cui viviamo.

Se qualche infermiere è stato eletto in parlamento, se molti di più sono impegnati nel sindacalismo, tanti altri fanno parte di associazioni di volontariato che portano il loro contributo solidale nel mondo e, in diversi casi, anche nel nostro paese che comincia a vivere situazioni di vera e propria emergenza sanitaria. Ricordarsi questo, farne tesoro, organizzare risorse professionali e sociali e denunciare abusi, diventano mandati imperativi per l'infermiere che vanno oltre l’essere professionista e cittadino, ma ne fanno un rappresentante attivo di una comunità umana solidale e giusta. Se la coperta è diventata troppo corta… ne vogliamo una nuova: siamo in grado di cucirla da soli, di rattopparcela se serve, ma anche di sognarne e rivendicarne una nuova.

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