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Tachipirina, la pillola del mal d'amore.

di Federica Cerbelli

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FABRIANO Usata per curare svariate patologie, la tachipirina oggi sembra essere una valida alleata anche per superare le pene d’amore, oltre all’influenza e mal di testa. Questo è quanto emerge da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori americani coordinati dalla psicologa Naomi Eisenberger, dell’Università della California, con la pubblicazione di alcuni studi nella rivista Psycological Science.

 

DOLORE FISICO E PSICOLOGICO. Gli studi hanno dimostrato che le aree responsabili del dolore fisico e di quello emotivo siano in parte sovrapposte. E la Tachipirina, farmaco noto per la capacità di placare il dolore fisico, è allora in grado di alleviare le sofferenze che derivano dall'essere abbandonati dalla persona amata. Lo studio è stato condotto su 62 studenti universitari.

Per verificare l’efficacia del farmaco in questione come 'antidolorifico emotivo', Eisenberger e colleghi sono partiti da uno studio di tipo comportamentale in cui le persone studiate erano tutte in condizioni di buona salute. Hanno assunto ogni giorno, per tre settimane, 1.000 milligrammi di Tachipirina o, in alternativa e a loro insaputa, la stessa dose di placebo, cioè di una sostanza priva di qualunque principio attivo.

RIDOTTA LA PERCEZIONE DEL DOLORE. Il passo successivo è stato individuare i circuiti nervosi alla base di tale meccanismo. Nel secondo esperimento 25 studenti universitari hanno assunto per tre settimane la dose quotidiana di 2.000 milligrammi di tachipirina o di placebo. A fine trattamento a ognuno di loro è stata fatta una risonanza magnetica funzionale mentre si cimentavano con un videogame in cui si doveva lanciare la palla a un altro giocatore a sua volta doveva rilanciarla. Nel primo round il giocatore è incluso nei passaggi del pallone per l’intera partita; nel secondo round, invece, viene escluso dopo aver ricevuto il pallone per la terza volta.

I risultati hanno dimostrato che la Tachipirina è in grado di ridurre sia l’attività neuronale sollecitata in risposta alla percezione dell’esclusione sociale sia quella associata alla componente affettiva del dolore fisico. Dolore meno sopportabile nelle giornate di stanchezza e malinconia.

Per arrivare a comprendere la percezione del dolore fisico nell'ultimo decennio la comunità scientifica ne ha studiato con attenzione la natura fisiologica grazie alle potenzialità offerte dalla risonanza magnetica.

Tra le scoperte, si è capito che la percezione del dolore fisico si suddivide in due componenti: da un lato la capacità di distinguere che tipo di dolore proviamo (acuto, diffuso, profondo, superficiale, breve, prolungato) e dove si localizza (arriva dal piede, dalla pancia) mentre dall’altro quella di valutare soggettivamente quanto per noi è sopportabile. Un dolore di intensità costante, infatti, può essere meno sopportabile in una giornata in cui siamo stanchi, malinconici o arrabbiati.

SOVRAPPOSIZIONE DEI CIRCUITI NERVOSI. “Significa che esiste un’interazione fra la parte sensoriale e la parte cosiddetta affettiva del dolore fisico”, spiega il neuroscienziato sociale Salvatore Maria Aglioti, professore di Psicologia all’Università La Sapienza di Roma. “A livello del sistema nervoso, la rappresentazione del dolore si basa su una molteplicità di strutture cerebrali che nel complesso costituiscono la matrice del dolore. Se la componente sensoriale del dolore fisico e quella affettiva si snodano lungo aree cerebrali differenti, esiste poi un’ampia sovrapposizione fra tali circuiti nervosi e quelli responsabili del dolore emotivo o sociale”.

SOVRAINTERPRETAZIONE DEI RISULTATI. Secondo Aglioti il modello sperimentale adottato dal gruppo di ricercatori di Eisenberger è corretto, ma “il problema è che i risultati sono stati sovrastimati. È senza dubbio interessante, e condivisibile, che esista una parte di sovrapposizione fra aree cerebrali responsabili della componente affettiva del dolore fisico e del dolore sociale, ma non si può concludere che le due cose coincidano”. Per Aglioti, quanto osservato dai ricercatori americani riguardo ai fenomeni del rifiuto sociale, è molto simile a ciò che accade quando si guarda un’altra persona soffrire: “Anche in questo caso esiste una parziale sovrapposizione tra le strutture neuronali coinvolte del dolore fisico percepito in prima persona e in quello percepito attraverso l’esperienza altrui”.

AZIONE SOLO SUL SINTOMO DEL PROBLEMA. Tuttavia anche il Professore si è detto convinto che “un efficace antidolorifico possa agire su un fenomeno complesso come la percezione del dolore emotivo”. L'uso della Tachipirina mira a “placare l’eccesso di attività cerebrale presente nel momento di sofferenza acuta ma, come nel caso della somministrazione di un antidepressivo, può agire solo sul sintomo e ha senso che sia associata a una valida psicoterapia”. È infatti plausibile che, grazie alla plasticità del cervello umano, la terapia della parola possa modificare i circuiti nervosi che regolano la sfera emotiva del paziente e contribuire alla risoluzione profonda del problema.

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