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spazio etico

Che cosa è Vita? Quando?

di Ivana Carpanelli

Ci sono luoghi dell’anima ai quali di necessità manca un tempo. Inesorabile ed immutabile nel suo incessante divenire, Chronos1 non può scandire il dolore e la malattia, il tormento e l’angoscia. La sofferenza abita i luoghi del Kairos2, che immancabilmente presiede al rito dell’eternità, che si fa istante ed eternamente si rinnova, e presuppone un “tempo opportuno”, sensibilità e responsabilità. La sofferenza non può mai essere un valore. E nulla dovrebbe ripugnare maggiormente lo spirito umano del dolore patito da un essere capace di averne consapevolezza.

Le distanze dell’etica sono luoghi che spesso ci rifiutiamo di abitare

Il dolore che ci appartiene, al di là di una mera esperienza solipsistica3 di cui spesso abbiamo percezione, non può mai essere pienamente condiviso. La sofferenza si scruta, ma non si lascia guardare, si sente senza che possa essere udita. La coscienza, aggredita dall’esperienza del nulla, si rifugia altrove.

I valori, come già rilevava Balzac nella sua celebre parabola del mandarino cinese4, reciso il freno legale rappresentato dal castigo, allentata la morsa della solidarietà umana per effetto della distanza, sia essa nel tempo, nello spazio o nei legami affettivi, mostrano serie difficoltà a reggersi sulla semplice compassione, sul puro senso morale. Proviamo compassione per chi è simile a noi, perché la compassione è legata alla paura che il dolore possa succederci.

Se puoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva (José Saramago)

Confuse immagini di libertà perduta ci fissano dalle loro prigioni, in un percorso angoscioso rudemente esteriorizzato, che invita alla fuga e solo a tratti costringe alla riflessione. Un chiaro esempio di questa fuga del senso morale di fronte alla sofferenza più atroce è rappresentato dall’accanimento terapeutico.

Un tubo è forzato attraverso la gola, in modo che l’ossigeno possa entrare ed una macchina cuore polmone garantisce la respirazione forzata. L'immobilità e la compressione spesso e inevitabilmente provocano piaghe da decubito e svariate infezioni. Finché la morte non sopraggiunga a portare finalmente sollievo!

Ho visto il corpo di mia madre trasformarsi ed ho sentito in me le sue mute urla di dolore; il suo volto segnato dalle profonde e irreversibili deficienze cognitive e mentali dovute alla massiva emorragia cerebrale. Non sembra per nulla incredibile che in questo tempo di successi scientifici si senta la necessità di ripensare storicamente la visione generale del rapporto malattia-sofferenza e non solo per la specie umana, ma per tutte le forme di vita, animale e vegetale del pianeta.

C’è bisogno di un’etica della cura, di una cura per l’etica

La giustificazione della sofferenza e del male nel mondo è sempre stato un tema caro alle metafisiche di ogni cultura. Quanta sofferenza siamo in grado di accettare? Quanta ne presupponiamo nella ricerca dei nostri fini?

Una volta appurato che il corpo è capace di provare insostenibile e inutile dolore, fin dove è lecito e moralmente giustificabile protrarre ad oltranza e per forza la vita? Una teoria dei valori che espelle il dolore e la sofferenza da ogni considerazione morale, ponendosi, per così dire, al di là5 del bene e del male, produce una distanza dall’etica che genera anche un’etica della distanza.

Sospesi fra ipocrisia e indifferenza non riusciamo ad eludere i limiti di una prospettiva mistica e cieca di fronte alle innegabili manipolazioni, possibili anche grazie alla scienza e alla tecnologia. C’è bisogno di un’etica della cura, di una cura per l’etica. Con l'espressione “prendersi cura” ci riferiamo ad un'attitudine fondamentale di disponibilità nei confronti dell'altro. “Cura”, quindi, come sollecitudine per la sorte di un altro individuo sorretta da una conoscenza della sua realtà, delle sue esperienze, dei suoi bisogni.

In effetti, non si può dire di prendersi cura di qualcuno se non si è disposti a capirlo, a rispettarlo e a ridurre per quanto è possibile la sofferenza di cui può essere vittima, in particolare se l'individuo in questione non è in grado di farlo, e pur tuttavia ci chiede o ci ha chiesto aiuto per non soffrire inutilmente.

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