Sembrava una notte tranquilla, come molte altre. Avevamo i nostri turni, i pazienti da gestire, l’attenzione costante a valutare urgenze e priorità. Poi, improvvisamente, tutto è cambiato. Una donna in evidente stato di alterazione psicofisica, sotto effetto di sostanze stupefacenti, ha perso completamente il controllo. Ha aggredito un’operatrice socio-sanitaria colpendola con un oggetto appuntito. Subito dopo ha iniziato a correre per i corridoi, urlando e tentando di colpire chiunque incontrasse.
Una notte come tante, finita nel caos
Aggressione al PS di Rimini.
Il panico è scoppiato in pochi secondi. In sala d’attesa c’erano anziani, bambini, pazienti fragili, familiari. Tutti si sono ritrovati in fuga, insieme a noi operatori – infermieri, medici, Oss – cercando riparo in qualsiasi luogo si potesse chiudere a chiave.
Ma in pronto soccorso, le stanze davvero sicure sono poche. Alcuni si sono rifugiati nei bagni, altri in locali di servizio. Ricordo nitidamente i pugni sulla porta , le urla, il terrore che si diffondeva nei corridoi.
Il coraggio dei colleghi, l’attesa delle forze dell’ordine
Quando le urla si sono fatte più lontane, abbiamo capito che stava correndo nel corridoio del pronto soccorso pediatrico. Le guardie giurate l’hanno intercettata, e chiudendo progressivamente le porte siamo riusciti a isolarla. Ma era ancora troppo pericolosa.
Solo l’arrivo delle Forze dell’Ordine ha consentito di bloccarla definitivamente, grazie all’uso del taser. Fino a quel momento, i colleghi intervenuti hanno agito con coraggio, cercando di contenerla, ma era impossibile farlo senza rischiare di farsi male.
Dopo il pericolo, è rimasto lo shock. I giorni successivi sono stati segnati da un’ansia crescente, da un malessere che conosciamo bene ma che stavolta si è fatto più intenso. Ne abbiamo parlato tra noi, come facciamo sempre. Ma nessuna condivisione può cancellare la sensazione che qualcosa si sia rotto.
Non è la prima volta, ma deve essere l’ultima
Chi lavora in emergenza sa cosa significa affrontare il caos. Sappiamo cosa vuol dire gestire l’adrenalina, riconoscere le criticità, agire in tempi rapidi. Siamo abituati a fare tutto questo per i pazienti. Ma non siamo preparati a difenderci da chi entra con l’intento di fare male.
E purtroppo, questo non è stato un episodio isolato. Negli anni abbiamo visto pugni, calci, insulti, minacce. Abbiamo visto colleghi feriti e sangue nei corridoi. E troppo spesso ci è stato detto, più o meno direttamente, che fa parte del mestiere .
No, non fa parte del mestiere.
Un appello che nasce dalla paura, ma chiede rispetto
Lavoriamo in una struttura aperta 24 ore su 24, che accoglie chiunque, in qualunque condizione. E continueremo a farlo. Ma chiediamo che venga garantita la nostra sicurezza.
Abbiamo bisogno di un presidio fisso delle forze dell’ordine, soprattutto nelle ore notturne, quando si concentrano la maggior parte degli episodi più critici. L’estate è iniziata, la popolazione di Rimini cresce rapidamente, ma l’organico resta invariato.
Scrivo queste righe a nome di molti colleghi, mantenendo l’anonimato per tutelare chi ha vissuto direttamente questa esperienza. Perché quella notte è finita “bene”, ma solo per caso. E nessuno di noi dovrebbe vivere la paura che, prima o poi, possa andare diversamente.
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