Storie di persone dimenticate da tutti e dai servizi che li seguono, di persone non accettate, storie che fanno riflettere. Sono le storie che Benedetta, infermiera in una residenza sanitaria psichiatrica , incontra ogni giorno nel suo lavoro. Un lavoro in cui impari a relazionarti con persone imprevedibili, molto sensibili, devi dare il 100% a livello relazionale ed empatico . Impari ad agire in situazioni difficili e a rispondere in modo funzionale alle aggressioni dove quasi sempre trovi richieste disperate di aiuto .
Residenza sanitaria psichiatrica, dove l'infermiere fa la differenza
La mia esperienza di infermiera in una comunità psichiatrica con utenza di soli uomini
Oltre un cancello, nel bel mezzo di un panorama mozzafiato sulle colline, sorge la residenza sanitaria psichiatrica in cui lavoro. Quando mi presentai al colloquio mi era stata dipinta una situazione particolare, che subito aveva catturato il mio interesse.
Si tratta di una comunità psichiatrica con utenza di soli uomini ; tutti hanno commesso dei reati, molti hanno un passato di tossicodipendenza e tanti hanno dovuto affrontare l’Opg (ospedale psichiatrico giudiziario ).
In questa struttura scontano la loro pena a livello giudiziario e sono seguiti sul piano sanitario con supporto di team multidisciplinare di infermieri, operatori, educatori, psichiatri e psicologa.
La caratteristica della comunità rimane nell’approccio sperimentale con cui vengono trattati i pazienti: è impostata come una casa in cui le porte sono aperte , non ci sono telecamere e non esistono contenzioni .
Il patto per rimanere è quello di seguire la terapia e di collaborare per riabilitarsi alla vita in società e nel frattempo c’è la possibilità di sognare la libertà oltre il cancello, quel cancello che rimane aperto sulla campagna e profuma di fiori.
Quando accettai il lavoro ero un po’intimorita dal tipo di utenza anche perché era la mia prima esperienza a livello psichiatrico. Il primo giorno subito mi accolsero gli ospiti che erano contentissimi di vedere un viso nuovo.
Con il tempo ho conquistato la loro fiducia e ogni giorno i pazienti mi raccontano le loro storie, storie di persone dimenticate da tutti e dai servizi che li seguono, di persone non accettate, storie che fanno riflettere.
Molte di queste persone trascorrono la loro intera vita dentro queste strutture trasformando i dipendenti nella loro famiglia. Come in tutte le famiglie ci sono momenti di difficoltà.
Tante volte ho ricevuto minacce , sono stati aggrediti fisicamente dei colleghi e le soluzioni in questi momenti sono da prendere in fretta e non sono scritte sui manuali. Ci sono le volte in cui sono stati attivati dei TSO (trattamenti sanitari obbligatori), poiché i pazienti si scompensano e non si riesce a contenerli o a persuaderli, sono persone che hanno sofferto molto.
Come infermiera ritengo sia un’esperienza unica da vivere, poiché mette in mostra una realtà che molto spesso viene emarginata o forse quasi abbandonata a sé stessa.
Impari a relazionarti con persone imprevedibili, molto sensibili, devi dare il 100% a livello relazionale ed empatico . Impari ad agire in situazioni difficili e a rispondere in modo funzionale alle aggressioni dove quasi sempre trovi richieste disperate di aiuto .
Le terapie sono il tasto dolente e molte volte mi sono rattristata pensando che questo sia l’unico modo per affacciarsi ad un rientro funzionale nella società (se mai dovesse accadere un rientro), poiché convivere con neurolettici, antipsicotici e antidepressivi tutta la vita porta degli effetti collaterali enormi.
La figura dell’infermiere si occupa di gestire gli esami ematici, delle visite di controllo, si ha un rapporto continuo con il medico di base e con i servizi dei pazienti e le loro storie e situazioni spesso disagiate.
Con il tempo si capisce come prevenire degli scompensi e come comportarsi con pazienti in base alle determinate patologie. Fare l’infermiere in una comunità psichiatrica è un lavoro che comporta dei rischi, ma tanta soddisfazione a livello relazionale e crescita per quanto riguarda la gestione sanitaria sul territorio. Mi piacerebbe che questa figura fosse più riconosciuta e più tutelata.
Per il resto sono contenta di questo primo lavoro perché mi ha ricordato quanto il tempo di relazione sia anche tempo di cura e tutti ne avrebbero bisogno sempre un poco di più da parte nostra anche se molte volte siamo costretti a rimanere dentro tempi prestabiliti che tolgono al paziente la possibilità di esprimersi totalmente e a noi di poter ascoltare e rispondere di conseguenza.
Benedetta Vidi , Infermiera
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