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10 settembre

Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio

di Monica Vaccaretti

Un milione di persone muore ogni anno nel mondo per suicidio. Il tasso di mortalità è di 14,5 su 100.000 abitanti. Significa che ogni minuto si suicidano più di due persone, a volte ogni 40 secondi. Si tratta di una perdita di vite umane inaccettabile. Per i numeri globali e per il significato che l'atto porta con sé, è un problema di sanità pubblica non affatto trascurabile. Anche quest’anno, il 10 settembre ricorre la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, un modo per promuovere la consapevolezza nella comunità scientifica e nella popolazione generale sulla salute mentale e per sensibilizzare le persone sulla prevenzione del suicidio

Esistono ancora molti falsi miti sull’atto del suicidio

Il tasso di mortalità è di 14,5 su 100.000 abitanti. Significa che ogni minuto si suicidano più di due persone, a volte ogni 40 secondi.

Le persone che muoiono per suicidio non lasciano appunti. Nessuna nota dà spiegazione del gesto, raramente capita di trovare uno scritto. Ma otto persone su dieci che muoiono per suicidio hanno fornito indizi, precisi e numerosi, sulle loro intenzioni: sono avvertimenti, anche non verbali e a volte difficili da rilevare, che però non vengono colti.

Risulta inoltre che pochi muoiono per suicidio senza prima far sapere a qualcun altro come si sentono, la maggior parte grida aiuto. Non è pertanto vero, secondo un altro falso mito sul suicidio, che le persone che parlano di suicidio cercano solo di attirare l'attenzione. Alla fine, se ci riescono, lo fanno sul serio. Non è neanche del tutto vero che una volta che si è deciso di suicidarsi niente ti fermerà: le persone non vogliono morire, desiderano soltanto che il dolore che provano finisca.

Si pensa inoltre che il rischio di suicidio passi se lo stato emotivo migliora: le stime evidenziano invece che i più alti tassi di suicidio si verificano entro circa 3 mesi da un apparente miglioramento dopo uno stato di grave depressione.

È opinione diffusa che dopo un tentato suicidio sia improbabile riprovarci: è molto probabile invece ritentare, lo testimonia l'80% dei casi che ci riescono al secondo tentativo. È atteggiamento comune non menzionare il suicidio a qualcuno che mostra segni di depressione per timore che l'idea possa insinuarsi nella sua mente portandolo poi a compiere l'atto: risulta invece che le persone depresse hanno già considerato il suicidio come opzione anche senza che qualcuno gliene abbia parlato. Infine, si pensa erroneamente che se il tentativo di suicidio fallisce significa che la persona non era seriamente intenzionata a porre fine alla propria vita: la verità è che molte persone non sanno semplicemente come fare ad uccidersi ma il fattore importante da considerare non è il metodo, che può risultare fallimentare, quanto piuttosto l'intenzione.

Sul suicidio, l'atto con cui un individuo si procura volontariamente e consapevolmente la morte, esistono molti falsi miti nell'opinione pubblica. Nascono dalla mancata conoscenza e comprensione del fenomeno.

Parlare di suicidio è la cosa migliore che si possa fare per aiutare i potenziali suicidi. Anche se bisogna saper dire nel modo giusto, il non dire non è mai una buona scelta se si vuole aiutare qualcuno che pensa di suicidarsi. Perché morire da suicida non piace in realtà a nessuno. Occorre saper ascoltare e vedere i segnali che vengono lanciati

Un milione di persone muore ogni anno nel mondo per suicidio

Il tasso di mortalità è di 14,5 su 100.000 abitanti. Significa che ogni minuto si suicidano più di due persone, a volte ogni 40 secondi. Si tratta di una perdita di vite umane inaccettabile. Per i numeri globali e per il significato che l'atto porta con sé, è un problema di sanità pubblica non affatto trascurabile. L'incidenza del suicidio è elevata ed allarmante soprattutto tra i giovani. Secondo i dati epidemiologici dell'Oms, il suicidio rappresenta infatti la seconda o terza causa di morte tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni e i giovani adulti nei paesi industrializzati. È tra le prime 20 principali cause di morte per persone di tutte le età.

I comportamenti suicidari presentano un ampio spettro. C'è l'ideazione suicidaria che può essere soltanto un pensiero suicida, oppure l'idea si fa più articolata diventando un vero e proprio piano di suicidio. C'è il gesto autolesivo. Il tentato suicidio, che fallisce. La morte per suicidio, quando il piano si compie.

Si stima, inoltre, che per ogni morte per suicidio siano oltre 20 le persone che hanno tentato di togliersi la vita senza riuscirci. E sono molto più di 20 coloro che hanno pensato almeno una volta nella vita al suicidio, seriamente. Sono numeri impressionanti, sommersi. Le stime non sono precise, sono dati sottostimati.

In fondo nessuno sa cosa passi per la mente di qualcuno, sono pensieri che raramente si dicono. Si tengono per sé. I metodi per togliersi la vita cambiano nelle diverse parti del mondo a seconda dei mezzi letali a disposizione. Ingestione di pesticidi, intossicazione da farmaci e con gas di scarico di automobili sono i mezzi maggiormente diffusi.

Il fenomeno del suicidio è aggravato dal fenomeno dei survivor. Ogni suicidio si accompagna ad un sopravvissuto, la persona che resta e che ne viene colpita di riflesso. Familiari, amici, colleghi sono considerati survivor perché il suicidio di una persona con la quale ci si relaziona abitualmente impatta inevitabilmente sulla propria sfera sociale ed ha effetti psicologici non trascurabili. Sono altre persone che devono essere prese in carico, non lasciate sole. Possono essere considerate vittime indirette di un suicida o della situazione devastante che un suicida lascia.

Il fenomeno suicidario in Italia conta circa 4000 casi l'anno

Sono numeri che rappresentano un peso inaccettabile, sotto l'aspetto umano e per l'impatto sociale. Si registra inoltre che i casi di suicidio sono notevolmente aumentati in tutto il mondo nel corso della pandemia. Secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità le richieste di aiuto presso i servizi sanitari sono cresciute del 55% rispetto al 2020, in alcuni contesti sono addirittura quadruplicate coinvolgendo soprattutto gli under 26.

Sono numeri che descrivono tutto il malessere sommerso ed esplosivo degli ultimi tre anni e che sta venendo a galla. Che deve essere capito e fatto conoscere per non stigmatizzarlo. Purtroppo, lo stigma resta oggigiorno uno dei principali problemi nell'attuazione degli interventi preventivi.

Da sempre il suicidio è considerato una vergogna, in passato si falsificavano addirittura i documenti di morte o non si celebrava il rito funebre. Oggi si nasconde l'identità del suicida, per rispetto della privacy. Mi pare sempre una forma di vergogna, da parte della società. Forse invece rappresenta un fallimento sociale più che individuale. Di fronte ad un suicidio, la società ancora si spacca, razionalmente ed irrazionalmente.

Suicidologia e sanità pubblica

La suicidologia è lo studio scientifico del comportamento suicidario. È una disciplina che ne individua le cause e le modalità di prevenirlo. Studia anche l'autodistruzione parziale, l'ideazione suicidaria, i comportamenti autodistruttivi intenzionali e non intenzionali come l'alcolismo, gli sport rischiosi, i disturbi alimentari. La suicidologia analizza anche il parasuicidio, ossia quando qualcuno provoca un danno deliberato a sé stesso ma sopravvive.

Questo studio riconosce che il suicidio è ampiamente prevenibile con le giuste azioni, con la conoscenza del fenomeno e con un cambiamento sociale in merito alle opinioni diffuse sul suicidio stesso nelle diverse culture.

Parlare di suicidio deve essere possibile ed accettabile. Non deve essere un tabù. Nella storia dell'uomo il suicidio è stato tollerato e considerato lodevole, come atto di coraggio e di nobiltà. È stato condannato, ritenuto un crimine perché precludeva il pentimento. Un peccato mortale, secondo la concezione giudaico-cristiana, perché interrompeva il potere di Dio sulla vita degli esseri umani.

Il suicidio antico è virtù, quello moderno è una colpa. Il suicida pagano è un eroe, il suicida cristiano è un codardo, secondo una citazione di Francesco De Sanctis. Secondo il cristianesimo è un atto riprovevole.

Umanamente invece è un atto di fragilità di fronte ad una sofferenza, fisica e psicologica, che non si riesce più a sostenere o non si vuole più accettare. Èuna via di fuga. Da uomo a uomo, molto comprensibile. Da uomo a uomo, molto prevenibile.

Di suicidologia e sanità pubblica si discuterà a Roma dal 10 al 17 settembre, presso l'università La Sapienza, al convegno internazionale giunto alla sua XX° edizione. Si tratta di un importante evento formativo che annualmente, alla luce degli aggiornamenti in letteratura, si pone l'obiettivo di comprendere il fenomeno sociale del suicidio e di promuovere programmi di prevenzione atti a ridurlo su scala globale.

Il convegno si propone di fornire indicazioni sulle modalità di aiuto rivolte a coloro che hanno segni precoci di alto rischio di suicidio. Di ridurre la possibilità di accesso ai mezzi letali. Di elaborare strategie di sostegno per coloro che hanno tentato il suicidio. Di individuare i gruppi di persone maggiormente a rischio. Di attuare programmi di informazione nelle scuole, di parlarne nei mass media. Se ne parla negli Stati Uniti sin dal 1999 nel documento “Call to Action to Prevent Suicide”, redatto dal Surgeon General, considerato la pietra miliare dell'allarme che il fenomeno suicidario desta nel mondo.

World Suicide Prevention Day

Per questo motivo è stato istituito il World Suicide Prevention Day, promosso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con la Federazione Mondiale per la salute mentale e all'Associazione Internazionale per la prevenzione al suicidio. Ricorre il 10 settembre di ogni anno, dal 2003.

È un giorno dedicato a ricordare questo drammatico fenomeno che colpisce soprattutto la popolazione maschile. È un modo per promuovere la consapevolezza nella comunità scientifica e nella popolazione generale sulla salute mentale e per sensibilizzare le persone sulla prevenzione del suicidio, che è diventato un serio problema di sanità pubblica internazionale.

L'attenzione pubblica è fondamentale, perché ciascuno - non solo gli specialisti in psichiatria - può saper individuare i segnali di allarme. Il suicidio può colpire tutti, anche chi ci è vicino. Spesso non ce ne accorgiamo. I potenziali suicidi sono spesso insospettabili, se non sappiamo cogliere gli indizi, fintanto che non compiono l'atto.

L'obiettivo delle campagne di prevenzione, locali e globali, è ridurre le vittime cercando di individuare precocemente quei fattori prevenibili che possono indurre le persone a scegliere di porre fine alla propria vita, perché non si vedono altre soluzioni al malessere, di qualsiasi natura, che le affligge. Occorre pertanto saper individuare i segnali di allarme.

Creating hope through action, Agire per costruire speranza, è lo slogan scelto dall'Association for Suicide Prevention (IASP) per il triennio 2021-2023. Secondo i promotori dell'iniziativa annuale, i comportamenti suicidari che portano a compiere il gesto estremo possono essere individuati e prevenuti.

Il suicidio è una delle cause di morte che più di ogni altra può essere prevenuta, poiché è possibile riconoscere i diversi fattori di rischio che diventano emergenti e più evidenti in determinate situazioni e circostanze di vita. La crisi economica, l'incertezza per il futuro e problemi personali e sociali possono aggravare il disagio e la sofferenza che portano a pensare di farla finita.

Dati emersi da studi internazionali evidenziano che le cause che influenzano il rischio di suicidio e che rendono complesso l'atto suicidario sono biologiche, culturali, psicologiche, contestuali. Tuttavia, è possibile individuare ed attuare dei fattori protettivi che diventano strategie di prevenzione da diffondere a livello globale attraverso campagne di sensibilizzazione. È necessario inoltre attuare e condividere linee guida di intervento ed operare in maniera sinergica e multidisciplinare.

Secondo Shneidman, uno dei massimi studiosi sul tema, l'ingrediente base del suicidio è il dolore mentale insopportabile. Lo definisce psychace, significa tormento nella psiche.

Dove senti dolore? come posso aiutarti? sono le parole da rivolgere ad una persona che vuole commettere suicidio. Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine ad un insopportabile dolore mentale, allora il compito principale di chi deve occuparsi di un individuo suicida che soffre a tal punto è quello di affettare questo dolore, così che quell'individuo che voleva morire sceglierà di vivere.

Ancora secondo Shneidman la vergogna, la colpa, la rabbia, la solitudine, la disperazione sono le fonti principali del dolore psicologico. Hanno origine nei bisogni psicologici frustrati e negati. Nell'individuo suicida è la frustrazione di questi bisogni e il dolore che ne deriva ad essere considerata una condizione insopportabile. Si tratta di una frustrazione di bisogni primari, perché servono per prendersi cura della propria personalità.

Il suicidio, per Shneidman, è il risultato di un dialogo interiore: la mente passa in rassegna tutte le opzioni per far smettere il psychace; emerge il tema del suicidio e la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni. Trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo. Alla fine, la mente accetta il suicidio come soluzione, lo pianifica, lo identifica come l'unica opzione risposta, l'unica disponibile. Emerge il pensiero dicotomico, ossia il restringimento delle opzioni a due sole rimedi: avere una soluzione specifica e totale oppure la cessazione (suicida).

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