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salute mentale

Sessualità e psichiatria: uno sguardo educativo

di Redazione

La sessualità è una tematica estremamente complessa e per secoli è stata vincolata alla presenza di tabù, pregiudizi e stigma. Tuttavia, la percezione che gli individui possiedono nei confronti di una determinata tematica non è immutabile e tende, anzi, a modularsi nel corso del tempo anche all’interno del medesimo territorio. Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la sessualità come: un aspetto centrale durante tutto l’arco della vita dell’essere umano che comprende il sesso, le identità e i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. La sessualità è vissuta ed espressa in pensieri, fantasie, desideri, credenze, atteggiamenti, valori, comportamenti, pratiche, ruoli e relazioni. Mentre la sessualità può includere tutte queste dimensioni, non tutte sono sempre vissute o espresse. La sessualità è influenzata dall'interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, culturali, legali, storici, religiosi e spirituali1. Tale definizione manifesta la volontà di rispondere alla complessità della sfera sessuale in tutti i suoi aspetti.

Benessere e sessualità

Molti aspetti positivi della sessualità possono migliorare la salute mentale, emotiva e fisica; è necessario formare maggiormente i professionisti dell'assistenza su questa tematica.

Nel corso della storia diverse discipline si sono dedicate alla definizione della sessualità umana, tuttavia proponendo concezioni parziali e riduttive.

Ne sono un esempio le teorie di Freud e di Maslow, le quali nonostante fossero estremamente innovative presentano comunque elementi che rimandano al contesto storico durante il quale sono state formulate.

Durante il corso del XX secolo, i concetti di “salute” e di “sessualità” venivano tra loro associati esclusivamente per discutere di trasmissione di malattie infettive, gravidanze indesiderate o disfunzioni sessuali

Ne consegue che la definizione di salute sessuale fosse indissolubilmente legata al concetto di “assenza di malattia” e che la variabile sessuale non fosse considerata come fattore di rilevanza per il benessere generale dell’individuo.

Recentemente, gli atteggiamenti assunti nei confronti della tematica sessuale sono stati ampiamente modificati, facendo emergere diversi approcci che considerano la sessualità come elemento di fondamentale importanza per il raggiungimento di uno stato di salute omnicomprensivo.

Numerosi studi scientifici hanno dimostrano una serie di effetti benefici derivanti da una sessualità positiva, ovvero una sessualità che riconosca il valore e l’importanza della soddisfazione e dell’autostima sessuale. Molti aspetti positivi della sessualità (ad esempio l’auto-percezione sessuale positiva, l’alta autostima sessuale oppure una piacevole esperienza fisica di attività sessuale) possono migliorare la salute mentale, emotiva e fisica2. Tutti questi risultati possono essere inclusi nell'ampio costrutto di benessere generale, il quale include ma va anche oltre la salute fisica e mentale.

La storia di pregiudizi e stigma

Durante l’antichità, in molti paesi europei le sessualità non conformi al modello eterosessuale furono oggetto di persecuzione e criminalizzazione (processo mediante il quale i comportamenti individuali vengono trasformati in atti criminali). Tutti coloro che venivano accusati di mettere in atto pratiche o comportamenti, sia a livello pubblico sia a livello privato, che deviassero dalla norma sociale erano condannati a scontare una pena. Nella maggior parte dei casi, la condanna coincideva con la morte dell’individuo stesso.

Le teorie sulla psicoanalisi determinarono una modifica del paradigma di riferimento e le sessualità che si discostavano dalla norma sociale non vennero più considerate come crimini o peccati, ma iniziarono a rientrare nell’ambito delle malattie mentali. Per tale motivazione, la sessualità divenne un importante oggetto di studio, in quanto la comunità scientifica iniziò a ricercare le cause che potessero aver determinato la comparsa delle suddette “patologie”.

Nel 1952 l’American Psychiatric Association (APA) pubblicò la prima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), all’interno del quale l’omosessualità venne classificata come una deviazione sessuale all'interno della più ampia categoria dei disturbi sociopatici di personalità.

L’omosessualità venne classificata come patologia psichiatrica anche dall’OMS nella classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati denominata International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death (ICD).

Durante gli anni ’50, il Rapporto Kinsey e gli studi di E. Hooker furono fondamentali per sfatare l’idea che l’omosessualità fosse una forma di malattia mentale che necessitasse un trattamento medico. Il biologo A. Kinsey condusse una serie di ricerche per studiare le differenti pratiche sessuali presenti negli Stati Uniti d’America. Gli studi dimostrarono un’assenza di polarizzazione tra le differenti identità sessuali, in quanto molti individui, pubblicamente eterosessuali, avevano in realtà intrapreso diverse esperienze omosessuali nel corso della propria vita3.

Kinsey evidenziò le sostanziali discrepanze tra gli atteggiamenti pubblici ed i comportamenti reali dei cittadini. E. Hooker, psicologa statunitense, condusse una ricerca con un campione di 60 uomini (30 omosessuali e 30 eterosessuali) e confrontò la felicità e la capacità di adattamento dei due gruppi di ricerca non trovando alcuna differenza statisticamente significativa4.

Hooker sostenne che tutti gli studi che avevano dimostrato una correlazione tra omosessualità e disturbo mentale non fossero attendibili, in quanto nel campione erano stati unicamente coinvolti soggetti con una storia pregressa di trattamento per malattia mentale.

Seguendo la scia dei Moti di Stonewall (1969) iniziarono una serie di proteste contro l’APA e le sue pubblicazioni. L’attivismo di quegli anni e il coinvolgimento di alcun* psichiatr* permise, nel 1973, la modifica del DSM-II. L’omosessualità venne cancellata dalla lista dei disturbi mentali dell’APA e nel Manuale aggiornato venne nominata esclusivamente all’interno del “disturbo dell’orientamento sessuale” (anche denominato omosessualità egodistonica), diagnosi formulata per gli individui il cui orientamento omosessuale risultasse una fonte di distress e/o di angoscia.

Nel 1990 anche l’OMS rimosse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Ciò contribuì a creare un clima di maggiore apertura non solo nei confronti de* pazienti ma anche tra i/le professionist* della cura, i/le quali avevano dovuto affrontare evidenti resistenze nell’esercizio della professione se pubblicamente dichiarat* con identità sessuali non conformi alla norma sociale.

Solo nel 2013 l’APA ha ufficialmente rimosso il “disturbo d’identità di genere” dal manuale diagnostico. Tuttavia, il DSM-V ha comunque mantenuto una diagnosi connessa all’identità di genere, introducendo il concetto di disforia di genere.

Questa è una condizione che si presenta con malessere e disagio profondo nei confronti delle caratteristiche sessuate del proprio corpo, il quale viene percepito come estraneo; lo stesso senso di estraneità viene provato per i comportamenti e gli atteggiamenti che sono tipici del proprio sesso, all’interno del quale il soggetto non si riconosce. Nel 2018 l’OMS ha rimosso definitivamente dall’ICD la diagnosi di “gender incongruence”, tradotta in italiano con il concetto di “incongruenza di genere”, la quale non è più considerata come malattia mentale.

Per rispondere alle discriminazioni nei confronti delle persone con identità sessuali non conformi, negli ultimi decenni sono stati emanati molteplici trattati che promuovano la tutela dei diritti umani. Per esempio, nel novembre del 2006 in Indonesia presso l’Università di Gadjah Mada vennero formulati i Princìpi di Yogyakarta per una maggiore e coerente applicazione delle 22 leggi internazionali sui diritti umani in relazione all'orientamento sessuale e all’identità di genere. Tali principi nascono da un gruppo di espert*, quali giurist*, attivist*, accademic* e funzionar* delle Nazioni Unite, i/le quali si sono unit* con lo scopo di salvaguardare la libertà e la dignità di qualsiasi cittadin* con sessualità non conforme.

Interazioni tra sessualità e disturbo psichiatrico

Nel processo psicosessuale sono coinvolti diversi fattori sia psicogeni, sia neurogeni, con particolare interessamento del sistema limbico, e dei sistemi che mettono in collegamento il limbico (che è coinvolto nel controllo della sensibilità emozionale, affettiva, e viscerale) con le aree che controllano l'assetto ormonale dell'individuo. […] Il meccanismo fisiologico della funzione sessuale include quindi l'intersezione di fattori: neurogeni, psicogeni, vascolari e ormonali5.

La sessualità dell’essere umano è influenzata da molteplici variabili, come ad esempio lo stadio di sviluppo e la salute mentale del soggetto; per tale motivazione, risulta estremamente complesso identificare quali fattori, e in quale misura, siano effettivamente coinvolti nella risposta sessuale.

Complicanze tra le interazioni biologiche e psicogene (causate ad esempio da malattie, invecchiamento, farmaci, ecc.) potrebbero, inoltre, determinare disfunzioni sessuali che andrebbero ad influire notevolmente sulla qualità della vita del soggetto. Difatti, la comparsa di un disturbo della sfera sessuale potrebbe rappresentare un elemento scatenante nel deterioramento dello stato psicofisico di un individuo che manifesta pregresse fragilità.

Per comprendere globalmente la risposta sessuale umana bisogna considerare, oltre che i fattori biologici e psichici interni all’individuo, anche l’interazione del soggetto con l’ambiente esterno. In particolare, bisogna prestare attenzione ad eventuali fattori ambientali stressogeni che potrebbero ledere l’esplicarsi delle funzioni sessuali.

Considerati i molteplici fattori coinvolti nella risposta sessuale umana, risultano evidenti le possibili interazioni tra la sfera della sessualità e l’esperienza di una particolare forma di disturbo psichico. Nonostante nella pratica clinica tale correlazione venga spesso trascurata, è importante valutare come i diversi elementi attivati dalla sessualità e dal disturbo psichiatrico possano interagire e comportare ripercussioni sul benessere generale dell’individuo.

Nella presa in carico di un paziente tralasciare questo importante aspetto personologico potrebbe influenzare negativamente il suo percorso riabilitativo. Recenti ricerche dimostrano, infatti, che in ambito psicofarmacologico le disfunzioni sessuali secondarie a trattamento con psicofarmaci rappresentino una delle cause principali di drop out6.

Il lavoro educativo e il ruolo dell’Educatore Professionale

In ambito educativo è possibile identificare una pluralità di tematiche tabù, soprattutto nei servizi di presa in carico di pazienti con disabilità fisiche o psichiche. In primo piano, tra le dimensioni esistenziali dimenticate dall’educazione, riscontriamo il tema della sessualità.

Ancora oggi è possibile riconoscere la presenza di stereotipi e pregiudizi all’interno di servizi sociosanitari e numerosi educatori manifestato tuttora resistenze. Tra le motivazioni che spingono i/le professionist* a tralasciare temi fondamentali per un adeguato sviluppo psicofisico del soggetto è possibile riscontrare il tema del disagio e dell’imbarazzo7.

L’Educatore/trice Professionale (E.P.) potrebbe percepire una mancata autorizzazione oppure un’insufficiente preparazione ad accedere all’intimità dell’altro. Inoltre, l’approccio a tematiche che non sono mai state precedentemente trattate potrebbe determinare una messa in discussione del significato attribuito al lavoro educativo e al ruolo dell’E.P.

I/le professionist* che devono affrontare quotidianamente la tematica sessuale devono essere sostenuti e formati adeguatamente, affinché possano acquisire competenze e conoscenze tali da poter superare le proprie remore e preoccupazioni iniziali. Una scarsa formazione in relazione alla tematica non facilita il/la professionista, il/la quale è spesso obbligato a formarsi autonomamente. La letteratura sociosanitaria, inoltre, è ancora molto scarsa in materia di sessualità e disabilità, delegando il trattamento della tematica a figure professionali di ambito medico.

Il Codice Deontologico dell’Educatore Professionale delinea una serie di compiti e responsabilità che il/la professionista deve attuare per rispondere a pieno al proprio incarico lavorativo. Le responsabilità nei confronti dell’utenza sono molteplici, ma alcune appaiono estremamente significative se confrontate con la tematica della sessualità.

Secondo il Codice Deontologico, ad esempio: La persona che necessita dell'intervento educativo dovrà essere soggetto attivo in tutto il percorso, ed essere presa in carico nella sua globalità; nel suo agire, l'E.P. dovrà considerare i bisogni dell’utente come diritti comuni a quelli di tutti i cittadini, all’interno di uno Stato democratico di benessere e di garanzie, e mai come atti di beneficenza o di carità8.

Educazione e sessualità: una ricerca nei servizi di salute mentale

Il progetto di ricerca che viene presentato di seguito nasce con l’intenzione di approfondire il tema della sessualità in rapporto all’educazione/riabilitazione e, più nello specifico, il suo trattamento all’interno dei servizi di salute mentale. L’obiettivo principale della ricerca è verificare la presenza, e le eventuali modalità di inclusione, della tematica sessuale all’interno dei percorsi educativo-riabilitativi, approfondendo la visione de* professionist* sociosanitari su un argomento di tale complessità.

La somministrazione del questionario è avvenuta online: i/le soc* dell’Ass.ne Naz.le Educatori Professionali (ANEP) hanno ricevuto un link che ha permesso loro di accedere al questionario collegato alla piattaforma di Google Moduli. Tale modalità ha facilitato la libertà di espressione di ogni soggetto coinvolto permettendo un’aderenza sicura e priva di limitazioni.

La somministrazione è avvenuta tra il 15 settembre e il 15 novembre 2022, raggiungendo un campione totale di 46 E.P. Dai risultati ottenuti le conoscenze teoriche degli/lle operatori/trici appaiono perfettamente allineate con le più recenti divulgazioni scientifiche.

Il 93,5% (43) dei/lle professionist* coinvolt* ritiene che sessualità e disturbi psichiatrici si influenzino vicendevolmente e solamente il 6,5% (3) ritiene che non vi sia alcuna correlazione tra i due differenti ambiti di vita del/lla paziente.

Si evince tra i/le professionist* una consapevolezza dell’importanza della tematica sessuale e un riconoscimento di quanto essa possa effettivamente influenzare ed essere influenzata dal disturbo psichiatrico. Tale correlazione esiste e determina una serie di ripercussioni sul benessere generale del/lla paziente, influenzando ambiti di vita anche non apparentemente collegati con la sessualità stessa.

Quasi la totalità del campione coinvolto (97,8%) ritiene che il trattamento della sessualità possa determinare un miglioramento del benessere generale del soggetto. Solamente un rispondente sostiene che l’inclusione di tale tematica all’interno dei percorsi di cura non gioverebbe alcun beneficio, argomentando la sua risposta con la seguente affermazione: Rispetto all'utenza in carico presso il nostro CD (adulta, cronica) il problema della sessualità non è il bisogno primario. I bisogni espressi sono molto più basici e vi è poca consapevolezza.

Vivere positivamente la propria sessualità è predittivo di un miglioramento del benessere generale, in quanto comporta molteplici benefici a livello psichico (es. aumento della percezione del proprio valore intrinseco), fisico (es. aumento difese immunitarie), sociale (miglioramento delle proprie competenze comunicative e relazionali).

Inoltre, esperienze di coercizione, abuso, infantilizzazione e repressione possono gravemente danneggiare la qualità di vita del soggetto, il quale avrà ripercussioni negative sul proprio funzionamento generale. Maggiore è la conoscenza e la consapevolezza dei/lle pazienti rispetto al proprio corpo e alla propria intimità, minore è la probabilità di vivere tali esperienze traumatiche durante il corso della propria vita.

Nonostante il sapere teorico sia noto e diffuso tra la maggior parte dei/lle professionist*, i/le quali confermano tutte le teorie scientifiche a favore di una sessualità positiva, la realtà prassica non aderisce alle conoscenze scientifiche e pedagogiche.

Più della metà del campione (52,1%) afferma che all’interno del proprio contesto lavorativo ci sia un coinvolgimento molto basso dei pazienti in attività dedicate all’approfondimento della sessualità e il 37,0% ritiene tale coinvolgimento basso.

Questi risultati fanno emergere una contraddizione tra le conoscenze dei/lle professionist* e le effettive attività che vengono avviate all’interno dei servizi di salute mentale. La maggior parte degli/lle intervistat* ha precedentemente riconosciuto l’importanza dell’ambito sessuale ed i benefici ad esso correlati, ma quasi la totalità del campione non struttura attività di prevenzione o di educazione sessuale (oppure ne struttura in misura estremamente ridotta).

Questa importante lacuna ha ripercussioni sul percorso di riabilitazione dei/lle pazienti, i/le quali non posso accedere (o possono solamente accedere parzialmente) alla possibilità di prendere decisioni informate sulla propria vita affettiva e sessuale.

Circa il 41,3% degli/lle intervistat* non include l’area della sessualità all’interno del progetto riabilitativo dei/lle pazienti. Questa elevata percentuale di risposte negative permette di evidenziare un’ulteriore incoerenza tra il sapere teorico divulgato dalla letteratura scientifica e pedagogica e l’effettiva prassi educativa che viene quotidianamente agita all’interno dei servizi di cura.

Ancora oggi i progetti educativo-riabilitativi individualizzati non vengono strutturati includendo sistematicamente questo importante ambito di vita del/lla paziente, comportando spesso un lavoro saltuario e discontinuo. È di fondamentale importanza una ristrutturazione interna dei servizi di cura che permetta l’inserimento di progetti che includano metodicamente tutti i bisogni dei/lle pazienti, eliminando pratiche astruse e pregiudizievoli.

Tale gap tra conoscenze teoriche e realtà prassica viene ricondotto dagli operatori ad una mancanza di formazione specifica, la quale non consente una reale specializzazione del personale nel trattamento di una tematica così complessa.

Più della metà del campione coinvolto (58,7%) ritiene che il personale del proprio contesto lavorativo sia poco preparato in merito alla tematica sessuale e il 17,4% dei/lle partecipanti ritiene che il personale possieda un livello di preparazione molto basso.

Questi risultati sono sicuramente influenzati dalla poca diffusione della tematica all’interno del mondo educativo, il quale è ancor’oggi pervaso dalla presenza di stereotipi e pregiudizi. In molte strutture tale tematica viene totalmente trascurata, poiché ritenuta di difficile trattazione e di minore importanza rispetto ad altre problematiche più lampanti e pervasive.

La maggior parte del campione ritiene che il proprio contesto lavorativo fornisca un basso livello di formazione rispetto alla tematica sessuale, più precisamente sostenendo di aver ricevuto pochissima (60,9%) e poca (34,8%) formazione.

La formazione specifica è estremamente ridotta e nella pluralità delle esperienze delegata alla motivazione personale. I pochi corsi di formazione che vengono promossi sono spesso legati alla sessualità patologica, indagando le correlazioni biomediche e non fornendo ai professionisti strumenti e competenze per poter affrontare quotidianamente tale tematica (la quale non sempre è presente in forma patologica).

La quasi totale assenza di attività strutturate in maniera sistemica comporta un utilizzo spropositato dello strumento del colloquio educativo, altamente versatile e adattabile al singolo caso e situazione. Il/la professionista non struttura un percorso con obiettivi raggiungibili nel lungo periodo, ma si focalizza sulla discussione delle tematiche che emergono direttamente dal paziente durante lo svolgimento del colloquio stesso.

  • Articolo a cura di Alice Bonaventi | laureata in Educazione Professionale e collaboratrice del prof. Carlo Scovino. Negli ultimi anni ha sviluppato un interesse specifico per la tematica della sessualità con uno sguardo particolare alla comunità LGBT+. Nell’attualità lavora in qualità di Educatrice Professionale in una comunità per minori.
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