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Un'ondata di scioperi attraversa l'Argentina

di Giordano Cotichelli

Estamos muy cansados - siamo molto stanchi - è il grido di denuncia dell’associazionismo d’oltreoceano sottolineato dall’ennesimo lutto che ha colpito una collega. Si chiamava Miriam Soto, aveva 55 anni e lavorava da circa un trentennio presso l’Hospital de Emergencias Clemente Álvarez (Heca). Negli scorsi mesi più volte gli infermieri hanno fatto sentire la loro voce, ultima solo in ordine di tempo, quella del 20 novembre scorso, a Buenos Aires, con uno sciopero di 48 ore, per rivendicare maggiori diritti, un salario dignitoso, una valorizzazione della professione che non sia solo un semplice enunciato. In quell’occasione l’Asociación de Licenciados en Enfermería aveva sottolineato come il numero di morti per Covid-19 fosse una ulteriore prova delle difficoltà enormi e della precarietà diffusa in cui gli infermieri sono chiamati a fare assistenza.

La patrimoniale del pibe de oro

È di qualche giorno fa la notizia dell’approvazione, in Argentina, in via del tutto eccezionale, della tassa patrimoniale sui redditi al fine di sostenere l’economia in questo momento difficile per il paese. Prevede un prelievo del 2% (3,5% dopo i 30 milioni di euro) per quei patrimoni che superano i 200 milioni di peso che, tradotti in euro, sono circa due milioni. È previsto un gettito straordinario di circa 300 milioni di peso (tre miliardi di euro).

Una decisione importante in un paese dove la distanza fra ricchi e poveri è stata sempre un divario incolmabile e dove, nella fase attuale, le conseguenze della pandemia si fanno sentire pesantemente. L’Argentina attualmente è al 9° posto a livello mondiale per numero di contagi (1.482.216) e al 12° per numero di morti (40.431). Dati grezzi che devono essere rapportati alla popolazione totale del paese, alle città e alle fasce (più deboli) sociali maggiormente colpite; il quadro però è lo stesso del dramma che tutti stiamo vivendo, anche se l’Argentina, un paese che molto spesso ha visto risposte sanguinarie alle istanze di cambiamento e giustizia sociale, oggi riesce a darsi una prospettiva di merito votando a favore di una tassazione che prelievi le risorse a chi più ne possiede e a chi sente meno risente del peso della crisi.

Mentre nella capitale del paese la politica cerca di rendere meno tragica la situazione, a molti chilometri di distanza si leva l’eco del Collegio degli Infermieri di Rosario, i cui rappresentanti sottolineano l’imperativo di vedere riconosciuti maggiori diritti professionali e che il peso della pandemia è sempre meno sopportabile.

Estamos muy cansados - siamo molto stanchi - è il grido di denuncia dell’associazionismo d’oltreoceano sottolineato dall’ennesimo lutto che ha colpito una collega. Si chiamava Miriam Soto, aveva 55 anni e lavorava da circa un trentennio presso l’Hospital de Emergencias Clemente Álvarez (Heca). Negli scorsi mesi più volte gli infermieri hanno fatto sentire la loro voce, ultima solo in ordine di tempo, quella del 20 novembre scorso, a Buenos Aires, con uno sciopero di 48 ore, per rivendicare maggiori diritti, un salario dignitoso, una valorizzazione della professione che non sia solo un semplice enunciato.

In quell’occasione l’Asociación de Licenciados en Enfermería aveva sottolineato come il numero di morti per Covid-19 fosse una ulteriore prova delle difficoltà enormi e della precarietà diffusa in cui gli infermieri sono chiamati a fare assistenza. Gli studi dell’Aiken continuano a restare attuali nello spazio e nel tempo. Oggi più che mai. Cinque giorni dopo lo sciopero degli infermieri a Buenos Aires un evento inaspettato ha monopolizzato ogni tipo di attenzione, aumentando per altro le occasioni pubbliche di assembramenti contagiosi: el pibe de oro, Diego Armando Maradona, ha chiuso la sua ultima partita. Un fatto di cui molti hanno parlato – e continueranno a farlo – ma che sotto certi aspetti diventa la chiave di lettura di un’attualità in cui il paese rioplatense rappresenta specchio e chiave di lettura della realtà italiana più di quanto non si creda.

A partire proprio dal personaggio Maradona, dal suo mondo calcistico. Forse non c’è stato calciatore straniero che si sia fatto amare come lui fuori dal suo paese, legando due nazioni, unendo due città. La voce degli ultimi delle periferie, dove aveva tirato calci ad un pallone malridotto sin da bambino, è stata presa e portata alle pendici del Vesuvio per ascoltare meglio quella dei napoletani.

Un figlio del popolo maledetto, arrivato però al successo, alla ricchezza, ad aspirare ad un futuro migliore e senza preoccupazioni, trascinando con sé anche famigliari, amici e conoscenti, in un miscuglio clanico degno delle migliori telenovelas argentine. Nell’immediatezza della notizia della morte di Maradona, a fine novembre, un cartello dell’autostrada che conduce all’aeroporto di Ezeiza, recitava: Gracias Diego, uno fra le migliaia di omaggi resi al calciatore, in patria e fuori.

Poteva anche esserci scritto: Uno su mille ce la fa, parafrasando la canzone di Morandi e Tozzi, sintesi della vita di Diego e maledizione per gli altri 999 che restano al palo, nelle miserie delle periferie del sud del mondo. E Maradona di questo ne era consapevole, sentendone tutta la simbologia di un riscatto che non poteva passare semplicemente per la ricchezza monetaria, che non aveva, al di là del benessere, altra strada di successo, intrappolato in una stratificazione di classe per cui non c’è possibilità alcuna di mobilità sociale.

In questo la patrimoniale argentina acquista ulteriore valore, senza fare concessione alcuna al governo stesso, che resta ad ogni modo l’espressione di equilibri politici e bizantinismi economici (o viceversa, cambia poco), dove ogni tanto qualche concessione verso la strada dell’uguaglianza e della giustizia sociale deve essere pur fatta. Chissà se la stessa cosa varrà anche per la discussa legge sul diritto all’interruzione di gravidanza che il paese attende da troppo tempo, al pari di tutto il continente latinoamericano.

Una patrimoniale argentina come esempio per una probabile patrimoniale anche in Italia? Il dibattito politico nazionale in questo ha dato il meglio (si fa per dire) nei giorni scorsi, alzando in molti casi muri difensivi a favore dei sacri patrimoni personali. Cosa che non è successa invece quando sono state tassate le “patrimoniali” dei poveri, dei lavoratori, gli ammortizzatori sociali, la scala mobile, gli adeguamenti pensionistici e molto altro ancora. Insomma, per l’Italia è un’altra storia. O forse no, ripensando alle sorti del pibe de oro, uno dei mille giocatori argentini che lungo molti decenni hanno militato nel campionato di serie A dello stivale. Ulteriore testimonianza della specularità di due mondi, diversi e uguali, contigui e lontani.

Speriamo che le rivendicazioni di infermieri e donne in Argentina arrivino a consolidare diritti ineludibili, mentre qui da noi la difesa del malloppo dei ricchi sembra essere lo sport di molti politicanti. Mentre qui da noi la messa in discussione del diritto ad una maternità libera sembra lo sport dei soliti chiacchieroni di turno. Solo in ordine di tempo arrivano in merito le esternazioni di un’assessora regionale per le pari opportunità, che si dice contraria all’aborto e alla pillola RU486.

Va a capire di quale parità e di quale opportunità intende interessarsi. Don’t cry for me Argentina, chissà se avremo una patrimoniale anche noi italiani. Non resta che sperare per entrambi in settimane meno pesanti e sicurezze lavorative e sociali garantite. Tutte cose per cui si dovrà continuare a lavorare duro e a lottare.

NurseReporter

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