In base al verdetto di secondo grado, non spetterà solo all’imputata (accusata di lesioni gravissime e condannata a 3 anni e 6 mesi) a dover risarcire i genitori del piccolo Tommaso, ma anche in solido con lei
, all’Azienda ospedaliera di Verona. È stata fatta giustizia, l’ospedale non può essere deresponsabilizzato
, le parole dei genitori del piccolo.
Condanna confermata, con l’infermiera anche l’ospedale dovrà risarcire
Morfina al Policlinico, dov’era ricoverato nel reparto di Terapia intensiva neonatale, a un bimbo che piangeva troppo
: è stata confermata in appello la condanna a 3 anni e 6 mesi dell’infermiera di Nogara (Verona), Federica Vecchini, accusata di lesioni gravissime per aver somministrato della morfina a un neonato con appena un mese di vita poiché piangeva in modo eccessivo ed era particolarmente rognoso
(l’ipotesi della questura era stata che la morfina venne introdotta per via orale: qualche goccia sul succhiotto).
Ma, in base al verdetto di secondo grado, non spetterà solamente all’imputata dover risarcire i genitori del piccolo – lei 33enne, lui 39enne – bensì anche, in solido con lei
, l’Azienda ospedaliera di Verona. Giustizia è fatta. Abbiamo sempre sostenuto che l’ospedale non poteva essere dichiarato esente da ogni responsabilità come avvenuto invece in primo grado
, è stata la risposta da parte della mamma e del papà di Tommaso in merito al verdetto di pochi giorni fa. A distanza di quattro anni e mezzo, oggi il piccolo Tommaso è sotto stretto controllo medico e andrà costantemente tenuto monitorato (ma l’importante è che stia bene
).
Era il 14 luglio 2020 e quella sentenza pronunciata dal Tribunale di Verona, con la condanna inflitta all’infermiera, oggi 47enne, dal giudice Alessia Silvi per l’intossicazione da narcotici che mise a rischio la vita del piccolo la notte del 19 marzo 2017 al Policlinico, era stata impugnata non soltanto dalla difesa della professionista sanitaria (avvocati Massimo Martini e Stefano Zanini), ma anche dalla parte civile con i legali Michele Fiocco, Stefano Poli e Christian Galletta; parte civile che, per conto dei genitori del piccolo, insisteva (riuscendoci, appunto) per ottenere il coinvolgimento nelle responsabilità civili – e dunque ai fini risarcitori – dell’Azienda ospedaliera di Verona.
Lesioni aggravate dalla somministrazione di sostanze venefiche con un dosaggio idoneo a mettere a rischio la sopravvivenza del bimbo
: questo il reato ascritto a Vecchini e che anche in appello è stato esplicitato nella condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione per aver provocato un’overdose da morfina con arresto respiratorio
a un neonato particolarmente rognoso
.
Un’accezione, quest’ultima, che a prescindere da tutta la situazione (ovviamente ben più grave, considerando che di mezzo c’è la salute di un bimbo) non è mai andata giù alla madre del piccolo: Credo che chi decide di esercitare il lavoro di infermiere debba essere conscio del mestiere che andrà a svolgere. È un’occupazione dura, io e il mio compagno ne siamo consapevoli. Ma nulla giustifica un accadimento così grave. Tra l’altro, quella donna avrebbe definito mio figlio “rognoso”. Come dovrebbe comportarsi un bimbo che ha un mese di vita?
Nessuno sconto di pena – da parte della Seconda sezione della Corte d’appello presieduta dalla dottoressa Cinzia Balletti – nei confronti della professionista sanitaria che, da parte sua, ha sempre rigettato qualsivoglia responsabilità. Non sono stata io a dare la morfina al bambino – le parole di quando è stata condannata a Verona in primo grado (la donna era assente durante la lettura dell'ultimo verdetto) –, non avrei mai fatto del male a lui e a nessuno dei piccoli che quotidianamente assistevo. Io amo il mio lavoro, è tutta la mia vita
. Su di lei si era abbattuta una tempesta social, alla quale avevano fatto da contraltare alcune testimonianze di mamme di piccoli pazienti assistiti dall'infermiera.
Ma secondo la procura di Verona, l’errore umano va escluso: per calmare il bimbo avrebbe potuto usare un altro tipo di benzodiazepine, non certo la morfina. La gravità del fatto sta proprio nell’uso di quella sostanza, in grado di mettere a rischio la vita di un neonato
. Una ricostruzione, quella accusatoria, formulata propria dalla parte civile che per entrambi i genitori, a cui è stato diagnosticato un disturbo da stress post traumatico
, ha quantificato in 230mila euro totali i danni morali subìti
.
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