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Testimonianze

Il mio lungo viaggio per diventare infermiera

di Paola Botte

Nella vita non è mai troppo tardi. Neanche per studiare. Lo sa bene Geta, 46 anni, nata in Romania e residente in Italia da circa due anni, dove sta cercando di iniziare la sua nuova vita come infermiera.

Dalla Romania all'Italia inseguendo il sogno di infermiera

L'Italia è stata una sorpresa. Dopo i primi anni della mia carriera lavorativa trascorsi nel mio Paese a svolgere la professione di tecnico per una fabbrica e gli ultimi dieci anni passati a fare la mamma a tempo pieno, nel 2010, - racconta Geta - ho deciso che era arrivato il momento di dare una svolta alla mia vita. E per farlo ho scelto una professione difficile nel mio Paese, quella dell'infermiere.

Negli ultimi anni infatti la Romania è stata al centro del dibattito internazionale proprio a causa del tracollo della sanità pubblica, dovuto prevalentemente alla carenza di personale, alle cure sbilanciate verso i ceti più abbienti a discapito dei poveri, che non possono accedervi e allo spreco dei fondi stanziati (fonte www.balcanicaucaso.org).

Infermiera in servizio in una rsa

Ho iniziato il nuovo percorso a quarant'anni lavorando come OSS in Romania e contemporaneamente frequentando il Corso di Laurea in Infermieristica - prosegue - Finiti i tre anni ho finalmente ottenuto il titolo per esercitare la professione e così sono stata assunta da un ospedale locale per lavorare in pronto soccorso.

È stata un'esperienza dura, soprattutto alla mia età. C'è voluto molto tempo per adattarmi ai ritmi di questo lavoro e a quelli dei colleghi più giovani, ma alla fine ce l'ho fatta e ho avuto grandi soddisfazioni.

Nel frattempo il marito di Geta, che lavorava all'estero ormai da quindici anni come autotrasportatore, le ha chiesto di seguirlo nella sua casa in Italia e per riunire la famiglia, a fine 2014, la donna ha deciso di trasferirsi insieme ai due figli lasciando il posto di lavoro che aveva ottenuto con tanti sacrifici.

Ho dovuto ricominciare tutto da capo. Una nuova casa, nuovi amici, nuovi studi. La preoccupazione più grande era che in Italia non riconoscessero il mio titolo professionale. Cosa avrei potuto fare se non l'infermiera alla mia età?

Nel piccolo paesino della pianura padana dove sono andata ad abitare inizialmente non avevo trovato nessuna offerta di lavoro, neanche come badante. Dovevo a tutti i costi far valere la mia laurea. Lo dovevo ai miei figli, a mio marito, ai colleghi che ho lasciato nel mio Paese e soprattutto a me stessa.

La paura è sempre quella di essere considerati meno professionali, meno capaci dei colleghi italiani

A poche settimane dal trasferimento, Geta fa richiesta al Ministero della Salute per ottenere il riconoscimento del titolo professionale, ma la normativa prevede che chi lo chieda debba sostenere un esame per accertare la conoscenza della lingua italiana.

Ammetto che è stato l'esame più difficile della mia vita. La grammatica italiana è davvero complessa e per imparare bene la terminologia scientifica nella vostra lingua ho impiegato altri due anni di studi. Nel 2016, ho finalmente sostenuto l'esame e ottenuto l'iscrizione all'albo.

Oggi che sono un'infermiera riconosciuta, in attesa di trovare lavoro, presto servizio come volontaria in una residenza sanitaria per anziani. Questo mi aiuta a non perdere la manualità e contemporaneamente ad integrarmi nella comunità.

Geta è solo una dei 35 mila infermieri stranieri che lavorano in Italia, il 43% dei quali è proprio di nazionalità romena (dati IPASVI). La sua storia è dunque comune a molte altre e quello che emerge ogni volta è la paura di essere considerati meno professionali, meno capaci, dei colleghi italiani.

La voglia di farcela e di integrarsi, però, è tanta ed è giusto dare loro una opportunità, la stessa che i professionisti italiani ormai sperano di trovare scappando via dal nostro Paese.

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