L’imprenditore di successo, nonché Vip e dirigente sportivo - anche opinion man, viste le molteplici ospitate in vari talkshow - ha avuto problemi di salute. Problemi gravi, tali da dover essere operato d’urgenza al cuore. Sembra che sia andato tutto bene, ma la paura è stata tale che il paziente ha sottolineato come l’esperienza vissuta gli abbia ricordato l’importanza della prevenzione. Qualcuno, malevolo, ha ribattuto dicendo che la prevenzione è roba da ricchi. La replica non si è fatta attendere: È vero, siamo dei privilegiati. Dovremmo tutti poter fare i check up. Ci sono cose per le quali centro, destra e sinistra dovrebbero essere uniti e una è il diritto alla salute . Un’affermazione di peso, vera per quanto utile, specie in questi anni di progressivo abbandono del sostegno alla sanità pubblica.
Considerazioni che spingono poi ad alcune riflessioni
Flavio Briatore, imprenditore italiano
La prevenzione è il grande malato di questo inizio millennio in relazione alla crisi del welfare italiano ed occidentale in generale. Di essa si parla da sempre, in particolare dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso in relazione alla Dichiarazione di Alma Ata del 1976 sull’assistenza sanitaria primaria.
La prevenzione implica una visione di sistema e non si ferma solo al problema in quanto tale, ma ne prende in considerazione tutte le implicazioni e le correlazioni possibili. È stata la grande utopia della riforma della legge 833 del 1978 e per questo furono create le USL (Unità Sanitaria Locale), espressioni territoriali di una sanità che prendeva in considerazione tutti gli aspetti della vita dei singoli e delle comunità.
Poi qualcuno ha detto che era una visione troppo dispendiosa e bisognava fare come facevano i privati e quindi si doveva “aziendalizzare” la gestione della salute. Quanto tale affermazione fosse giusta, ed in buona fede, lo si è visto con la destrutturazione del sistema sanitario, il taglio selvaggio di posti letto, delle risorse per screening e diagnosi a vari livelli e con liste di attesa che si sono allungate… all’infinito.
La spesa pro-capite per la salute è così aumentata progressivamente, in particolare in relazione all’accesso alle prestazioni attraverso il meccanismo dell’out of pocket : pagare una prestazione sanitaria che dovrebbe essere garantita dal Ssn e per la quale sono state pagate le tasse.
Il quadro generale, quindi, è meno semplice di quanto il ricco imprenditore non creda. Ecco che parlare di diritto alla salute chiama anche la questione della sanità privata e delle tasse da pagare, e delle risorse da garantire ad un welfare da cui si tagliano continuamente fondi nazionali con la scusa che non ci sono soldi.
Il simpaticone presidente argentino – Javier Milej – direbbe: No hay plata . Ma la “plata” per fare le guerre , sostenere le imprese private, foraggiare faccendieri e affarismi di ogni tipo, si trova sempre.
Difficile, di conseguenza, in queste condizioni fare prevenzione
Ciò che convince poco quindi è l’affermazione riguardo un fronte politico che dovrebbe essere coeso nella difesa del diritto alla salute . Appello decisamente ingenuo dato che proprio quel fronte politico, negli ultimi trent’anni, con diversi carichi di colpe e responsabilità, ha distrutto il sistema sanitario italiano e peggiorato la salute della popolazione anche contribuendo ad un peggioramento dei livelli dell’istruzione pubblica, della sicurezza ambientale e lavorativa, dei redditi dei lavoratori, della salubrità degli alimenti e… tante altre cose.
Insomma, va ricordato a chi sembra aver preso coscienza delle condizioni gravi del paese, che la salute non dipende solo da questioni “sanitarie”, ma anche, e soprattutto, economiche da cui, ne deriva che i “ricchi” possono permettersi di stare male, semplicemente perché hanno più possibilità di essere curati.
Ricchi il cui status di privilegiati è reso possibile dall’esistenza dei… poveri, di quelli che una volta si chiamavano “diseredati”, dato che nessuno lasciava loro alcun bene, o “proletari” in quanto il loro unico bene, da investire nel moloch del lavoro duro dei campi, era avere molti figli, o “sfruttati” perché pagati con salari da fame finalizzati a rendere i ricchi… ancora più ricchi. Tanto per dare due numeri: in Italia il 5% più ricco possiede più dell’80% più povero.
Qualcuno potrebbe dire: Basta con le ideologie del passato! Non è certo colpa dei ricchi se i poveri si ammalano . Affermazione più ideologica di quanto non voglia apparire. Nella realtà chi ha meno risorse mangia male, lavora peggio e abita in luoghi che definire insalubri è un eufemismo.
Dopo la scuola dell’obbligo, quando e se viene terminata, si dimentica in poco tempo quel poco di sapere appreso ed anche la capacità di poter elaborare pensieri e progetti particolarmente articolati, in tal senso, viene meno. Una volta la rete sociale di un’Italia povera, era certo in grado di istruire i reietti a sopravvivere al meglio e ad aiutarsi vicendevolmente.
Oggi, in un mondo atomizzato, si è tutti contro tutti, carne da cannone in guerra e carne da profitto in pace, colpevoli di vivere e di ammalarsi perché non in grado di gestire in maniera salubre la propria esistenza. Almeno questo nell’ottica liberista dominante. Risulta di conseguenza abbastanza difficile capire come la prevenzione possa ovviare a tutto questo a meno che essa non comporti l’obiettivo di dare maggiori risorse a chi non ne ha prendendone in primo luogo da chi ne ha fuori misura.
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