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Infermiera Generica si rifiuta di accompagnare i pazienti: condannata!

di laura rita santoro

Inf-condannato

Si tratta di “demansionamento” formalizzato? Decisione della Corte d’Appello di Roma. Ecco la prova della complicanza risiede nella diligenza professionale.

ROMA. Resi noti i contenuti della sentenza del 25/01/2016, n. 219, emessa dal Consiglio di Stato, sez. III. L’Infermiera generica rifiutava di trasportare malati, voleva evitare di svolgere incombenze gravose per la sua schiena. Le disposizioni di servizio, impartite, sarebbero state in contrasto, secondo l'Infermiera, con il suo stato di salute, formalmente riconosciuto attraverso visita medico-collegiale dalla stessa Azienda Sanitaria, ragione per cui si era rifiutata di eseguire la direttiva.

La sentenza è argomentata sullo stato di salute dell’Infermiera, che avrebbe enfatizzato il non essere nella condizione di poter trasportare pazienti non deambulanti, su lettiga o carrozzina. La collega si sarebbe rifiutata di accompagnare, anche i pazienti autonomamente deambulanti per probabili, non documentate (così si legge nella sentenza), eventuali necessità assistenziali non programmabili.

L’Infermiera legittimava il rifiuto delle direttive sostenendo che il dirigente medico, avrebbe chiesto prestazioni lavorative lesive. Nulla si legge circa il demansionamento di dette direttive.

Ho letto la sentenza, ma, alcune cose non sono chiare. L’ambulatorio era privo di ausiliario? Il percorso da accompagnatore era da dove, a dove? Era lungo? La visita medico-collegiale ha definito, la collega, idonea alla mansione d’Infermiera generica, ma non al trasporto di carichi.

Forse la collega generica è stata consigliata male? Leggendo la sentenza non si può essere a conoscenza dei fatti nel dettaglio, ma io leggo una palese violazione delle mansioni?! La collega avrebbe preso un provvedimento disciplinare per essersi rifiutata di accompagnare pazienti, vale a dire si è rifiutata di eseguire un ruolo che spetta al portantino.

Il trasporto dei malati, da parte del personale Infermieristico Generico sembrerebbe istituzionalizzato, nella struttura, dal momento che sembrerebbe costante e ripetuto nel tempo, che si “aggiunge” ai problemi di salute della collega.

Il demansionamento, oltre a costituire un grave inadempimento contrattuale e può essere la causa di un danno non patrimoniale risarcibile (Sentenza n° 1302 del 6/10/2015 - Tribunale di Cagliari). Il Giudice avrebbe potuto chiedere il riconoscimento del danno d’immagine professionale e della dignità personale del lavoratore, connesso ad un comportamento illecito da parte del datore di lavoro, se fosse stato chiesto?

Io, non sono una giurista, ma, una sindacalista e del Nursing Up, però l’interpretazione della sentenza mi fa pensare ad un demansionamento istituzionalizzato e/o mal difeso. Il demansionamento e la dequalificazione determinano una vera e propria “mortificazione” del lavoratore, lesiva della sua dignità e immagine personale e professionale. La struttura sanitaria ha reso istituzionale, per l’Infermiera generica, mansioni spettanti a profili professionali appartenenti alle categorie A, B, BS. Il ruolo dell’ ausiliario socio sanitario, ad esempio, “prevede” il trasporto degli infermi in barella ed in carrozzella ed al loro accompagnamento se deambulanti con difficoltà.

La collega, dice la sentenza, non avrebbe minimamente dimostrato di essersi rifiutata di “trasportare i malati”, quindi non avrebbe scritto nulla? Avrebbe potuto contestare le direttive circa l’attività “demansionante”, per la quale, tra l’altro, non era stata ritenuta idonea dalla Commissione medica. Il rifiuto, scritto, del dipendente avrebbe potuto rappresentare un documento finalizzato all’autotutela.
La stessa non avrebbe contestato, scrivono, il procedimento disciplinare, limitandosi a rinforzare i problemi di salute, piuttosto che il demansionamento con le relative prove di merito.
La ricorrente era stata riconosciuta idonea alle mansioni specifiche di infermiera generica (D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225), con consiglio di non adibirla a lavori di reparto e comunque di evitare il trasporto di malati o altre incombenze che avrebbero potuto aggravare la sua patologia alla schiena.
Nella sentenza, si scrive, che la richiesta della ricorrente sarebbe stata rigettata perché non c’era nulla di documentato circa le “possibili” difficoltà assistenziali che avrebbero potuto coinvolgere l’Infermiera generica. Probabilmente la collega avrebbe potuto essere consigliata diversamente?

 

* * *

 

Consiglio di Stato

(Sanzione disciplinare all’infermiera per rifiuto di accompagnare i pazienti)
Fonte: http://www.dirittosanitario.net/giurisdirdett.php?giudirid=3261&areaid=70

L’infermiera riconosciuta dalla Commissione medica “idonea alle mansioni specifiche di infermiera generica con consiglio di non adibirla a lavori di reparto e comunque di evitare il trasporto di malati o altre incombenze che aggraverebbero la patologia del rachide”, può svolgere la mansione di accompagnare i pazienti in grado di deambulare, in quanto la stessa non si pone in contrasto con quanto consigliato dalla Commissione medica, al fine di evitare aggravamenti alla sua patologia.

Il rifiuto reiterato della dipendente di svolgere tale mansione, sul presupposto che anche detti pazienti avrebbero potuto necessitare di assistenza, integra violazione dei doveri d’ufficio, che rende legittima la sanzione disciplinare irrogata dalla ASL della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per un giorno.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza del 25/01/2016, n. 219
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8899 del 2011, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avv. M.D., con domicilio eletto presso OMISSIS
contro
Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche, Asur Marche-Zona Territoriale N.5 di Jesi;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA: SEZIONE I n. 00628/2011, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare di sospensione dal servizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2015 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Perucca su delega di Discepolo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. Marche, la ricorrente – infermiera in servizio presso l’ambulatorio di oculistica dell’Ospedale di Jesi – ha impugnato la nota 11.5.1998 prot. 1249 con cui l'Azienda Sanitaria n. 5 – Jesi le ha comunicato l'intervenuta irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per giorni uno, in relazione ai fatti avvenuti all'interno del Reparto di Oculistica nei giorni 19, 20 e 27 febbraio, 10 e 13 marzo 1998.
La stessa ricorrente riferisce che tali fatti (trasportare malati e svolgere mansioni gravose per il rachide) riguardavano disposizioni di servizio impartite in contrasto con il suo stato di salute (formalmente riconosciuto attraverso visita medico-collegiale effettuata dalla medesima Azienda Sanitaria) e che, pertanto, si era rifiutata di eseguire.
Con ordinanza 27.1.2011 n. 75 il primo giudice ha acquisito gli atti del procedimento disciplinare dai quali è emerso che la ricorrente, a seguito di visita collegiale, era stata riconosciuta idonea alle mansioni specifiche di infermiera generica, con consiglio di non adibirla a lavori di reparto e comunque di evitare il trasporto di malati o altre incombenze che avrebbero potuto aggravare la sua patologia del rachide.
Il T.A.R. ha respinto il ricorso rilevando che la sanzione disciplinare, oggetto di gravame, è stata legittimamente disposta, ricorrendo l’ipotesi della reiterata violazione dei doveri d’ufficio ai sensi all’art. 30 comma 5 lett. b), riferita al comma 4 lett. a) stesso articolo, del CCNL 1995.
L’appellante ha impugnato detta sentenza deducendo la censura di eccesso di potere per travisamento ed errato apprezzamento dei presupposti, violazione dei principi generali in materia disciplinare, ingiustizia ed erroneità manifesta, difetto di motivazione.
Nell’appello ribadisce di aver rappresentato più volte di non essere in condizione di trasportare malati, sia quelli non deambulanti a causa dello sforzo necessario, sia quelli deambulanti bisognosi di assistenza ai quali non poteva offrire un valido sostegno a causa delle proprie condizioni di salute: il dirigente medico non si sarebbe astenuto da chiederle prestazioni lavorative lesive del suo diritto alla salute e dunque il suo rifiuto sarebbe stato legittimo.
Il primo giudice non avrebbe valutato che non tutti i pazienti erano autonomi, e che normalmente si trattava di persone anziane che avevano comunque bisogno di assistenza, omettendo di considerare che il suo comportamento non aveva pregiudicato il servizio in quanto l’accompagnamento dei pazienti avrebbe potuto essere svolto da altro personale.
Ha poi dedotto l’omessa considerazione dei suoi precedenti di servizio e la violazione del principio di proporzionalità nella commisurazione della sanzione, rilevando anche la sua illogicità.
L’amministrazione, benché ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio.

All’udienza pubblica del 10 dicembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e va respinto.
Come correttamente rilevato dal primo giudice, l’appellante è stata riconosciuta dalla Commissione medica “idonea alle mansioni specifiche di infermiera generica con consiglio di non adibirla a lavori di reparto e comunque evitare il trasporto di malati o altre incombenze che aggraverebbero la patologia del rachide”, ne consegue che “la mansione di accompagnare i pazienti in grado di deambulare non si pone in contrasto con quanto consigliato dalla Commissione medica, al fine di evitare aggravamenti alla patologia del rachide”.
Correttamente, quindi il rifiuto di eseguire detta mansione configura la violazione dei doveri d’ufficio e, in particolare, delle disposizioni impartite dal Primario dell’Unità Operativa di Oculistica.
La sanzione è stata quindi “correttamente ascritta all’ipotesi di cui all’art. 30 comma 5 lett. b), riferita al comma 4 lett. a) stesso articolo, del CCNL 1995 (che prevede la sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione, fino a un massimo di 10 giorni), trattandosi di rifiuto espresso e reiterato ad adempiere alle mansioni legittimamente assegnate” come condivisibilmente affermato dal T.A.R.
L’appellante non ha minimamente dimostrato di essersi rifiutata di “trasportare i malati” attività per la quale non era stata ritenuta idonea dalla Commissione medica, e non ha contestato quanto risulta dagli atti del procedimento disciplinare (e cioè che il suo rifiuto avrebbe riguardato anche i pazienti deambulanti) limitandosi a sostenere che anche detti pazienti avrebbero potuto necessitare di assistenza, senza fornire neanche un principio di prova in merito.
Non sussistono, inoltre, né la violazione dell’art. 114 del T.U. 3/57 , né la violazione del principio di proporzionalità tenuto conto dell’entità della sanzione irrogata, commisurata nella misura minima di un giorno; né può ritenersi illogico il provvedimento di applicazione della sanzione disciplinare tenuto conto della reiterata violazione dei doveri d’ufficio, con conseguenti disservizi nel corretto svolgimento dell’attività sanitaria.
In conclusione, l’appello deve essere respinto.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese di lite in mancanza di costituzione dell’Amministrazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Nulla per le spese .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.Lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Dante D'Alessio, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/01/2016

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