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Editoriale

L’infermiera “scafista” di qualche anno fa

di Giordano Cotichelli

La storia di Harriet Tubman, un’afroamericana nata schiava e resasi libera con la forza ed il coraggio, rende onore anche alla professione infermieristica. Se fosse vissuta oggi, probabilmente si sarebbe comportata come le tante infermiere che negli Stati Uniti aiutano i migranti che riescono a passare il confine sud attraversando, e spesso morendo, il deserto.

La storia di Harriet Tubman, infermiera ribelle

Harriet Tubman, infermiera afroamericana nata schiava e resasi libera coraggiosamente

È durata meno di 24 ore la notizia del dirottamento di una nave turca ad opera di quindici immigrati clandestini. La Procura di Napoli ha ridimensionato1 l’ipotesi di reato di pirateria internazionale in associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Qualcosa di molto diverso da quanto sbandierato a livello mediatico. Nulla di strano.

Sono tempi in cui pur di raccattare facili e tossici consensi si rovista nei cassonetti dell’informazione con il solo risultato di abbassare ogni volta di più la soglia dell’intelligenza e della verità in questo paese.

Del resto, si sa: chi continuamente ambisce a riscrivere la storia passata è sempre pronto a mistificare la realtà presente. Ed allora, proprio per rendere omaggio ad un’umanità altra, quella solidale e reale, si può prendere un piccolo esempio di narrazione del passato che rende onore anche alla professione infermieristica e parla di ribellione e di traffico di esseri umani, di violazione delle proprietà private e di furto di beni mobili, così almeno erano considerati gli schiavi negli Stati Uniti prima della Guerra di secessione americana.

È la storia di Harriet Tubman, un’afroamericana nata schiava e resasi libera con la forza ed il coraggio (ed un pizzico di machiavellica fortuna, che non guasta mai) per trasformarsi poi in attivista per i diritti umani, militante politica per il suffragio universale, spia e combattente aggregata durante la Guerra di secessione e, allo stesso tempo, anche infermiera in servizio in ospedale.

L’anno di nascita di Harriet Tubman non è certo. Viene collocato fra il 1822 ed il 1825. Harriet al tempo si chiamava Araminta Ross, ma tutti la chiamavano “Minty”. I primi anni di vita furono quelli propri di ogni donna schiava, sottomessa a suon di frustate ed umiliazioni continue ai voleri degli esseri umani – i suoi padroni – che affermavano di possederla, come fosse un cavallo o un mobile.

Già dall’adolescenza spesso fu minacciata di essere venduta ad altri proprietari e venire così mandata lontano dalla sua famiglia. Uno stato di angoscia continuo che, nel 1949, la indusse a fuggire dalla piantagione in cui ancora era tenuta schiava, nonostante fosse figlia di un afroamericano che aveva riscattato la sua libertà e sposa di un altro uomo affrancatosi egli stesso dalla schiavitù.

Una condizione che non era sufficiente per garantire la libertà ad Harriet e che si sarebbe inoltre riprodotta sui suoi stessi figli che sarebbero stati anch’essi degli schiavi sin dalla nascita, restando così una “proprietà” dei padroni della piantagione dove Harriet era costretta. Una ragione di più che fece trovare la forza alla donna di fuggire via e scappare per oltre un centinaio di chilometri lontano al fine di affrancarsi.

Una volta libera assunse il nome di Harriet, come la madre, e il cognome di Tubman, preso dal marito. Si unì poi agli abolizionisti di John Brown e riuscì negli anni successivi a far fuggire centinaia di schiavi. Allo scoppio della Guerra di Secessione prestò servizio prima in armi e poi all’interno delle strutture sanitarie di Port Royal dove, come infermiera, curò molti soldati malati di vaiolo e di dissenteria. Le conoscenze della medicina popolare e dei rimedi naturali, appresi dalla madre, le permisero di assistere molti malati.

Va ricordato che sia durante la guerra sia successivamente, le infermiere nere ricevevano uno stipendio molto inferiore rispetto a quello delle loro colleghe bianche. E non sempre, a guerra finita, il servizio prestato, per la patria e per la libertà, venne riconosciuto in termini monetari.

In tal senso Harriet ricevette una pensione solo molto in ritardo, sostanzialmente alla soglia dei settanta anni e di un peso economico decisamente irrisorio. Nonostante nei fatti fosse povera e in età avanzata Harriet portò avanti il progetto della Harriet Tubman Home, una struttura residenziale realizzata per le persone anziane che vide la luce nel 1908.

Harriet morirà nel 1913 e la sua figura è da sempre nel panorama storiografico dell’infermieristica statunitense, la quale già da tempo ha iniziato a rendere omaggio alla verità storica professionale molto spesso mascherata da opere elegiache cariche di un velo pregiudiziale verso gli afroamericani e connotate da un blanchissement di fondo che vuole narrata solo la storia di chi ha il colore – qualcuno direbbe l’etnia – giusto per essere ricordato.

La figura di Harriet Tubman è stata ricordata da molti libri e articoli di storia di infermieristica statunitense, da un omaggio recente ad opera della School of Nursing2 dell’Università della Virginia e da un film realizzato nel 2019, intitolato appunto “Harriet” e disponibile sulla piattaforma digitale di Netflix.

Il ruolo della schiava ribelle è stato impersonato dalla brava Cynthia Onyedinmanasu Chinasaokwu Erivo, conosciuta attrice britannica che, per il suo lavoro, ha ricevuto il doppio riconoscimento quale migliore attrice 2020 sia come premio Oscar sia come Golden Globe. Il resto è una storia tutta da approfondire e ricercare.

Storia che qui è stata solo tratteggiata in modo molto avaro e che merita di essere conosciuta ulteriormente, a testimonianza di come la professione infermieristica si sia resa protagonista di battaglie di giustizia e di libertà, sia di un’assistenza immaginata, e realizzata, oltre le rigidità dell’istituzione totale e delle leggi avare di mercato.

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