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Editoriale

Kabul è caduta?

di Giordano Cotichelli

In queste ore un’immagine, in bianco e nero, rimbalza sui social e sui media di mezzo mondo. Si vede un elicottero sulla terrazza di un palazzo ed una lunga file di persone che sta cercando di farsi imbarcare. Poco dopo quello stesso mezzo militare, o uno simile, verrà spinto fuori dal ponte di una portaerei statunitense per fare spazio alle centinaia di profughi ammassati. È una delle tante foto simbolo della caduta di Saigon, della fine di un intervento militare americano quasi ventennale e di una guerra ancora più lunga. Una guerra inutile, come tutte le guerre, l’ennesima sconfitta della “civiltà”, e del mercato, esportati in punta di baionetta. Il costo: centinaia di migliaia di vite umane e danni ambientali per decenni. La fine della Guerra del Vietnam si riverbera oggi nella presa di Kabul da parte dei Talebani. Anche in questo caso, dopo venti anni di intervento occidentale, le armi occidentali hanno creato solo morte e distruzione.

Gli “agnelli” delle guerre

Michael Moore, il regista di Bowling for Colombine, parla dell’ennesima sconfitta del militarismo americano; di una guerra costata 2.300 morti statunitensi. La coalizione ne ha avuti in totale 3.500. L’Italia ne conta 53 e 700 feriti. Il costo delle missioni militari è stato di un trilione di dollari per gli Stati Uniti e “appena” 8,7 miliardi di euro per l’Italia.

L’Afghanistan ha registrato decine di migliaia di morti civili in questi anni: tra i 40 e i 50.000 in totale, ma la cifra esatta forse, come in tutte le guerre, non si saprà mai. I profughi si contano a milioni. E, probabilmente, il futuro non riserva nulla di buono per quel paese e per tutta l’area, da sempre crocevia di traffici internazionali, da sempre vicolo cieco di ogni sanguinaria bramosia imperialista nella zona: britannica, sovietica, occidentale.

Inoltre, proprio mentre il paese veniva riconquistato rapidamente dai Talebani, a Rouen moriva Gino Strada che, con Emergency, è stato costantemente presente in quella regione (e in molte altre nel mondo) per garantire un’assistenza sanitaria utile e dignitosa a chi ne avesse avuto bisogno. Il chirurgo milanese diceva di essere contro la guerra, ma di non essere pacifista. Concetto più semplice di quanto non appaia. Senza forzare il suo pensiero, ma restando legati ai messaggi di fondo che racchiude, si può provare a ragionarci su. In primo luogo gli uomini.

In questi anni una propaganda feroce e bugiarda dei media occidentali, quotidianamente ha dipinto un paese e una popolazione come un branco di pezzenti e ladroni pericolosissimi per l’Occidente. I fatti, dimostrano il contrario, ma soprattutto denunciano la cattiva e crudele stupidità di chi ha sostenuto questa guerra; ad ogni livello; come sempre. Pensiamo alle vite umane rubate e sacrificate inutilmente. Sarebbero potuto essere vite vissute per costruire, sicuramente, un mondo migliore. C’è un bel film del 2007, per la regia di Robert Redford dal titolo: “Leoni per agnelli”, dove si parla dell’affarismo, economico e politico, che ogni guerra porta con sé, per quelli che sono gli “agnelli” delle guerre, coloro che le finanziano, le dirigono e ne traggono lauti profitti, grazie al sacrificio dei leoni, coloro che invece muoiono nelle guerre.

Ogni volta che si parla di guerra, la retorica è facile, specie quando se ne esaltano le virtù patriottiche, di strumento di “sola igiene del mondo”, come amano dire e pensare i tanti “agnelli” italiani, che poi vorrebbero sparare sui profughi di quelle stesse guerre da loro stessi idolatrate e scatenate. Facile e retorico ricordare come, sul piano sociale, avrebbero potuto essere impiegati questi soldi sperperati in questo ennesimo bagno di sangue.

Quanti professori e maestri sarebbero potuti essere assunti per una scuola migliore. Quanti medici, infermieri, tecnici, oss, o quante autostrade sicure o argini di fiumi rinforzati, ospedali aperti e tac riparate, posti letto mantenuti, ambulatori, medicine, salari, trasporti, case popolari e…viene voglia di mettersi a contare come è uso fare qualcuno quando, privo di argomentazioni, sciorina una lista della spesa tutta sua.

In questo caso la lista della spesa è lunghissima ma si risolve nel porre un discrimine: o si spende per il benessere della collettività, per i bisogni, per le fragilità, per l’umanità e l’ambiente. O si spende per le guerre. Purtroppo non ci sono altre scelte, almeno fino a quando i leoni della quotidianità della vita non si rifiuteranno di farsi sacrificare dagli agnelli del potere.

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