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Editoriale

Pasqua senza tregua

di Giordano Cotichelli

È una Pasqua alta quella del 2022 e apre ad un calendario ricco di festività per quasi tre settimane di fila: Pasqua, 25 aprile e Primo maggio. Ciò nonostante non ci sono date però con “ponti” festivi in mezzo, utili a programmare fine settimana più lunghi del solito. Ad ogni modo è facile immaginare come sui luoghi di lavoro, specie in ambiente sanitario, ed ancor più in ospedale e nelle corsie, molti abbiano già cominciato a programmare ferie, cambi di turno e… qualche provvidenziale malattia o permesso da utilizzare, funzionali a mettere in libertà giornate di festa altrimenti passate a coprire la turnistica di servizio.

Non ci sono ferie da prendere per gli infermieri in Donbass o a Odessa

Guerre, troppe guerre. Anche solo una è di troppo

Niente di nuovo, un quadro già visto da tempo, ed oggi, dopo due anni di pandemia, sentito e desiderato sicuramente, più del solito. No, il primo maggio non posso proprio, davvero.

È una festa importante e abbiamo programmato di uscire con i bimbi, sembra quasi di sentire qualcuno pronto a difendere il suo diritto ad avere proprio quel giorno di ferie per poter prendere fiato. Cosa giusta anche se, a dire il vero, magari il 1° maggio e il 25 aprile non sono proprio festività equiparabili alla Befana o al Ferragosto.

Date che rappresentano momenti cruenti della storia e delle lotte dei popoli. La prima riguarda la lotta per le otto ore di lavoro e l’altra il giorno dell’insurrezione contro l’occupazione nazista e il collaborazionismo criminale dello stato fascista di Salò. Alla fine però si rischia di voler troppo da due giorni di vacanza che vengono visti solo come ulteriori possibilità di tirare il fiato per un attimo, liberi dall’incessante routine lavorativa. Come è giusto del resto, anche se non possibile per tutti.

Non tutti hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato che garantisca loro diritti basilari: buona retribuzione, giusti riposi, dignità e sicurezza lavorativa, ed anche godere, ogni tanto di un giorno di festa; o alla più brutta, di farselo pagare come festività quando sia una giornata lavorata. Non tutti hanno la possibilità di mandare la malattia, non tanto per fare un ponte provvidenziale, quanto perché realmente stanno male, ma semplicemente il capo non gli riconosce questo “privilegio”.

Le eterne discussioni per ripartirsi le festività da ricoprire in chi fa i turni in ospedale, o in qualsiasi altro posto di lavoro simile, all’inizio della seconda decade del terzo millennio sembrano qualcosa che riguarda sempre più una ristretta minoranza lavorativa, ancora in grado di beneficiare di diritti conquistati con le lotte (quelle del 1° maggio e del 25 aprile) e delle varie mobilitazioni sindacali all’occorrenza. La stragrande maggioranza dei lavoratori, in sanità e non solo, sono sempre più precari, a tempo determinato, con contratti rabberciati in termini di garanzie e stipendi, ricchi solo di un carico di rancore contro i colleghi che magari hanno qualche diritto in più letto però come privilegio, come elemento… divisivo.

Quella tracciata poi in realtà vuole essere una lettura della Pasqua del 2022 il più possibile vicina alla realtà brutta che ci circonda, dato che non è solo e tanto questione di chi, qui, nel primo mondo, possa prendersi un giorno di ferie o meno, ma anche dell’esistenza di un mondo che è carico di violenza, disparità, disuguaglianze e guerre. Come lo è sempre stato certo, ma forse oggi in una maniera così ampia, così vicina, che ci appare quasi senza via di scampo nel passaggio epocale verso un futuro che si annuncia funesto.

Passaggio cui sembra fare eco la stessa festività religiosa. La parola pasqua deriva da pascha (latino), paskha (greco) pesah (ebraico) e pasah (aramaico), ed in ogni accezione etimologica il suo significato è chiaro e riferito ad un momento di passaggio, quello che deriva dalla narrazione biblica della fuga degli ebrei dall’Egitto; un esodo che ancora, dopo qualche migliaio di anni, non è terminato. Ha visto cambiare gli uomini, le culture e le terre attraversate, ma continua ancora ai giorni nostri.

Milioni di profughi ogni giorno cercano di attraversare frontiere naturali (deserti, mari, montagne) o artificiali (quelle crudeli degli stati) per poter arrivare ad una nuova vita, ad una resurrezione dopo anni di stenti, sofferenze, miserie, malattie e fame. E guerre, troppe guerre. Anche solo una è di troppo; e questa volta è all’interno della ricca Europa, da quando l’esercito russo del governo di Putin ha invaso i territori ucraini provocando distruzioni, lutti e pasque forzate di almeno quattro milioni di persone. Probabilmente la festività religiosa non riuscirà a creare un cessate il fuoco, almeno per il tempo di piangere i morti senza dover alzare gli occhi al cielo per paura dell’arrivo della morte militare.

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