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in pillole

Ri... mettiamoci il cuore!

di Francesca Gianfrancesco

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Riparte la stagione sportiva, tutta una serie di eventi che entusiasma e coinvolge chi più chi meno. C’è chi vive con fervore ogni partita che sia di calcio, pallavolo, basket ecc…

E chi invece (come me) la vive in maniera un pò passiva, vuoi perché in alcuni giorni in tv e sui giornali non si parla d’altro ma anche perché quello dello sport è un mondo che in fin dei conti affascina.

Sono modelli di vita ambiti che includono la fortuna di avere passione per un lavoro molto ben retribuito, popolarità, vigore fisico. Ai nostri occhi risultano quasi immuni a ogni sfumatura di grigio che appartiene alla vita comune. A differenza di noi “comuni mortali”, gli sportivi sono sottoposti a continue visite mediche accurate, controlli specifici e minuziosi, volti ad accertare la presenza di eventuali problemi o comunque di anomalie fisiche, genetiche o altro, eppure; lo abbiamo visto accasciarsi al suolo senza più rialzarsi, sotto lo sguardo impietrito di migliaia di tifosi Fabrice Muamba, il 23enne giocatore del Bolton che, nel corso della partita tra Tothenam e Bolton, ha fatto immediatamente temere tutti per la propria vita.

E’ stato defibrillato per ben 15 volte per far ripartire il cuore del giocatore che è effettivamente morto per 78 minuti ed è stato salvato solo grazie ad un immediata RCP, subordinata però alla presenza di una seppur minima attività elettrica residua. Sorte decisamente peggiore è toccata a Vigor Bovolenta, 37 anni, che nel corso della partita che la sua squadra, il Volley Forlì, stava disputando contro la Lube a Macerata, si è sentito male. A nulla è servito il ricovero immediato in ospedale, dove i medici hanno potuto effettivamente solo accertare la sua morte.

Non ce l’ha fatta Piermario Morosini, il 25enne giocatore del Livorno colpito da arresto cardiaco durante una partita di serie B contro il Pescara. Crollato in campo era stato soccorso dai sanitari dello stadio Adriatico e trasportato d’urgenza all’ospedale civile di Pescara dove è morto.
E loro sono solo alcuni esempi eclatanti, che tutti ricordiamo, ma pensate che in Italia si stima che il numero delle morti di questo tipo sia pari a 57.000 l’anno.

La chiamano “Sindrome da morte improvvisa” ed è definita come un evento naturale che porta al decesso entro un ora dai sintomi, preceduta da repentina perdita di coscienza, in soggetti con o senza cardiopatia nota pre-esistente, in cui epoca e modalità di insorgenza sono imprevedibili.
È determinata nel 90% dei casi da una cardiopatia che ha nella insufficienza coronarica la sua eziopatogenesi prevalente. L’evento finale responsabile di morte improvvisa è nel 90% dei casi un aritmia : FV nel 75-80% dei soggetti, bradi aritmia nel 15-20% , una dissociazione AV nel restante 5%.
Tra queste viene poco spesso presa in considerazione, forse perché di recente scoperta, la Sindrome di Brugada (si stima che tale patologia sia responsabile del 4% di tutte le morti improvvise, almeno del 20% di quelle in soggetti senza alterazioni strutturali miocardiche ed e la principale causa di morte in soggetti di età <40 anni, incidenti stradali esclusi).

In ogni caso le aritmie devono essere affrontate con un approccio che privilegi la rapidità d’azione pur salvaguardando la qualità degli atti. Ciò può essere ottenuto con manovre e misure che siano adeguate al riconoscimento dell’eventuale aritmia, quindi:

- precoce riconoscimento
- precoce attivazione dei soccorsi
- precoce BLS
- precoce defibrillazione
- precoce ALS.

Ogni minuto di ritardo nella defibrillazione comporta una riduzione del 7-10% delle sue probabilità di successo. Come operatori del settore non possiamo far altro che migliorare e superare le difficoltà contingenti, dovute anche alla scarsa sensibilità di alcuni. Ma di questo ne parliamo negli ambienti sindacali.
Una cosa voglio ricordare a me stessa e ai miei colleghi che leggono: ricordiamoci che siamo infermieri sempre e che dobbiamo sentirci in obbligo di sapere, saper fare e saper essere sempre, e non solo nella routine di un turno tra una terapia e una pratica assistenziale.
Il nostro orgoglio è nella nostra forza, la nostra forza nel sapere.
Proviamo a “rimetterci il cuore” in ciò che facciamo.

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