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Educazione terapeutica, il contratto negoziato con il paziente

di Sara Di Santo

L’educazione terapeutica, come definito dall’OMS, dovrebbe permettere al paziente di acquisire e mantenere le capacità e le competenze che lo aiutano a vivere in maniera ottimale con la sua malattia.

L'educazione terapeutica è un processo condiviso

Un processo centrato sul paziente

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) corrisponde all’80% circa la percentuale di malati non ospedalizzati che soffrono di patologie croniche.

Il quadro epidemiologico e quello demografico delineano – non è una novità – una situazione di progressivo invecchiamento della popolazione che va di pari passo al fenomeno polipatologie/comorbilità, il tutto calato all’interno di un Sistema Sanitario Nazionale la cui offerta di servizi risulta difficilmente espandibile a causa di problemi economici più o meno consistenti.

In tale contesto l’educazione terapeutica rappresenta, per le professioni sanitarie, una via concreta per rispondere alle esigenze degli utenti portatori di patologie croniche.

Su 5 pazienti cronici, solo uno o due seguono correttamente le prescrizioni del medico. La grande maggioranza adotta una propria “versione” della terapia e ha delle idee in proposito che non confesserà mai al curante. Sbagliano, ma è proprio tutta colpa loro?” (J.P. Assal, 1999)

Già, è proprio tutta colpa loro? Il professionista della salute non deve mai dimenticare che l’assistito si trova quasi sempre in una condizione di asimmetria relazionale: non possedendo lo stesso background di conoscenze e competenze di un professionista, il più delle volte ha la sensazione di ricevere solo divieti e imposizioni, cosa che va ad incidere inevitabilmente sulla sua compliance al programma terapeutico.

Il paziente affetto da patologia cronica è un paziente molto particolare per il quale l’apprendimento di competenze e di comportamenti di salute è necessario per vivere ritardando le complicanze legate alla malattia, riducendo i suoi livelli di dipendenza e conducendo così una quotidianità il più normale possibile.

L’educazione terapeutica, che si situa a livello della prevenzione secondaria (in presenza del fattore di rischio è orientata al ritardare il manifestarsi della patologia) e terziaria (con la patologia in essere, mette in campo strategie per ritardare l’insorgere di complicanze), consiste in un vero e proprio transfert, pianificato e organizzato, di competenze dal curante al paziente e si inscrive in una prospettiva in cui la dipendenza del malato cede progressivamente il posto alla sua responsabilizzazione e al “partneriato” con l’équipe curante (J.F. d’Ivernois, R. Gagnayre).

Le competenze che l’assistito deve essere guidato a maturare riguardano:

  • la comprensione di sé stesso;
  • la comprensione della malattia e del relativo trattamento;
  • le capacità di auto-sorveglianza;
  • le capacità di autocura;
  • le capacità di adattamento della terapia al proprio stile di vita.

Per far in modo che si raggiungano queste competenze (gli obiettivi dell’educazione terapeutica), l’approccio educativo deve essere centrato e modulato sulle caratteristiche dello specifico assistito (e/o del caregiver) e deve essere di tipo sistemico, ovvero deve trattarsi di un’educazione erogata attraverso il rispetto di fasi logico-consequenziali che si susseguono in modo ordinato:

  • accertamento/raccolta informazioni;
  • formulazione della diagnosi educativa;
  • negoziazione del contratto;
  • pianificazione (contenuti, metodi, strumenti, valutazione);
  • erogazione;
  • valutazione (di apprendimento, di processo, di ricaduta, di gradimento);
  • eventuale ulteriore raccolta di informazioni e revisione dell’intero processo.

Come e perché l’infermiere fa educazione terapeutica?

L’educazione terapeutica è parte integrante del processo di assistenza ed è multidisciplinare, coinvolge l’intera équipe di professionisti della salute (medici, infermieri, terapisti della riabilitazione, psicologi, ecc.) - opportunamente formati - al fine di garantire un’assistenza a 360°, coordinata e tempestiva, che migliori la soddisfazione del paziente e l’efficacia delle prestazioni.

Per l’infermiere quella educativa è un’area di responsabilità assegnata dal profilo professionale e ribadita dalla Legge 42/99; non si tracuri poi il risvolto etico della funzione educativa dell’infermiere, che con il suo intervento collabora per evitare al paziente dolori eludibili, peggioramenti della condizione clinica e stati di ansia correlati alla mancata padronanza delle situazioni.

Partendo dalla valutazione del livello di health literacy del singolo assistito, ovvero dall’insieme di abilità cognitive e sociali che permettono all’individuo di accedere, comprendere e utilizzare le informazioni utili al mantenimento e alla promozione del proprio stato di salute, il team multidisciplinare definirà le priorità e le competenze chiave che la persona dovrà padroneggiare e lo farà de-strutturando, scomponendo le varie azioni che caratterizzano determinati compiti, riflettendo sulla loro complessità, sull’inusualità del percorso per il paziente e sul particolare stato d’animo che esso si trova a vivere.

Definiti in maniera collegiale obiettivi e competenze, individuata dunque la diagnosi educativa - caratterizzata da un verbo che esprima un’azione misurabile – si procede alla negoziazione del contratto, specifico o di sicurezza a seconda dei casi; sondando le dimensioni biologico-clinica, socio-professionale, cognitiva e psico-affettiva, si concordano con il paziente e/o con il caregiver i contenuti, i metodi e gli strumenti di apprendimento e di valutazione.

Stendere un contratto, che ha valore di impegno reciproco, rappresenta di per sé uno stimolo per il paziente, il quale percepisce a fondo l’impegno e ha la possibilità di comprenderne le finalità; motivazione e chiarezza degli scopi da raggiungere, gli altri elementi principali.

Tuttavia, l’educatore curante deve accettare che il paziente non raggiunga tutte le competenze contemporaneamente, ma ha l’obbligo di considerare ogni paziente come potenzialmente capace di raggiungerle.

Non c’è niente di prestabilito e ogni contratto può evolvere in funzione della durata dell’apprendimento, di nuovi eventi che intervengono nella vita o nella malattia del paziente, dell’evoluzione dei suoi bisogni (J. F. d’Ivernois, R. Gagnayre)

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