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editoriale

Infermieri: chi vuol essere missionario?

di Carlo Leardi

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MATERA. Finalmente qualcuno si ricorda dell'importanza degli infermieri, e le belle parole questa volta non arrivano da un personaggio qualsiasi. Parliamo infatti delle parole pronunciate da Papa Francesco, che ha paragonato gli infermieri al Figlio di Dio. Che si sia credenti o meno, il fatto che una figura istituzionale (non dimentichiamo che il Papa è un capo di Stato) riservi delle belle parole agli infermieri, non può che rendere felici, soprattutto dopo episodi come quelli della ministra che si offende per essere stata scambiata per infermiera o della psicoterapeuta che paragona (impropriamente ed in maniera oltremodo offensiva) le infermiere alle prostitute.

Molte polemiche sono nate a seguito di queste considerazioni che il Pontefice ha espresso e, pur non dando peso alle polemiche, credo sia doveroso chiarire un piccolo concetto che sembrerebbe non essere ancora del tutto chiaro ad alcuni infermieri e ad una grossa fetta dei cittadini: l'infermiere è un professionista, non un missionario.

 

Non credo sia un'eresia o una mancanza di etica professionale il fatto di rifiutare in toto il termine "missionario" accostato alla parola infermiere.
Per quanto la nostra professione abbia per anni avuto un' impronta fortemente religiosa (si pensi alle scuole gestite dalle suore), credo sia anacronistico continuare ad accostare la figura dell'infermiere a quella del missionario o del devoto che si avvicina ai bisognosi poichè vede in loro l'incarnazione del Cristo flagellato.
Premesso che chi scrive è un cattolico praticante ed impegnato nell'ambito parrocchiale, ritengo altamente dannosa per la nostra categoria la visione missionaria del nostro lavoro.

 

Partiamo da presupposto che il missionario, qualunque sia il suo credo religioso o la motivazione che lo spinge a dedicarsi al prossimo, svolge il proprio compito in maniera totalmente gratuita. Basterebbe solo questo a far comprendere a chiunque che, il ritenere la propria professione una missione, escluderebbe a priori la "lotta" per vedersi riconosciuti alcuni diritti, primo tra tutti quello di uno stipendio adeguato alle proprie responsabilità ed al carico di lavoro.

 

Vedere persone che continuano ad avere una visione arcaica della nostra professione, è alquanto frustrante, soprattutto considerando il fatto che molti infermieri, passano anni a specializzarsi, conseguire altri titoli accademici, aggiornarsi ecc...

 

Qualcuno potrebbe anche scandalizzarsi per alcune delle mie affermazioni, ma credo che come professionista, non ci sia nulla di male nell'essere ambiziosi e nel cercare di raggiungere traguardi che garantiscano una certa fama e, perchè no, anche un certo guadagno, l'importante è che ciò avvenga nel rispetto delle leggi e della deontologia professionale (senza dimenticare il rispetto per i propri pazienti/clienti).

 

Non credo che i colleghi che ogni anno affollano le università per accedere ai corsi di laurea specialistica facciano tutto ciò solo perchè sentono il proprio lavoro come una missione. Non avrebbe senso studiare per diventare dirigenti e mettersi poi alla stregua di gente che presta gratuitamente la propria opera, a meno che non si aspiri a diventare un dirigente che lavora gratis.

 

Credo non ci sia nulla di male nel cercare una crescita economica (magari elevata) dalla propria professione: se dopo aver conseguito una laurea, mi iscrivo ad un master, ad una laurea specialistica o ad un corso di alta formazione, sicuramente le mie scelte saranno dettate dalla volontà di crescere sia culturalmente che economicamente! Sarei io per primo un ipocrita se affermassi di essermi iscritto ad un master solo per arricchire il mio bagaglio culturale: la mia speranza, è appunto quella di poter ampliare il mio "raggio di azione", poichè come professionista mi ritengo abbastanza insoddisfatto di quelle che sono le prospettive di crescita cui posso ambire (soprattutto a causa di una normativa alquanto obsoleta e non in linea con gli altri Stati Europei).

 

Altro punto essenziale da non trascurare è che definirsi missionari, non fa altro che andare a favorire tutte quelle situazioni in cui noi infermieri ci vediamo privati di tanti diritti che dovrebbero invece spingerci ad una maggiore coesione. Un esempio? Tutti si lamentano per l'assenza di un contratto unico di categoria e per l'impossibilità che gli infermieri hanno ad esercitare in regime di libera professione al di fuori delle mura ospedaliere. Ora, mi domando che senso abbiano tali richieste volte ad ottenere un guadagno maggiore se poi ci si definisce missionari? Ipocrisia o mancata conoscenza del significato del termine "missionario"?

 

E' vero, la professione che svolgiamo, ci porta ad essere spesso (o forse dovrei dire sempre) accanto a chi soffre facendo si che possiamo davvero renderci utili agli altri, ma non vedo alcuna analogia tra l'utilità e la missione. In determinati momenti della vita, anche medici, ingegneri, avvocati, architetti ecc... sono utili al prossimo, non per questo li definiscono o essi stessi si autodefiniscono missionari; professionisti è il termine che meglio li raffigura, così come tale termine dovrebbe raffigurare l'infermiere.

 

L'autogol più grande quindi che possiamo fare alla nostra categoria, è appunto quello di continuare a definirci (o farci definire) missionari.

A tal proposito, inviterei tutti i colleghi che percepiscono il proprio lavoro come una vera e propria missione, a rinunciare totalmente al proprio stipendio per un mese: lo spirito missionario di sacrificio richiede un alto senso di abnegazione, quindi quale modi migliore per dimostrarlo rinunciando al proprio compenso?

 

Ogni infermiere ambizioso, spera di poter crescere professionalmente ed economicamente, così come accade a tanti professionisti che operano in campi diversi dall'infermieristica, e credo non ci sia nulla di male nel cercare di raggiungere il benessere economico attraverso la professione che si ama e che si svolge quotidianamente con dedizione.

 

Lasciamo che altre figure facciano i missionari, come ad esempio i frati (a cui vanno tutta la mia stima ed il mio rispetto) e, se proprio non possiamo fare a meno di farci carico di una missione, ebbene cerchiamo di far si che quest' ultima si concretizzi nella "lotta" per vederci finalmente riconosciuti tutti quei diritti per i quali da sempre ci lamentiamo: contratto unico di categoria, possibilità di esercitare in regime di libera professione come è permesso ai medici, stipendi adeguati alle nostre responsabilità ed al possesso di titoli accademici, riconoscimento economico dei nostri master e delle nostre lauree specialistiche, rispetto per la nostra dignità professionale.

 

State certi che nessun paziente ci biasimerà per tutto ciò, soprattutto in virtù del fatto che se le nostre richieste trovassero il consenso di chi di competenza, svolgeremmo con maggior dedizione e serenità quella professione che tanto amiamo e che siamo troppe volte costretti a svolgere come una missione.

Infermiere

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