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Ivan Cavicchi: Aumentare le competenze Infermieristiche, è possibile se si ridiscute del Profilo Professionale

di Domenica Servidio

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PUGNOCHIUSO. Ieri 30 Maggio 2014 ha avuto inizio la 1ª giornata del Congresso “L’infermieristica italiana oggi e le Prospettive di sviluppo”, i cui argomenti cardine sono: le evidenze scientifiche, le competenze avanzate e la formazione. In particolar modo, durante questo primo incontro è stata affrontata un’importante problematica dell’infermieristica italiana: il sistema formativo e le competenze infermieristiche avanzate.

Tra i partecipanti al dibattito anche il Prof. Ivan Cavicchi, sociologo di fama nazionale e docente dell’Università Tor Vergata di Roma al quale abbiamo posto le seguenti domande.

 

Prof. Cavicchi durante il dibattito ha parlato di “lavoro privativo”. Partendo dalla metafora del paziente-esigente, quanto questo concetto da lei citato può sminuire il senso olistico dell’assistenza?

 

Rispondo alla sua domanda partendo da un importante aspetto che è il malato. Se il malato per me operatore è solo un mucchietto di cellule, anche se gli dico “buongiorno” resterà un mucchietto di cellule. Questo esempio serve a semplificare un concetto più amplio che è “il Ruolo” che riveste l’operatore.

 

Per cui usare la metafora del paziente esigente è semplicemente un modo per descrivere come il paziente sia cambiato. Prima non ti portava in tribunale, ora ti porta in tribunale! Ma se il paziente non è solo un mucchietto di cellule, il modo in cui l’operatore si approccerà con esso, sarà completamente diversa. Non basta averla la competenza. È il modo in cui la usi che fa sì che questi diventi importante.

 

È la competenza che ti garantisce il risultato, l’esito. Perché la competenza diventi pertinente è fondamentale che l’operatore si trasformi in “autore”, colui che riesce a farsi misurare sugli esiti e questo discorso vale sia per la professione infermieristica sia per quella medica, nel rispetto delle proprie competenze.

 

Riguardo la connotazione negativa di “lavoro privativo”, rispondo alla domanda descrivendo l’esperienza fatta con degli infermieri di bologna, i quali hanno chiesto il mio contributo perché sentivano l’esigenza di descrivermi il loro disagio professionale. Con questi infermieri è stata fatta una ricerca su tale disagio e ciò che è stato evidenziato è anche l’alto disagio presente tra colleghi perché il rapporto tra gli operatori non è semplice, a volte il disagio strutturale e organizzativo incide sul disagio degli operatori. Tale disagio deve essere motivo di discussione nella “questione infermieristica”, perché esiste una questione infermieristica che deve essere oggetto strategico per gli infermieri.

 

Un’importante criticità che oggi  la professione infermieristica sta vivendo è la disoccupazione, la quale in Italia ha raggiunto massimi storici. Qual è secondo lei lo sviluppo dell’infermiere che si proietta al futuro? Qual è il futuro della formazione infermieristica italiana?

 

La professione infermieristica deve proiettarsi alla rivalutazione del proprio ruolo. L’infermiere deve sentirsi predisposto al cambiamento, a ridiscutersi, ma aumentare le competenze è possibile se si ridiscute anche sul Profilo Professionale dell’infermiere, perché se  davvero parliamo di infermiere, non solo come operatore, ma come autore, organizzatore è importante che ciò venga specificato, affinché la professione non rimanga circoscritta e generica.

 

Il cammino intrapreso con la Legge 42 del ’99 è importantissimo, ma a noi oggi tocca fare il resto perché la partita non è finita lì.

NurseReporter

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