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editoriale

La professione infermieristica deve rivalutare la prospettiva di lavoro

di Emanuele Lisanti

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ROMA. La gestione del paziente è una delle competenze più importanti della figura infermieristica. L’utilizzo del termine competenze non è casuale, infatti oltre ad un set di conoscenze e tecniche attraverso cui si svolge la professione, la figura infermieristica ha capacità di relazione con il paziente. Tutto questo si esprime attraverso la gestione del caso, dell’assistenza al paziente in fase acuta e cronica.

 

I diversi momenti della storia della patologia, i luoghi di cura, le strategie impiegate prevedono una serie di attività che si svolgono in maniera diversa. Come più volte affermato, maggiore è la complessità e lo stadio acuto della patologia, più serve specializzazione del lavoro e, dunque, entra in scena la figura medica.

 

Con questo non si vuole affermare che la professione infermieristica non è specializzata. Chi vi scrive lavora in una terapia intensiva cardiochirurgica e quotidianamente tocca con mano questa condizione. L’infermiere ha un altro campo di azione che non deve sovrapporsi a quello medico, già occupato per competenze e, dunque, percorso di studi.

 

La figura infermieristica deve occuparsi del paziente nella sua interezza, in un particolare stato di salute. Sarò più chiaro con un esempio: il paziente diabetico. Grazie alla partecipazione ad un corso sulle tecniche di trattamento delle ulcere trofiche agli arti inferiori tenutosi presso il presidio sanitario di Colorno nell’Asl di Parma mi sono reso conto del reale potenziale della figura infermieristica.

 

L’organizzazione creata per il paziente diabetico, che presenta un’ulcera al piede legato alla patologia, apre una serie di strade e dunque lavoro per la professione infermieristica.

 

Il paziente, dopo aver fatto una visita con lo specialista, viene affidato agli infermieri che lo inquadrano effettuando un primo screening sul rischio di sviluppare ulcere al piede e iniziano a trasmettere al paziente i primi concetti di educazione sanitaria. Gli strumenti utilizzati, oltre ai classici mezzi di informazione sanitaria, sono l’autocontrollo pressorio e glicemico, l’ispezione del piede e una check-list accreditata dalla Società Italiana di Diabetologia che suggerisce all’infermiere una scala di rischio per il paziente di sviluppare ulcere agli arti inferiori.

 

Se il paziente non presenta un grado di rischio appropriato a continuare il percorso seguirà un programma di educazione sanitaria sempre curato dagli infermieri, altrimenti passerà all’ambulatorio infermieristico di screening per il piede diabetico dove sarà sottoposto ad altre tecniche diagnostiche più approfondite di valutazione della sensibilità neurologica e vascolarizzazione dell’arto.

 

Seguiranno nozioni di educazione sanitaria al riguardo per prevenire peggioramenti della situazione attuale. Nel caso in cui il paziente abbia già sviluppato o stia per sviluppare ulcere diabetiche sarà inviato all’ambulatorio infermieristico di II livello per il trattamento delle ulcere con medicazioni avanzate.

 

Il percorso è gestito da un infermiere che prende in carico il paziente e lo conduce verso la guarigione o la stabilizzazione della patologia attraverso la registrazione in un sistema informativo automatizzato consultabile dall’equipe di cura.

 

Con questo esempio voglio dimostrare che forse la professione infermieristica deve ripensare il proprio lavoro e, dunque, abbandonare esclusivamente le attività di assistenza “di reparto”, ma spostarsi con una prospettiva più orizzontale ovvero “per paziente”.

 

D’altronde, nell’era dell’aziendalizzazione, bisogna cogliere ciò che di buono propone questa nuova filosofia. La gestione per paziente permette una migliore qualità dell’assistenza perché garantisce quell’approccio olistico tanto sbandierato nei corsi di laurea e poco praticato nelle corsie dove le prestazioni sembrano legate ancora al vecchio mansionario dell’infermiere professionale.

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