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editoriale

Infermiere, metamorfosi di una professione

di Fabio Albano

L’infermiere come singolo soggetto, individuo o parte di una comunità? E quale comunità? La metamorfosi, infinita, della nostra professione ci sta spingendo verso una frammentazione, che credo alla fin fine nuocerà e non poco a tanta parte di noi.

Noi siamo pronti e Slow Nursing, come cambia la professione

metamorfosi di kafka

La metamorfosi di Kafka

Stiamo attraversando una fase di crisi, acuta, in cui infermiere oggi assume un significato ampio, forse troppo. Esiste una parte di noi che si sta dedicando al restyling della professione attraverso l’associazionismo. La nascita di associazioni dedite alla creazione di una prospettiva futura dell’infermieristica è per noi cosa nuova e, nello stesso tempo, antica. Antica quando ci riferiamo a organismi come Aniarti, Aico E Aiso. Cioè un insieme di infermieri che si è dedicato al tentativo di crescita di una sola parte della professione infermieristica. Società di valore assoluto che attraverso i principi guida e la discussione ci hanno aiutato a crescere, tutti.

Cosa nuova sono invece le organizzazioni che fanno attività nella speranza di creare i presupposti affinché noi si venga riconosciuti come professionisti intellettuali e il nostro appeal, verso la popolazione, assuma contorni così importanti da avere conseguenze, implicite, sui nostri parametri socio-economici. E qui mi riferisco, ad esempio, a Noi siamo pronti, movimento che ha come scopo principale il riconoscimento e la valorizzazione nostra, mediante lo sviluppo delle competenze specialistiche. Tale esigenza nasce dalla consapevolezza del mancato adeguamento professionale, sociale ed economico per tutta la categoria. Le aspettative post mansionario molto spesso sono risultate non esaudite.

L’associazione Noi siamo pronti è recente nella sua nascita e pare dirigere i propri sforzi verso una riqualificazione professionale che prende origine dallo sviluppo delle competenze tecniche, da un’esigenza di maggiore sviluppo professionale, con conseguente riconoscimento, del nostro saper fare. Grande lavoro avranno da svolgere i nostri colleghi che hanno deciso di dedicarsi a questa intrapresa. Personalmente credo che le difficoltà maggiori debbano ancora essere, da loro, incontrate. Facile avere seguito cavalcando l’onda dell’entusiasmo e della novità, maggiormente complicato mantenere viva la partecipazione specie nel medio e lungo periodo. Ciò che forse deve essere chiarito è l’eventuale legame di questo movimento con la politica e/o con il movimento sindacale.

Parere personale: la nostra professione abbisogna di una nuova collocazione nello scenario sociale che non può derivare dalla politica. È giusto e sacrosanto spingere sull’acceleratore, affinché l’infermiere nel futuro, immediato, diventi figura centrale del sistema sanitario nazionale, tale assetto deve trovare origine nella natura medesima della nostra professionalità. Diverso è sperare che la centralità della categoria risulti frutto di una partecipazione partitica. I partiti sono destinati a sorgere e consumarsi, assecondando le istanze sociali e nazionali, noi infermieri, pur mutando, siamo passati attraverso guerre e crisi socio-economiche a cui la partitica ha dovuto soccombere. Sta qui, nella nostra resilienza, al mutare dei contesti socio-economici, l’essenza stessa della nostra professione.

Esiste, inoltre, un modello consociativo che trae origine e forza dal tentativo di proporre un modello professionale, dove il saper essere risulti dimensionato almeno quanto il saper fare. La nostra professione, per approssimarsi all’eccellenza, necessita di un giusto connubio tra le competenze tecniche e quelle non. Il movimento che ambisce porre al centro della nostra professione il saper essere è Slow Nursing.

Personalmente la parola lento mi suona dolce, in quanto richiama alla mia mente un mondo, non solo professionale purtroppo, che ho conosciuto e oggi non esiste più. Un mondo dove esisteva un tempo per il dialogo, il confronto, la riflessione. Dove il territorio aveva un senso sociale e promuoveva appartenenza, dove i valori della solidarietà necessitavano, per risultare tali, della virtù del saper includere. Valori questi che non dovrebbe risultare difficile riscontrare nell’essenza del nostro agire professionale.

Tre sono le parole d’ordine di questo movimento: coerenza, generosità e onestà. Termini assoluti che non possono essere mediati, ma che, al contempo, hanno necessità di trovare interazione e integrazione per conseguire i più alti consensi.

Lo sforzo che promuove Slow Nursing è teso verso un’umanizzazione delle cure, specie laddove il concetto di salute della persona va a incrociare quello di salute dell’economia. Un ossimoro che rischia di scardinare il sistema sanitario stesso. Coerenza, generosità e onestà, dicevamo, sono tre parole che esprimono tre concetti estremamente impegnativi. Questi nostri anni risultano essere fonte di individualismo e rappresentativi di una società liquida, per dirla alla Baumann. Ne consegue che orientare il proprio essere persona verso questi tre concetti richiede un approccio alla vita estremamente impegnativo; a maggior ragione se si è infermieri. Questo nostro periodo storico ci ha improntati verso un materialismo che trova nel concetto di possesso il proprio apice. Sei se hai.

Ciò che Slow Nursing richiama, invece, è un approccio professionale dove il paziente viene rimesso al centro del nostro operato e non il nostro agire come baricentro dell’assistenza

Essere generosi dovrebbe risultare una qualità insita in chi ha deciso di agire professionalmente, dedicando parte del proprio tempo a chi risulta in difficoltà. Non si può essere portatori di salute se non si è generosi con i soggetti deboli. Troppe volte sono le nostre idee a possederci e non noi a possedere loro. Essere onesti, di questi tempi, è una qualità talmente tanto rara che quasi non appare più come una virtù, ma bensì come una debolezza. A un’analisi distratta parrebbe che il concetto di onestà possa duplicarsi in materiale e morale. Ma, in realtà è un concetto che risulta inscindibile. L’onestà è una, solo una e indivisibile, a volte anche invisibile.

Essere coerenti è una qualità che necessita di tutte le altre per potere essere esercitata. Personalmente la considero la più difficile da praticare. Risultare coerenti significa avere e dimostrare una resilienza verso la vita che non tutti riusciamo a possedere. Essere coerenti significa, veramente, essere leader in quanto padrone delle proprie forze in grado di dominare le proprie debolezze. Ma è pur vero che l’essere umano, non essendo un robot, può essere soggetto a ondulazioni emotive, che possono determinare variazioni nel proprio essere. La soggettività, che ci allontana dall’oggettività, ci rende proni alle alterazioni.

Esiste, infine, una terza categoria di infermieri che ha deciso di dedicare, parte o tutta la propria vita professionale, alla divulgazione critica delle nostre azioni professionali. Sono i giornalisti delle professioni sanitarie. Complimenti a coloro che, per primi, hanno intravisto, tra le pieghe della nostra professione, uno spazio sino a qualche anno fa impensabile. La nostra professione ha bisogno di un contesto divulgativo che non sia solo scientifico. Si avverte, oggi, l’esigenza di un’apertura della nostra categoria verso il mondo esterno, nella giusta tensione verso un riconoscimento professionale che tarda a divenire.

Raccontare di noi, significa interpretare i bisogni di un’intera categoria, le necessità di un adeguamento sociale, che va oltre il riconoscimento economico; significa offrire lo spazio per una condivisione delle idee, ma pure di condivisione di quel disagio che da ormai troppi anni si è impadronito di noi. Tutti.

Avere la possibilità di rendere esplicito il proprio pensiero è una opportunità che non può e non deve essere sprecata; inoltre, questa, è una strada che veramente ci può approssimare all’intellettualizzazione della categoria.

Parlare di noi ci permette quella parte di visibilità e possibilità di incontro che altrimenti sarebbe impossibile.

Il pensiero sistemico ci invita a riflettere sulle circostanze che il contesto socio- economico ci impone. La nostra professione appartiene al mondo dei sistemi complessi, così come tutte le altre professioni sanitarie. Pensare che il nostro status sociale si possa modificare in meglio agendo da soli o addirittura frazionati è come disconoscere la storia del mondo del lavoro. C’è bisogno di interazione ed integrazione, secondo il più tipico dei loops sistemici, tra le varie parti che hanno a cuore la nostra professione e il benessere delle persone.

Credo appaia evidente che gli interessi di ogni soggetto menzionato, ma aggiungo volentieri, gli ordini professionali, i sindacati, i comitati di difesa dei cittadini/utenti e tutti gli stakeholder in genere, debbano risultare coincidenti se veramente si desidera il bene nostro, di noi infermieri, ma soprattutto dei soggetti deboli.

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