Il racconto di un infermiere. La storia di un giovane che, guardando il mare, racconta la sua vita, le sue difficoltà e il suo grande amore per la professione.
Storia di un infermiere che guarda il mare
Era una calda mattina di primavera quando un uomo sulla cinquantina con i capelli ancora sconvolti dalla nottata e in tuta si affacciò sul pianerottolo di casa sua con la solita tazzina di caffè in mano. Nonostante fossero le 9 del mattino, il sole era già splendente e sotto il portico Simone, ancora assonnato, gustava il suo caffè; godeva della vista del mare, quando qualcosa di insolito richiamò la sua attenzione.
Dall'altra parte della strada gli scogli facevano da barriera al mare e seduto sopra a uno di essi Simone scorse una sagoma. Decise così di scendere i tre gradini di marmo bianco per andare a indagare.
Attraversata la strada, apparentemente deserta, arrivò alla barriera e con un balzo vi salì. Con cautela raggiunse il giovane e lì rimase in piedi ad osservarlo. Il giovane accennò solamente un sorriso, senza distogliere lo sguardo dalle sfumature di celeste.
Dopo un'iniziale esitazione il più anziano si decise ad aprire bocca. Chi sei?
chiese rimanendo in piedi a dimostrazione della sua superiorità, usando anche un tono aspro e al contempo preoccupato. Un viandante
rispose il giovane in maniera pacata, mentre continuava a non degnare di uno sguardo il suo interlocutore.
Simone decise allora di mettersi una mano sul fianco a dimostrazione della sua insoddisfazione per la risposta ottenuta e impassibile chiese: E cosa vuoi dalla nostra tranquilla cittadina?
. Il giovane si girò guardando Simone dritto negli occhi per un attimo e con un sorriso stanco lo invitò a sedersi.
Colpito dalla richiesta, Simone si adagiò lentamente, con nuova curiosità, ma pronto a rialzarsi se ce ne fosse stato bisogno. Era sicuro che almeno avrebbe ottenuto una risposta alla sua domanda. Con lo sguardo di Simone fisso su di lui, il giovane fece un respiro profondo, assaporando l'aria salmastra prima di aprire nuovamente bocca: Sai … non riesco a tornare spesso quanto vorrei a guardare il mio mare
. Non sembrava infastidito da quello sguardo fisso su di lui e dopo una breve pausa riprese: C'è stato un tempo in cui anch'io abitavo qui e sono convinto che ci sarà un tempo in cui ritornerò
.
Il rumore del mare era la cornice perfetta per gli sguardi contrapposti dei due. La stanchezza del giovane e la curiosità di Simone si fondevano in un colloquio a cui entrambi riuscivano a partecipare, dando forma, inconsapevolmente, a una nuova amicizia. Le maniche della camicia ordinatamente arrotolate e i primi due bottoni aperti facevano sì che la lieve brezza marina accarezzasse la pelle del giovane, che si sentì scosso da una contrazione muscolare. Prima che Simone chiedesse ancora qualcosa riprese a parlare: Sono un infermiere… un dottore… in Infermieristica ovviamente… e dopo tre anni lontano da casa, per laurearmi, ogni giorno devo continuare a combattere per sopravvivere. Non sai quante persone, ancora oggi, sottovalutino gli infermieri e il lavoro che svolgono, nonostante viviamo costantemente fianco a fianco con i malati e con i loro familiari. Spesso ci scambiano per inservienti o segretari, senza sapere che noi siamo sempre lì a valutare ogni cambiamento, a decidere se somministrare una terapia o se chiamare il medico; siamo lì a parlare con una persona per alleviare i suoi momenti difficili, le sue preoccupazioni, per evitare che una persona disorientata si faccia male e soprattutto siamo lì quando un paziente rientra dalla sala operatoria o quando, nel peggiore dei casi, muore.
Spesso ci scambiano per inservienti, senza sapere che siamo costantemente lì al loro fianco
Turni, spesso massacranti, da coprire ad ogni costo perché un ospedale non chiude mai e quando va bene ti puoi trovare a litigare con qualcuno che, in occasioni sempre meno rare, si sente in diritto di metterti le mani addosso e tutto ciò a fronte di una ricompensa bassa rispetto a ciò che realmente facciamo, a quello che è il nostro compito. Ci possiamo ritrovare a sorridere con colleghi a noi antipatici o con cui non andiamo d'accordo e a lasciare quelli a cui vogliamo bene; vediamo i nostri cari attraverso un monitor e quando torniamo a casa è già ora di ripartire. A fine turno ci togliamo le divise intrise di sudore, di stanchezza, di situazioni stressanti e di paura, chiedendoci se siamo riusciti a fare tutto quello che dovevamo. Sono un infermiere e devo viaggiare tanto, scordandomi spesso un futuro stabile: concorsi, lavori part-time o sottopagati, viaggi e pezzi di vita che, chissà come, si incastrano per poi iniziare un nuovo percorso nella speranza di tornare a casa
.
Una lacrima scese delicatamente sulla sua guancia. A volte non bastano neanche le terre amiche e l'idea di volar via ti sfiora o ti prende, così da farti capire quanto poco sei apprezzato, anche da chi ti vuole più bene. Essere un infermiere non è facile, ma è il mio lavoro, lo faccio con amore e posso dirti che il sorriso e la gratitudine di alcuni ci riempie il cuore e le cene con i colleghi spesso ci uniscono ancora di più. Cene alle quali non saremo mai tutti, perché qualcuno deve pur mandare avanti il reparto. Ricordati di raccontare questa mia storia, la storia di una persona che ha scelto di aiutare gli altri, ma non riesce ad aiutare se stessa e per questo, adesso, il mio viaggio ricomincia, questa giostra riparte, ma porto con me tutte le cose belle e brutte che il mio lavoro mi dona, insieme alla certezza che questo non sarà solo un luogo di passaggio
.
Marco Mestrone, infermiere
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