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Se l'infermiere parla, scrive e legge degli infermieri

di Marco Alaimo

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Intervista a Giordano Cotichelli. Infermiere, sociologo epidemiologo.

Giordado CotichelliGiordano Cotichelli, Infermiere dagli anni '80, con recente Ph.D in Sociologia ed Epidemiologia, docente di infermieristica presso Corsi di Laurea e Corsi di formazione per OSS. Numerose le sue pubblicazioni e articoli sul ruolo dell’infermiere nell’integrazione socio-sanitaria, sulla storia dell’infermiere in ambito psichiatrico e sulle reti assistenziali. Da diverso tempo si occupa anche si Narrative Medicine nelle gravi cerebro lesioni acquisite e nelle malattie rare in pediatria.

Ho avuto il piacere di leggere il suo ultimo libro “Diseguaglianze nella salute e professione infermieristica” risorse e criticità per l’equità del sistema sanitario (ed. Franco Angel). Vogliamo quindi fare alcune domande sul suo recente lavoro e sulla sua esperienza.


Come mai ti sei interessato alle diseguaglianze in sanità e che ruolo può avere l’infermiere?

Mi sono sempre interessato alle questioni socio-economiche in generale. Quando ho capito che queste sono una valida chiave di lettura anche di tutto ciò che interessa la dimensione della salute e dell'assistenza, ho creduto importante approfondire le tematiche specifiche che potessero chiamare in causa la professione infermieristica. L'infermiere, come ogni altro operatore sanitario, non può non essere portatore di una sapere specifico correlato ai determinanti sociali e sanitari della salute e della malattia, se non vuole continuare a essere un mero esecutore di compiti.

Prendi in considerazione anche il ruolo della professione infermieristica in questa fase di cambiamento ed evoluzione non solo in ambito sociale ed economico ma anche professionale. Quali sono i principali problemi e criticità da superare in questo periodo storico particolare?

Attualmente siamo in una fase di profonda trasformazione sociale in generale e dei sistemi sanitari universalisti in particolare. Da più parti si annuncia il rischio di un ritorno a un sistema sanitario parcellizzato, mutualistico e fortemente intriso di disuguaglianze. Una prospettiva che rischia di coinvolgere in negativo ogni addetto ai lavori e, nello specifico, anche noi infermieri.

Qualcuno è speranzoso in un riassestamento del sistema, una sorta di riequilibrio dopo l'attuale fase di transizione, lungo una prospettiva lenta, ma certa, di affermazione della professione. Altri sono più pessimisti e temono un ritorno repentino al passato. Nei fatti non è detto che questa fase di cambiamento si esaurisca nel breve termine, ma probabilmente rischia di cronicizzarsi in maniera tale da creare una sorta di indeterminatezza sociale generale, e professionale in particolare, dove l'infermieristica realmente rischia di rimanere in mezzo al guado per una infinità di tempo.

Del resto tutta la nostra storia parla di lunghi periodi di stasi professionale, seguiti da repentini, ma brevi cambiamenti. In relazione a tutto ciò, credo che la professione infermieristica possa giocare un ruolo centrale nella ridefinizione del sistema e nel farlo in senso egualitario. L'infermiere oggi è un professionista maturo sul piano scientifico e relazionale, tecnico e professionale, in grado di gestire la risposta ai bisogni assistenziali individuali e collettivi.

Se la ridefinizione, nei paesi occidentali intendo, dei sistemi sanitari, ha come obiettivo la razionalizzazione della spesa, fermo restando il mantenimento della qualità e delle ricadute assistenziali, le criticità per gli infermieri saranno ben poche e il guadagno in termini positivi non potranno che avere ricadute di sistema e sull'intera composizione sociale. Credo in merito che sia edificante la visione del docu-film di Ken Loach “The spirit of '45”, in cui si ripercorrono le fasi della nascita del sistema universalista inglese. Diverse le interviste fatte a nostri colleghi in servizio allora.

A un certo punto scrivi che “l’importanza dell’infermiere per ogni sistema sanitario è un dato conosciuto, anche se non è un fatto scontato che il peso professionale sia altrettanto rilevante della capacità di rappresentare una risorsa, una soggettività agente per il sistema e per il contrasto alle criticità presenti, in particolar modo quelle riferite alla salute” ci spieghi meglio questo concetto alla luce della dimensione infermieristica come narrazione?

In parte ho risposto nella precedente domanda, ma nello specifico della “narrazione professionale” credo che ci sia tutto un mondo da ri-scoprire. L'assistenza è una disciplina vera e propria che si esprime sul piano sanitario con l'infermieristica e non riguarda di certo solo i livelli prettamente tecnici, terapeutici o meramente clinici, ma si allarga su un piano relazionale e percettivo che lega l'infermiere all'utente ogni volta in maniera quasi inedita.

Il meta-paradigma dell'infermieristica parla anche di questo, di un mondo della risposta ai bisogni che si compone di rappresentazioni e percezioni, narrazioni e immaginazioni. E, per assurdo, il tema delle disuguaglianze nella salute ce lo suggerisce appieno. Molto spesso chi è povero, nella sua condizione quotidiana di vita vissuta, quasi routinaria, quasi non si rende conto di essere tale, di vedere contratto progressivamente il suo orizzonte di vita a pochi ed essenziali elementi costitutivi che, alla minima criticità però sono destinati tragicamente a rompersi creando un bisogno, tanto più forte quanto meno risorse sono possedute.

Lungo questo percorso l'infermiere fuoriesce dalla dicotomia classica della prestazione sanitaria per mobilizzare il suo patrimonio cognitivo fatto di saperi che si allargano e si modificano, risorse fruibili nella quotidianità relazionale, nella rete sociale vissuta. Ecco, le disuguaglianze nella salute significano per l'infermieristica farsi narrazione nella capacità di facilitare l'accesso alle prestazioni, alle cure, allo stesso empowerment della salute individuale e collettiva.

 

La letteratura infermieristica come dimensione valoriale e gli infermieri come testimoni del sistema salute un possibile strumento per la ricerca e per lo sviluppo della professione? 

Molto spesso ci viene riportato l'esempio di Florence Nightingale che ha iniziato a prendere appunti su ciò che faceva e ciò che vedeva. Non è stata la sola. Prima di lei Pussin in Francia, Belgioioso in Italia, Seacole nei Caraibi e tante altre ancora.

Scrivere in maniera organizzata ciò che si fa significa non farsi travolgere dagli eventi, assumere il portato professionale e scientifico come qualcosa da rispettare, come un valore che non è né fine a se stesso, né improvvisato, ma rappresentazione di un sapere individuale e collettivo. Credo che ogni infermiere sia in grado di scrivere della sua quotidianità lavorativa. In forma di diario certamente in un primo tempo, poi in maniera organizzata, strutturata, scientifica, lungo un piano specifico della ricerca.

Questo significa dare valore a se stessi come persona e professionista, al paziente, alla comunità. Significa farsi testimonianza e indagine, memoria e ricerca. Quando l’infermiere parla e scrive e legge degli infermieri, dell’infermieristica parla di una realtà che abbraccia la globalità della comunità umana.

Valori e saperi si alternano per costruire una identità e di una dignità professionale di cui tutti, in maniera diversificata e composita, siamo portatori.

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