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testimonianze

Sono un infermiere, non un angelo

di Giacomo Sebastiano Canova

Capita molto spesso che qualche paziente anziano mi ringrazi con la frase Siete degli angeli, oppure Fate una missione. Queste frasi mi hanno sempre fatto sorridere e le ho sempre apprezzate, perché comunque significa che ho assistito la persona nel modo in cui necessitava.

Infermiere, questa non è una missione

angelo

I nostri pazienti anziani sono cresciuti in un contesto culturale molto diverso da quello di oggi e per questo motivo ho sempre accolto con molto piacere questi complimenti. Ma ai giovani e non di adesso tengo a precisare una cosa: non sono un angelo e tantomeno ho scelto di praticare la professione di infermiere per missione.

Per cogliere meglio i motivi di questa mia affermazione partiamo dalle definizioni di questi due concetti. L’angelo è un essere puramente spirituale e intellettuale, di natura superiore all'umana; messo celeste e ministro della potenza e volontà divine; per quanto riguarda la “missione”, è difficile definire nello specifico ciò che possa rappresentare, ma in questo contesto è da intendersi in una visione religiosa e caritatevole per la quale noi ci avviciniamo ai bisognosi poiché vediamo in loro l'incarnazione del Cristo flagellato.

A tutto questo aggiungiamo un elemento: il volontariato. Sono numerose le associazioni che si occupano di volontariato in ambito sanitario con diversi modi e finalità. Uno di questi giorni mi sono imbattuto più o meno casualmente in uno dei molti gruppi che riunisce i volontari del 118 (soccorritori, infermieri e medici tutti assieme), all’interno del quale, tra selfie in divisa più che inopportuni (c’è chi si fotografa sorridente mentre raggiunge le zone colpite dal sisma, chi con numerose patch adesive che più che un condividere un momento sembra volersi mettere in mostra indossando “capo turno”, “istruttore” e chi più ne ha più ne metta), si possono notare numerosi rimandi ai concetti sopracitati affiancati al lavoro di chi si occupa, volontariamente o meno, di soccorso preospedaliero.

Non me ne vogliano i volontari, sono il primo ad affermare l’utilità e la necessità all’interno del sistema di queste figure. Ma leggere certi paragoni (angeli del soccorso, la nostra opera come una missione, medici e infermieri guidati dallo spirito divino) mi fa capire quanto ancora questo tema sia attuale e di come si possa facilmente fuorviare l’immagine della nostra professione e del nostro operato.

Personalmente non mi ritengo un angelo e tantomeno ho scelto questo lavoro per missione

Ho scelto questo lavoro perché sono sempre stato freddo davanti a qualsiasi situazione, non perdo il controllo e l’emergenza preospedaliera è stata dentro di me sin da quando da piccolo mi affacciavo alla finestra per guardare le ambulanze che passavano in sirena.

Non esercito nessuna missione, semplicemente cerco di svolgere al meglio il lavoro che ho scelto e per il quale sono remunerato mensilmente. Così come lo fa il commercialista, l’avvocato, il panettiere, l’operaio e potrei andare avanti all’infinito. Essere empatico e rispondere ai bisogni dei pazienti è un nostro dovere deontologico, e se crea “fastidio” oppure si sbuffa, ecco forse si è sbagliato completamente lavoro. Ma personalmente non sono d’accordo nell’essere paragonato a figure mistiche o religiose, in quanto credo fermamente nella scienza che guida il nostro operato e nel fatto che sia necessario guardare oltre a questi concetti oramai, nella nostra professione, più che superati.

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Commenti (1)

meri moro

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3 commenti

Finalmente ...

#1

Sono piu' che d'accordo con le tue affermazioni. Ammiro i volontari, ma non reggo molto i paragoni alle figure mistiche. Ho lavorato molti anni in Geriatria ,capisco gli anziani, a volte sono idee preconcette lo dicono ma niente altro .Non lo acceto dai giovani o non reggo i miei colleghi quando si innorgogliscono con certe frasi