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Infermiere di Terapia Intensiva. La vita della rianimazione vista da dentro

di Redazione

Infermieri in terapia intensiva

Sono un infermiere di Terapia Intensiva da 18 anni. Sinceramente non so come si immagini in generale questo reparto, ma quando ci sono entrato per la prima volta non credevo che nel mondo esistesse un luogo così, fatto apposta per risolvere malattie che fino a pochi decenni fa avrebbero portato a morire in tempi brevi.

Quando una persona viene ricoverata in Rianimazione, il primo obiettivo è quello di “proteggerla” dai rischi dell’aggravamento, perché le conseguenze di incidenti o di malattie non curate subito possono essere molto gravi. Immediatamente, come infermieri e medici di Rianimazione, veniamo in contatto con il mondo di questa persona, in maniera diretta e un po’ brusca, qui non c’è spazio per la privacy.

I pazienti – per essere curati nel modo migliore - devono essere nudi, quasi sempre è necessario posizionare dei tubi nella bocca, nel naso, nel torace, nei genitali o nelle vene; il nostro compito è quello di curarli al meglio, ma anche di mantenere la loro dignità, di accudire la persona in ogni aspetto. Per esempio, ci sono procedure che vengono fatte sia per prevenire le infezioni, sia perché i ricoverati ed i loro familiari possano mantenere almeno un contatto con la realtà: tutti i giorni i pazienti vengono lavati, ci si prende cura della loro pelle, si lavano e si pettinano i capelli, agli uomini viene fatta la barba regolarmente.

Si cerca di permettere – quando ciò è possibile – di avere degli “effetti personali”, come libri, giornali, computer. Spesso, i letti dei pazienti vengono colorati da disegni dei nipotini o dalle foto di momenti felici… ed è utile scrivere un diario di ciò che succede nei giorni più difficili: in questo modo, una volta guariti e tornati a casa, i pazienti possono riempire il vuoto di quello che è successo quando stavano molto male, riscoprendo magari tutte le attenzioni e l’affetto di cui sono stati circondati.

In questi frangenti, il ruolo dei familiari è importante e prezioso: anche se non è facile stare vicino ai ricoverati in un ambiente così strano e poco familiare, oltretutto dovendo rispettare precise regole di sicurezza, la presenza di una persona cara è importante e significativa. Qui i rapporti emergono per quello che sono veramente: abbiamo visto pazienti irritati dalla presenza di alcune persone e tranquillizzati da altre; abbiamo visto nascere dei nuovi modi di comunicare, che fioriscono da difficoltà oggettive, da momenti di frustrazione non facili da vivere, dovuti all’impossibilità di parlare; abbiamo visto persone molto sole, oppure circondate da grande affetto.

Quando arriva l’ora dell’ingresso dei familiari, per noi operatori non è sempre facile. Il nostro desiderio non è solo di prenderci cura delle perone ricoverate, ma anche dei loro cari, perché sappiamo quanta paura, rabbia o preoccupazione c’è nei loro pensieri. Non sempre, però, è possibile incontrare i desideri o rispondere alle domande. Ci sono famiglie che cercano di “invadere” la rianimazione in dieci persone, mentre gli spazi che abbiamo a disposizione permettono di accogliere solo un parente per volta. Talvolta qualcuno ha comportamenti aggressivi, e in questi casi rischiano di farne spesa tutti gli altri parenti, perché anche noi siamo umani!

Questi problemi, però, di solito durano solo i primi giorni di ricovero, quando non ci si è ancora resi conto di quello che è successo, e il desiderio di “fare qualcosa a tutti i costi” prevale sulla razionalità. Anche da queste osservazioni nasce l’idea del sito internet e del libretto per i familiari. Vorremmo spiegare quello che succede, perché qui ogni scelta, ogni terapia ha un senso profondo. Vorremmo che ci si sentisse liberi di “sfogare” le proprie paure e i propri pensieri scrivendo su una bacheca aperta a tutti, in cui altre persone che vivono le stesse situazioni possano trovare il conforto della condivisione.

Vorremmo offrire indicazioni anche per “contribuire” in prima persona, perché non c’è nessuno che sia così povero da non poter regalare un sorriso o qualche ora del proprio tempo per accudire gli altri. C’è un modo efficace, anche in mezzo ad un dolore grande, per stare meglio: prendersi cura di una persona in difficoltà, cercare di tranquillizzarla, rassicurarla, far sentire la propria presenza a chi sta male. E’ qualcosa di molto semplice, anche se culturalmente innovativo.

Guardare in faccia la realtà ci permette di accettarla, e di indirizzare le nostre energie nel modo più utile ed efficace. Nel lavoro in rianimazione ci sono alcuni momenti estremamente concitati, in cui bisogna fare cose difficili in poco tempo: spesso, ne va della vita di una persona. Ci sono poi altri momenti, emotivamente forti, in cui in un tempo relativamente breve è necessario affrontare grandi difficoltà, come quando muore una persona di cui ci si è presi cura. Il dolore dei familiari non è comprensibile per noi fino in fondo, ed è naturale che sia così. Nel nostro cuore, spesso, rimane un desiderio: avremmo voluto fare di più. Ma ancora una volta, essere coscienti delle reali possibilità di guarigione e presentarle sinceramente ai familiari è la via giusta da seguire.

La vera collaborazione non nasce dal paternalismo: “ti devi fidare di me perché sto facendo la cosa giusta”. Noi vorremmo invece creare un ambiente di accoglienza, in cui si può dire: “vieni a vedere, cerca di comprendere, perché insieme troveremo la strada migliore. Una strada da condividere”.

Gianfranco Cappello

Infermiere

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