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editoriale

Pronto Soccorso: un pomeriggio come tanti

di Domenica Servidio

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Pronto Soccorso. Un pomeriggio come tanti. Questo doveva essere, un pomeriggio nel quale non farsi mancare le solite domande dei pazienti:

 

Infermiera.. quanto devo aspettare? Ma questa visita quando la dovrò eseguire? Mi toglie la flebo? Se mi mette l’ago…posso piegare il braccio? Infermiera ho dolore!.. ma mi ricoverate? Mi mandate a casa? Posso raccontarle perché sono qui? Vuole sapere quali medicine prendo…si quella compressa lì infermiera…quella rossa.. e poi anche quella per il cuore…ha presente quella che si divide in due??

 

In realtà quel pomeriggio resterà nella mente e nel cuore di chi c’era…di chi tra un paziente e un altro, ha sentito squillare quel telefono al triage, che allertava l’immediato arrivo di un codice rosso.

 

Poi passa il tempo torni a lavoro e rientri in quella stessa sala di emergenza per accogliere tanti altri pazienti.. quella sala la osservi mentre fai la notte.. e quando è vuota, fissi quel defibrillatore.. che teoricamente sembra così semplice ed immediato da usare.. (durante il corso ACLS nessuna difficoltà! Massaggiare un manichino e defibrillarlo sembrava cosa da poco!) ..ma in realtà quel pomeriggio, la sola accensione del DAE ti ha lasciata senza fiato.

 

Allora impari tanto dai colleghi che con molta più esperienza di te in quel momento stanno condividendo l’evolversi degli eventi: tutto sembra precipitare, il tracciato rileva che la paziente è in fibrillazione ventricolare e non c’è tempo da perdere..” piastre – carica- defibrilla” e tutto sembra risolversi. Noti come in certi attimi, non c’è nulla di più importante di una buona lucidità mentale.

 

Serve tranquillità. Ce ne vuole tanta di tranquillità. Ci riuscirai un giorno a non emozionarti, a guardare il bel sorriso di un paziente tornato a star bene dopo attimi di pura emergenza?...e poi sei fiera di svolgere questa professione e qualche attimo dopo ti chiedi “ma perché ho scelto di essere infermiere??”

 

Tu infermiere sei capace di spogliarti lasciando in armadio con la divisa tutte le sensazioni provate in quel momento? Riesci a farti scivolare tutto addosso? Siamo persone e se forse non ci emozionassimo, probabilmente non starei qui a scrivere, trasformando in parole le sensazioni di un attimo.

 

La chiamano empatia all’università, sembra non debba mai mancare!! E’ paragonabile ad un tratto del volto umano…un’abilità innata. Spesso noi infermieri dobbiamo saper leggere tra le righe. Captare le spie emozionali di un paziente senza lasciarci troppo condizionare. A volte non c’è cosa più marcata di uno stato d’animo che solo la comunicazione non verbale può mettere in evidenza. Essere infermieri significa anche questo. La tecnica e le conoscenze teoriche da sole non bastano.

 

Ci vuole coraggio intellettuale in questa professione, solo in questo modo il temperamento emotivo non rimarrà statico negli anni, ma piuttosto particolari esperienze, potranno educare e in parte modificare il temperamento di ogni professionista.

 

“E’ necessario che gli operatori sanitari siano in contatto con sé stessi anche per poter mettere un limite al proprio coinvolgimento emotivo. Per molti non è facile, specialmente se sono molto empatici e sensibili alla sofferenza degli altri; riesce loro difficile ammettere di non poter far fronte alle aspettative altrui, temono di apparire inadeguati, deboli o poco disponibili. È responsabilità dell’operatore ascoltarsi, comprendere dove sono i propri limiti, i propri confini, comunicarli e difenderli “(Greggio, 1998, pp. 62-66; Rogers 2002, trad. it. pp. 319-320).

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