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Area chirurgica

Riduzione frattura di femore ed evacuazione intestinale in sede di intervento chirurgico

di Sara Di Santo

frattura femore

Microclisma evacuativo preoperatorio: sì o no? I risultati di uno studio pilota condotto dalla collega Nikita Valentina Ugenti

L’evacuazione intestinale del paziente durante l’intervento chirurgico di riduzione della frattura di femore: valutazione degli outcomes di uno studio pilota che non prevede la somministrazione del microclisma evacuativo preoperatorio” è l’argomento della tesi di laurea della collega Nikita Valentina Ugenti, laureatasi in Infermieristica nel novembre 2015 presso l’Università degli Studi di Bologna.

La tesi, relata dalla Dott.ssa Stefania Bandini, docente di Metodologia Infermieristica applicata e Tutor didattico del Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università di Bologna - Polo Formativo di Imola, incarna il tentativo di far luce su un fenomeno da non sottovalutare come quello dell’evacuazione intestinale del paziente con frattura di femore sul letto operatorio.

Il panorama sanitario attuale, come scrive Ugenti, è caratterizzato dai progressi della medicina e dall’aumento dell’aspettativa di vita; in tale contesto “la frattura di femore rappresenta un evento in netta ascesa e tutt’altro che marginale, considerando che circa il 20% della popolazione italiana ha più di 65 anni e che il rischio di riscontrare tale circostanza cresce in relazione all’aumento dell’età, prevalentemente a causa dell’osteoporosi senile e dell’incremento del rischio di caduta. Pertanto – aggiunge la collega - si tratta di un fenomeno di fondamentale importanza clinico-assistenziale, sia perché aumenterà nel corso del tempo, sia perché comporta una grande dilatazione dei costi sanitari e perché determina, per i soggetti che lo sperimentano, un notevole rischio di mortalità, disabilità e perdita dell’autonomia con conseguente peggioramento della qualità di vita”.

A testimoniare quanto detto, l’attestazione di “una mortalità del 5% nel periodo immediatamente successivo all’avvenimento traumatico e del 15-25% a un anno dallo stesso. Nel 20% dei casi si verifica una perdita definitiva della capacità di deambulare in maniera autonoma, circa il 50% perde parzialmente o completamente l’autosufficienza nelle attività di vita quotidiana e solo il 30-40% dei soggetti torna alle condizioni di salute precedenti (“Appropriatezza diagnostica e terapeutica nella prevenzione delle fratture da fragilità da osteoporosi”. Quaderni del Ministero della Salute 2010)”, elenca Ugenti.

“Oggigiorno – continua - il trattamento della frattura di femore che permette di ottenere una ripresa funzionale precoce dell’assistito, riducendo al minimo i tempi d’immobilizzazione e allettamento, consiste in un intervento chirurgico finalizzato al riallineamento dei frammenti ossei. Tuttavia, per permettere che ciò avvenga è opportuno assicurare un’assistenza e degli interventi di qualità che si basino su elevati standard scientifici, promossi a garantire il benessere della persona in tutte le fasi che compongono il suo iter clinico-assistenziale, ovvero nel periodo pre, intra e postoperatorio”.

Attraverso la raccolta dati effettuata per la stesura del suo progetto di tesi, Ugenti ha rilevato che “un certo numero di pazienti evacua durante l’intervento chirurgico, comportando un’interferenza nell’iter diagnostico-terapeutico, con il rischio di ritardarne le aspettative di guarigione e ripresa funzionale. Pertanto, è sembrato opportuno indagare database biomedici di rilevanza, al fine di verificare se esistono evidenze scientifiche che permettano di identificare quale sia il comportamento clinico più consono rispetto alla preparazione intestinale in relazione all’intervento chirurgico di riduzione della frattura di femore, ovvero se è opportuno eseguirla o meno, quale tipologia è la più sicura e funzionale, con minori effetti indesiderati e maggior comfort per il paziente; tutto ciò per avere i migliori risultati possibili a garanzia del benessere dell’assistito”.

In seguito al procedimento di revisione della letteratura, la collega afferma che “esistono pochissime informazioni riguardanti la preparazione intestinale nella chirurgia ortopedica; l’unico studio parzialmente inerente è “The value of bowel preparation procedure in major orthopedic procedures performed in spinal anesthesia”, Lebiedziński R. et al., il quale tratta della chirurgia di sostituzione totale dell’anca e del ginocchio e conclude affermando che la pratica di preparazione intestinale preoperatoria in interventi chirurgici di questo tipo, eseguiti in anestesia spinale, non è consigliata; nonostante ciò, l’esigua numerosità campionaria dello studio e l’assenza di altre informazioni e dati selettivamente attinenti, pur dando espressione ad una panoramica di fondo, non permettono di risolvere in maniera esaustiva il quesito iniziale” – ammette Ugenti.

Sono questi i presupposti dai quali ha preso il via lo studio pilota prospettico di coorte condotto dalla collega con l’obiettivo di valutare direttamente sul campo “gli outcomes della non somministrazione del microclisma evacuativo preoperatorio nella chirurgia della frattura di femore”.

Nel progetto “sono stati inclusi tutti i pazienti di età compresa tra 65 e 100 anni compiuti, ricoverati tra il 15/06/2015 e il 15/12/2015 sottoposti all’intervento di riduzione della frattura dell’estremità prossimale del femore entro 24/48 ore dall’evento traumatico”.

Dai risultati emersi attraverso lo studio delle caratteristiche del campione in oggetto e dei percorsi clinico-assistenziali dei pazienti che lo compongono, si è giunti ad affermare che “confrontando la numerosità delle evacuazioni intestinali intraoperatorie rilevate tra il 15 giugno e il 15 ottobre 2015 - periodo in cui non era più previsto l’uso del microclisma evacuativo preoperatorio - con quelle riscontrate negli stessi mesi del 2013 e 2014 e nei primi 4 mesi del 2015, in cui tale preparazione intestinale preoperatoria veniva ancora eseguita, appare evidente che, rispetto alla numerosità del campione considerato e la quantità di dati valutati, non si può definire con certezza se ci sia una procedura preoperatoria, tra le due prese in esame, che aumenti i benefici e la sicurezza del paziente”, spiega Ugenti.

“Inoltre, valutando la sussistenza delle correlazioni tra il carattere “genere evacuazione intraoperatoria” e “tipologia di anestesia”, “riscontro d’infezione” e “genere evacuazione preoperatoria” si rileva, ancora una volta, che, con una numerosità campionaria così esigua, non è possibile definire un’associazione statistica di dipendenza tra le variabili considerate, il cui rapporto appare meramente di tipo casuale, utilizzando il test di significatività statistica Chi-quadro χ2”.

“Lo studio pilota realizzato, nonostante la parziale sovrapponibilità con i risultati emersi dalla ricerca, permette di comprendere che il fenomeno, per nulla trascurabile, andrebbe ulteriormente analizzato utilizzando un campione più numeroso che permetta di fare confronti e considerazioni più ampie; si è stabilita, in questo modo, l’adeguatezza e la realizzabilità di proseguire con lo studio prospettico cominciato o eseguire un RCT che ponga a confronto due gruppi similari di pazienti che utilizzano un diverso percorso preoperatorio circa la preparazione intestinale, valutandone i relativi esiti; tutto ciò al fine di ottenere dei risultati a garanzia sufficiente da poter pensare come ovviare all’evento evacuativo intraoperatorio rispettando evidenze scientifiche comprovate”.

Nikita apprezza soprattutto la poliedricità della professione infermieristica.

Nikita apprezza soprattutto la poliedricità della professione infermieristica.

Nikita, innamorata della Sicilia, ha 24 anni, è nata e cresciuta a Bologna in una famiglia dalle origini per metà siciliane e per metà pugliesi; Nurse24.it l’ha incontrata e le ha posto qualche domanda per approfondire la sua esperienza di studio e di ricerca. Vediamo cosa ci ha raccontato.

Quando hai capito di voler diventare infermiera?

La mia scelta non è stata innata, ma graduale e maturata nel corso del tempo. Durante gli anni di frequentazione del liceo scientifico, affrontando alcune materie, ho capito di avere una propensione per il mondo sanitario che mi affascinava e incuriosiva, ma le professioni legate a questo ambito sono tante e le più svariate; la mia preferenza è ricaduta sull’infermieristica per la natura umana, oltre che scientifica, che è alla base della professione. Ho cominciato il corso di laurea e poi, in seguito, il tirocinio e mi sono accorta che non avrei potuto fare scelta più giusta e adatta a me: la dinamicità, la possibilità di vedere e imparare sempre cose nuove, la poliedricità, il puntare al miglioramento continuo, la componente sociale e relazionale, la coesistenza e co-partecipazione di mente, capacità tecniche e anima in un’unica professione sono caratteristiche che mi hanno fatto comprendere che questa è la mia strada.

Come è nata l’idea dell’argomento della tua tesi di laurea?

Nel corso dei tre anni di università, avendo svolto il tirocinio in Pronto Soccorso Generale e Ortopedico, nell’U.O di Ortopedia e in Sala Operatoria, ho avuto la possibilità di entrare a stretto contatto con il paziente affetto da frattura di femore, osservandolo in tutte le fasi che compongono il suo iter clinico-assistenziale, ovvero nel periodo pre, intra e postoperatorio, permettendomi, così, di avere una panoramica generale di questa tipologia di paziente e del suo percorso intraospedaliero.

Questo mi ha permesso di visionare e conoscere le cause più frequenti di frattura, i segni e sintomi tipici, la preparazione preoperatoria dell’assistito, l’intervento chirurgico dedicato e i trattamenti riabilitativi postoperatori. Alla luce di ciò, al manifestarsi della problematica clinico-assistenziale da me trattata, ho ritenuto che potesse essere utile indagare l’argomento per verificare la disponibilità di evidenze scientifiche a riguardo, non avendone trovate di propriamente inerenti e costituendo una questione tutt’altro che trascurabile, in particolare per il paziente anziano. Ho pensato che potesse essere interessante approfondire ulteriormente l’argomento, in quanto tratta di un problema concreto, reale, presente e che necessita di un’effettiva soluzione per ridurre al minimo i rischi, migliorare la qualità delle cure, raggiungere elevati standard assistenziali e garantire il benessere della persona in tutte le fasi del processo di nursing.

Il tuo lavoro è stato lungo e articolato: ti va di raccontarci quali sono state tutte le fasi che hanno dato vita al tuo progetto?

Innanzitutto, l’idea è stata condivisa con la Dott.ssa Stefania Bandini che mi ha permesso di realizzare tutto ciò e che ringrazio sentitamente.
Il progetto è durato un anno: dal novembre 2014 al novembre 2015. Le fasi che lo compongono hanno visto, inizialmente, una revisione della letteratura, andando ad indagare database biomedici di rilevanza, al fine di ricercare dati inerenti; dopodiché è stato costruito il background e il protocollo di ricerca con relativa presentazione all’équipe clinico-assistenziale (équipe infermieristica dell’U.O di Ortopedia e del Blocco Operatorio, medici ortopedici e medici di anestesia).

Successivamente, è stato redatto il protocollo di studio e condiviso, ancora una volta, con il team; si è ottenuta l’autorizzazione all’esecuzione di uno studio pilota prospettico di coorte con durata da giugno 2015 a ottobre dello stesso anno, quindi è iniziata la raccolta dati direttamente sul campo: in reparto e in sala operatoria. Infine, sono stati analizzati i risultati emersi, si è avuto un ulteriore confronto con l’équipe clinico-assistenziale ed è stata ultimata la stesura della relazione.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato durante lo svolgimento del progetto?

Le maggiori difficoltà le ho riscontrate nell’organizzare il lavoro a livello di tempistiche da rispettare, ma soprattutto nel mettermi per la prima volta, non solo nei panni dello studente, ma anche dello “sperimentatore” che ricerca informazioni e apprende dinamicamente attraverso lo studio della realtà e di una concreta problematica di interesse clinico-assistenziale.

Alla fine del tuo lavoro auspichi che allo studio pilota da te realizzato seguano ulteriori studi in materia; hai pensato di occupartene tu in prima persona, magari nell’ottica di proseguire con la tua formazione universitaria?

Per ottenere dei risultati significativi il progetto di studio cominciato andrebbe ulteriormente approfondito e portato avanti utilizzando un campione più numeroso e rappresentativo. Lo studio pilota da me attuato, infatti, permette di stabilire proprio la realizzabilità di ulteriori studi che potrebbero essere rappresentati dalla prosecuzione di un prospettico di coorte o, ancor meglio, da un RCT che ponga a confronto due gruppi similari di pazienti che utilizzano una diversa tecnica preoperatoria per valutarne i relativi esiti nel periodo intra e postoperatorio.

Ovviamente il mio interesse per questa tematica è presente e se avessi la possibilità mi piacerebbe approfondirne le conoscenze relative in futuro, o proseguendo uno studio o attraverso dei corsi di aggiornamento professionale. Essendo una questione che non trova ancora completa risoluzione potrebbe anche essere interessante fare apportare degli approfondimenti o una eventuale prosecuzione ad altri studenti di Infermieristica in procinto di laurearsi nelle prossime sessioni di laurea.

Grazie Nikita, in bocca al lupo per il futuro!

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