Il sistema dei dati sanitari italiani non funziona
L'infrastruttura dei dati sanitari italiani è frammentata: non esiste un sistema unificato e centralizzato per la documentazione.
Ritengono che la causa principale di tale debolezza sia l'ampia autonomia regionale che consente alle 20 regioni di operare in modo indipendente in materia di sanità con politiche e tecnologie diverse.
Avvertono altresì che la riforma sull'autonomia differenziata rischia di peggiorare ulteriormente la frammentazione normativa, le inefficienze e le disparità sanitarie.
Anziché promuovere una raccolta ed una condivisione armonizzate dei dati in un sistema unico nazionale, come auspicabile per un miglior funzionamento del Ssn, questa legge, infatti, porterà a decentralizzare ulteriormente la governance sanitaria. Per soddisfare la domanda di assistenza sanitaria e fornirla in modo equo ed efficiente l'Italia avrebbe invece bisogno di una riforma sistemica.
Gli esperti hanno riscontrato una scarsa interoperabilità tra regioni ed ospedali, perché in Italia si utilizzano ancora sistemi obsoleti ed incompatibili che rendono difficile, manuale e laborioso il trasferimento delle cartelle cliniche e delle immagini diagnostiche, persino all'interno della stessa regione o città.
Questi difetti strutturali rendono quindi ampiamente inefficace il Fascicolo Sanitario Elettronico , il sistema nazionale italiano progettato per tracciare le storie cliniche dei pazienti. I ricercatori ritengono inoltre che ad aggravare la situazione ci sia l'assenza di una politica nazionale per distribuire equamente le risorse a tutte le regioni e stabilire protocolli standardizzati per la raccolta e il trasferimento dei dati sanitari.
Sottolineano che le conseguenze di questo sistema frammentato, che descrivono come “feudatario”, sono gravi e profonde in quanto vanno ad esacerbare le già esistenti disparità regionali nella capacità e nei risultati dell'assistenza sanitaria. Evidenziano che un sistema meglio integrato potrebbe consentire analisi più ampie e approfondimenti generalizzabili, nonché supportare una risposta nazionale più efficace e coordinata.
Un sistema che delude anche la popolazione italiana
Nell'articolo si segnala che la sfiducia pubblica nei confronti del governo sta aggravando il problema. Sono infatti ben 90mila gli italiani che si rifiutano di condividere i propri dati sanitari nel timore che sia violata la propria privacy.
La legislazione restrittiva e frammentata regionale dell'Italia ostacola inoltre fortemente lo sforzo di bilanciare i diritti alla privacy con l'interesse pubblico a migliorare l'assistenza sanitaria. Questo approccio lascia indietro l'Italia rispetto al resto d'Europa, dove invece la base giuridica dell'interesse legittimo consente l'uso dei dati sanitari per la ricerca e l'innovazione senza basarsi esclusivamente sul consenso individuale.
La frammentazione tipicamente italiana impone altresì un notevole onere economico al Paese. Gli esperti hanno accertato che molti pazienti delle regioni meridionali, dove le risorse sono in genere più limitate, si recano per le cure negli ospedali del nord che, seppur meglio attrezzati, non riescono ad accedere alle cartelle cliniche dei pazienti extraregionali.
Di conseguenza i test diagnostici vengono ripetuti e le cure, a causa di questa duplicazione, subiscono dei ritardi, compromettono i risultati e comportano un aumento dei costi. La mobilità sanitaria interregionale ammonta infatti in Italia a circa 3,3 miliardi di euro all'anno.
Difficoltà per la ricerca scientifica
Senza una piattaforma centrale che gestisca i dati sanitari, anche la ricerca viene fortemente ostacolata . In Italia gli studi sono calati decisamente dal 2009 - ne viene autorizzato soltanto il 15% - in quanto i ricercatori devono inoltrare le domande ai comitati etici e per la privacy delle singole istituzioni che possono respingere le loro richieste senza una sostanziale giustificazione scientifica.
Qualora approvati, risulta tuttavia impossibile condurre studi multicentrici di alta qualità che possano generare risultati di impatto o generalizzabili in quanto la raccolta dei dati è spesso manuale e di scarsa qualità.
Esiste, infatti, un problema anche con l'implementazione della digitalizzazione . Risulta che soltanto il 42% delle cliniche ha dichiarato di avere attivo in tutti i reparti un sistema di acquisizione dei dati elettronico.
Gli autori evidenziano come non sia ben chiaro se nel 2022 siano stati pienamente utilizzati e come siano stati spesi i fondi messi a disposizione dall'Italia per l'assistenza sanitaria digitale che, aumentati del 7% rispetto all'anno precedente, corrispondono a 1,8 miliardi.
Senza riforme, il cambiamento demografico in atto in Italia a causa dell'invecchiamento crescente e del calo del tasso di natalità metterà a dura prova i sistemi sanitari e sociali , avvertono gli autori sottolineando che entro il 2050 oltre il 35% degli italiani avrà più di 65 anni e i giovani sotto i 14 anni rappresenteranno soltanto l'11,7% della popolazione.
La mancata adozione di misure adeguate aggraverà le disuguaglianze, ritarderà i trattamenti ed ostacolerà i progressi
Per stabilire una rete di dati sanitari unificata in Italia suggeriscono che sia essenziale innanzitutto un'armonizzazione legislativa a livello nazionale che consenta di supportare l'interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.
Una rete unificata consentirebbe altresì di sfruttare tre iniziative europee in materia di condivisione sicura ed etica dei dati sanitari (Data Governance Act), di assistenza sanitaria transfrontaliera e di promozione della ricerca (European Health Data Space) e di regolamentazione di un'intelligenza artificiale affidabile e trasparente nell'assistenza sanitaria (AI Act).
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