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Codogno, la sana epidemia di patriottica colleganza

di Giuseppe Sasso

La quarantena: due giorni al day service e in seguito nel reparto di ortopedia. Senza intimità, senza TV, costantemente in divisa, come in una camerata di militari; e proprio come commilitoni lo spirito di sacrificio e la coesione si plasmano con un tocco di sana goliardia, a stemperare la presa surreale della situazione che i cinque infermieri della terapia intensiva di Codogno, assieme a tutta la “zona rossa”, stanno vivendo. Ma il morale si rinforza, un po' per il ristoro procurato dal riposo, un po’ per la negatività del tampone. È un dato non definitivo, ognuno di loro lo sa. Provvisorio. Ma il cuore ne giova comunque, a dispetto della ragione. E allora che altro fare, se non riprendere il lavoro lasciato in sospeso?

La posta in gioco è troppo alta, gli infermieri tornano in reparto

Ormai è una questione viscerale, quasi una missione, la posta in gioco è troppo alta. Si torna in reparto. I numeri parlano chiaro: per bilanciare le attività ci si divide tra 12 ore di servizio e 12 di ritorno all’isolamento volontario, garantendo così almeno due unità fisse in reparto, supportate dal coordinatore.

Ma il riposo stride con l’inattività. L’ospedale è piccolo e le notizie relative alla situazione degli altri reparti, dei colleghi che non ricevono il cambio, da più tempo di quanto essi stessi abbiano operato continuativamente, li fa sentire in dovere di sopperire alle carenze.

E dal pedonaggio ben presto gli angeli della terapia intensiva passano, senza che nessuno glielo abbia chiesto, ad offrire turn over ai colleghi della medicina, bloccati in reparto dalla mancanza di cambi da giorni e quasi paralizzati dalla mancanza di forze.

Così prendono coscienza che qualcuno se la passa peggio di loro… ma non si voltano dall’altra parte e per quanto poco possa sembrare, offrono 120 minuti di pseudo libertà agli infermieri della medicina.

Due ore per lavarsi, rilassarsi per quanto possibile, staccare e sentire i propri cari. O dormire

E non solo. Il personale della terapia intensiva mantiene un costante collegamento con la direzione sanitaria, attivando inoltre il punto di accoglienza per l’autopresentazione dei soggetti con sospetta infezione da Covid-19 per la prima visita e il prelievo del tampone.

Senza dimenticare che l’attività di reparto in terapia intensiva gli infermieri la svolgono ormai esclusivamente per casi di infezione da coronavirus (viene accertato anche il 4° caso): infezioni polmonari con quadri di ARDS che richiedono tecniche peculiari, come la pronazione del paziente, nonostante l’assenza di complementi importanti come i presidi antidecubito e di stabilizzazione (per es. le mentoniere) compensata con ingegnosa improvvisazione, mentre fuori si apre una diatriba, politica e istituzionale riguardante la correttezza dell’approccio al contagio evidenziatasi all’interno del nosocomio.

Abnegazione. Non gratuita, lo stipendio è il sinallagma della prestazione. Altruismo. Prezioso, molto; a tal punto da essere riconosciuto dai colleghi delle altre unità operative con frasi icastiche:

Vorremmo essere assistite da voi

Grazie di esistere

Non mollate, tenete duro, noi abbiamo bisogno di gente come voi sul campo per vincere questa battaglia

Noi siamo tranquille, perché voi siete sempre con noi

E arrivano anche le lacrime, nel salutare l’équipe della terapia intensiva al temporaneo congedo: mercoledì, al settimo giorno, lasciano il reparto per recarsi al domicilio, dai propri cari e godersi una meritata, breve, pausa.

A fianco del governo di una pluralità di casi di infezioni da coronavirus, l’impresa

Oltre alla presa di coscienza della fraterna solidarietà all’interno dell’équipe stessa, questa manciata di infermieri ha propagato, nel diffuso timore del contagio, una sana epidemia di patriottica colleganza.

Le streghe hanno cessato di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle (Voltaire).

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