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COVID-19

La fragilità dei nostri bambini che non fanno “oh"

di Monica Vaccaretti

I bambini non sono tutti uguali, alcuni hanno sensibilità e intelligenza maggiore di altri. I bambini non sono tutti belli e buoni. I bambini sono quelli che saranno da grandi. Se vuoi vedere come sarà un bambino da grande guarda i suoi genitori, dice un proverbio dalle mie parti. Li guardo, genitori e figli, in attesa del loro referto dell'antigenico rapido, specialmente quando arrivano classi intere per il monitoraggio e il tracciamento del contagio scolastico.

Se fossimo in guerra e non in pandemia, cosa farebbero i nostri figli?

Nel mattino piovoso del giorno dei morti - finalmente sembra autunno in questo mondo clinicamente e climaticamente malato - leggo ancora sommersa dalle coperte e dalla stanchezza di ieri che ad Halloween i vicentini no pass hanno ospitato nell'esedra di Campo Marzio di fronte alla stazione ferroviaria - dove hanno preso l'abitudine di radunarsi a fare comizi tutti assembrati e senza mascherina ogni weekend da ben 15 settimane, come capita nelle altre piazze d'Italia – il cantante Povia.

A chi urlava contro la dittatura sanitaria il cantautore lombardo ha risposto che non viviamo in una democrazia ma in una tontocrazia e che siamo comandati da tonti. E poi si mette a cantare, tra gli applausi del popolo no pass, i suoi cavalli di battaglia, cambiando qualche parola ai suoi testi adattandoli alla situazione contingente. “Ci sveglieremo la mattina, magari senza mascherina” (fonte Il Giornale di Vicenza, 1 novembre 2021). Un altro no pass. No mask. No vax. E allora mi sembra di capire che per certa gente noi sanitari siamo adesso anche dei tonti servi della tontocrazia.

Ricordo che Povia mi piaceva quando cantava “i bambini fanno oh”. I bambini. Oggigiorno non sanno più fare “oh”. Urlano. Da due anni sento le strilla di bambini di ogni età alla vista di un tampone nasale, che è un bastoncino di cotton fioc come quello che le madri usano ancora per pulire le loro orecchie dopo il bagnetto o la doccia, anche se ormai lo sanno tutti che non è raccomandato dagli otorini, perché il cerume sta bene lasciarlo al suo posto e si rimuove solo l'eccesso con un dito.

Non capisco davvero perché i bambini urlino in questo modo, spesso appena ci vedono. Un piccolo ieri, con il ciuccio in bocca, mi ha urlato con convinzione che sono brutta e cattiva. Per il brutta ha perfettamente ragione, anche mascherata con il camice bianco a righette che ti deforma il corpo e i connotati e la visiera devo essere proprio un brutto vedere.

Siamo spiritosi e simpatici noi infermieri con i bambini; con infinita pazienza ci inventiamo l'approccio migliore a seconda dell'età e della nostra fantasia. A volte arrivo a dire di cercare una caccola per fare una magia e gliela faccio vedere quando un pezzetto di quel che sta nel loro naso si trasforma in una strisciolina viola in pochi secondi. Nonostante tutto molti arrivano già urlando dall'ingresso, si buttano per terra e i genitori li trascinano a forza o li stringono in braccio per impedire i loro tentativi di fuga che sarebbero buffi se non urlassero a squarciagola.

Altri continuano ad urlare in sala attesa o andandosene via, quando la bua che certamente non facciamo sarebbe comunque scomparsa. L'altro giorno una bimbetta scalciava a tal punto che mi ha centrato in grembo, sulla mia vescica piena. E un bimbetto alto un soldo di cacio prendendo la rincorsa dalla sala di attesa mi prendeva più volte a calci sugli stinchi mentre tamponavo altre persone e la mamma sua rideva della simpatia del suo figliolo anziché rimproverarlo.

Un tampone può far piangere per stimolazione di un riflesso. Io credo che le lacrime, anche quelle di un bambino, siano preziose ed abbiano valore e per questo debbano essere conservate per quando serve sul serio buttar via una emozione o una sofferenza. La maggior parte dei nostri bambini piange per capriccio. Per ostinazione. Per sfida e sfinimento. Una bambina di dieci anni ha fatto il diavolo a quattro ieri in braccio a suo padre, nemmeno la fermezza e l'autorità del genitore hanno contenuto il suo comportamento.

Un altro ragazzino delle elementari ha gridato come se lo squartassimo vivo ancor prima di avvicinarmi e anche se mi allontanavo a distanza di sicurezza. Dopo la prestazione, ovviamente indolore, ha smesso improvvisamente di urlare e ha detto a suo padre, cambiando completamente tono e registro: Adesso andiamo a comprare il gioco che mi hai promesso.

Ci prendono in giro, sono degli attori nati. Dei manipolatori seriali. Vedo genitori già sottomessi e in balia della volontà di un bambino. A me sinceramente fanno paura e grandemente fastidio, adulti e piccini, perché vedo figli che non sono più bambini innocenti e mamme e papà che non sanno più essere genitori. Ricordo che a me bastava uno sguardo dei miei per tacere e quando uno sguardo non bastava per educarmi, il resto veniva compensato con una sana sculacciata, che il sedere tiene bene la botta e una sberla tra coppa e collo, come si usa dire in Veneto. E così ho fatto crescere mio figlio, che ora è un uomo. Bastava uno sguardo anche a lui e non ha mai pianto per niente.

I bambini urlanti sono certamente una minoranza, ma sono snervanti perché urlano bene, si fanno sentire, non demordono, si impongono, prendono la scena. Imparano sin da piccoli forse come saranno da grandi. Ce ne sono tanti invece che affrontano il tampone prendendolo per quello che è. Un bastoncino dentro due narici. Molti sorridono, dicono che fa solletico. Fa ridere il naso. Come può far paura qualcosa che fa ridere e starnutire?

Si urla se si è un bambino sotto le bombe in Siria. Si urla se si è un bambino che muore di fame in Africa. Si urla se si è un bambino che vede gli orrori dei tagliateste in Afganistan. Si urla se si è un bambino che viene violentato. Picchiato. Ucciso. Non si può urlare per un tampone, che è meno di un dito infilato nel naso per pulirselo.

Non si può essere traumatizzati da un tampone o dalla pandemia, come li scusano le mamme alzando gli occhi al cielo e brontolando per il tampone prescritto dal pediatra ad ogni starnuto o dal Servizio di Igiene e Salute Pubblica per un altro positivo in classe. Una guerra, una molestia, una malattia sono decisamente peggiori di un tampone in una pandemia che quasi non vedono. Che soltanto li sfiora. Grazie a Dio.

Un bambino leucemico, che doveva affrontare un altro ricovero alla Città della Speranza di Padova, ha versato soltanto una lacrima, stretto a suo padre. Non per paura del tampone, ma per paura del cancro e della sua morte. Ha pianto per la stanchezza della sua condizione di piccolo malato oncologico ed io ho pianto dentro per lui. Non ha urlato, come gli altri nei box accanto, lui che ne aveva tutto il diritto. È rimasto composto, protetto dalle braccia forti di suo padre. Ho sentito tutto il contrasto della situazione, strideva. Mentre gli altri si buttavano per terra e facevano i capricci in modo insopportabile e decisamente fuori luogo, lui piangeva in silenzio.

I bambini non sono tutti uguali, alcuni hanno sensibilità e intelligenza maggiore di altri. I bambini non sono tutti belli e buoni. I bambini sono quelli che saranno da grandi. Se vuoi vedere come sarà un bambino da grande guarda i suoi genitori, dice un proverbio dalle mie parti. Li guardo, genitori e figli, in attesa del loro referto dell'antigenico rapido, specialmente quando arrivano classi intere per il monitoraggio e il tracciamento del contagio scolastico.

I bambini non stanno fermi un momento e il chiacchiericcio è talmente intenso che è disturbante, non riusciamo a sentire la voce di chi stiamo tamponando. Spostano le sedie, le mettono in cerchio, corrono tra i genitori in piedi. Nemmeno i grandi stanno rispettosi in silenzio, sembra un mercato. Si formano quei capannelli di mamme che chiacchierano davanti alla scuola, in attesa del suono della campanella. L'intervento al microfono richiamando al silenzio, siamo in ospedale in fondo e stiamo lavorando perdinci, fa tornare un normale brusio di sottofondo.

Le mamme sono le prime a ricominciare a parlare e non rimproverano i figli. Sembra di essere in un parco giochi. Manca l'educazione. Nemmeno il rimprovero di una maestra presente in sala con i suoi alunni calma gli animi. Se fanno così anche a scuola, manca pure il rispetto per l'autorità se quella genitoriale manca.

Certamente la pandemia ha causato disturbi psicologici alle persone, come documentano i recenti report sull'aumento delle patologie psichiatriche. Risulta preoccupante il disagio espresso nella popolazione pediatrica. La solitudine e l'isolamento del lockdown, le misure restrittive per tenere sotto controllo la pandemia e la didattica a distanza sono state certamente delle esperienze di vita forti che hanno sconvolto la quotidianità anche dei giovanissimi.

Ma se fossimo in guerra e non in pandemia, cosa farebbero i nostri figli? Se i nostri figli vivessero nelle tende dei campi profughi lungo la rotta dei Balcani, se salissero sui gommoni per attraversare il Mediterraneo con il rischio di naufragare ad ogni onda, se fossero costretti a bere acqua sporca da pozze di fango dove si abbeverano gli animali selvatici in Africa, se vivessero le esperienze davvero traumatiche che vivono gli altri bambini del mondo?

La fragilità è umana e perdonabile. Fa tenerezza la fragilità quando le avversità calano addosso a qualcuno. La fragilità commuove. Dalla fragilità può nascere anche poesia. Ma essere fragili per niente è offensivo per chi vive, sopporta ed affronta ben di peggio, la fragilità di fronte alle condizioni estreme dell'essere umano. Non si può essere sempre forti, a volte si cede. Si cade.

Io credo davvero che i figli del benessere occidentale siano troppo fragili. È una fragilità diversa, è quella di chi non è forse stato educato dai grandi ad affrontare la vita. Ho paura, strillano ancora i bambini dopo due anni di tamponi. Una paura così forte che diventa isteria. Urlano e piangono a tal punto da stare male. Nei casi più gravi diventano paonazzi, hanno i singhiozzi, vomitano. Non si sa che fare per calmarli, non servono le parole gentili e le maniere dolci. Non serve nemmeno spiegare cosa andiamo a fare.

Alessandra, la mia collega infermiera che ha visto e vissuto queste scene, sostiene che bisogna curare la paura. Ma io non so davvero come. La paura è irrazionale, nasce da qualcosa che non si conosce o dal ricordo di qualcosa che ci ha profondamente turbato e che non si vuole rivivere. A questo tipo di paura immotivata io non trovo una cura. Pensavo bastassero un bel modo di porsi e parole semplici e dolci, che informano e rassicurano. Non capirò mai come posso spaventare a tal punto un bambino con un tampone in mano e con tutta la gentilezza del mondo.

Sono bambini fragili, bisogna capire la sofferenza che stanno vivendo. Resteranno traumatizzati per il resto della loro vita a causa della pandemia. Non sono potuti andare a scuola e socializzare con i coetanei. Sento dire da tanti genitori. E a me tornano in mente gli altri bambini del mondo. A volte vorrei fare cambio di bambini, far venire qui i siriani e mandare in Siria i nostri. Forse i nostri fanciulli la smettono di piangere per un tampone. Ho anch'io un cuore di mamma ma non ho paura di dire che questo piangere dei nostri figli è ridicolo se non fosse allarmante.

La fragilità, come la sento io, è un'altra cosa. Può essere nobile, la fragilità. Dalla fragilità possono nascere grandi cose che diventano testimonianze di vita. Ci sono persone fragili che si sono trovate in situazioni di grande fragilità che hanno scritto un libro o creato un'opera d'arte. La fragilità nasce dalla sensibilità. Il resto è soltanto debolezza di carattere. È mancanza di sostanza.

È vero, ci sono tanti tipi di sofferenza, anche dell'anima, la peggiore. Ma la fragilità non è isteria per un tampone. Come infermiera e come mamma, guardo a questi bambini con preoccupazione. Perché non hanno genitori, pur avendoli. Sai che da soli non si può, senza qualcuno nessuno può diventare un uomo. Cantava una volta Povia.

Infermiere

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