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COVID-19

L’apologia di pandemia è un reato?

di Giordano Cotichelli

Qual è il cortocircuito che ha permesso al pensiero di accettare la morte – altrui del resto, neanche la propria – pur di garantire un guadagno economico? Ed in realtà, si è trattato proprio di un corto circuito oppure si è di fronte ad un retro pensiero che vede la vita umana se non come capitale umano, bene da investire (o disinvestire), sfruttare, ed impoverire? Vite da mantenere o recidere pur di salvaguardare un profitto, un mercato, un investimento o che altro. Per quale ragione insomma si dovrebbe noi infermieri, si proprio noi, adoperarci ogni giorno, ogni singola ora, ogni dannato minuto per salvare e salvaguardare una vita umana, se per qualcuno essa può essere… una variabile dipendente legata alle sorti dei titoli in borsa?

Nessun guadagno monetario può giustificare la perdita di una vita umana

Come infermieri, come lavoratori e come cittadini, continueremo a fare di tutto per salvare tutte le vite che saremo chiamati ad assistere

Nella giornata del 15 dicembre 2020, anno primo dell’era pandemica, la testata nazionale “Repubblica” pubblicava sul suo sito online uno spezzone di un filmato relativo al forum “Made for Italy per la moda” organizzato dalla Confindustria di Macerata.

L’oggetto d’interesse riguardava il passaggio, di cui il quotidiano riportava sia uno spezzone di video sia la trascrizione del testo, fatto dal presidente della sezione provinciale di Confindustria, in cui commentava la situazione attuale affermando – testuali parole -:

Ci aspetta un Natale molto magro perché stanno pensando di restringere ulteriormente, e questo significa andare a bloccare un retail che si stava rialzando per la seconda volta da una crisi e lo stanno mettendo nuovamente in ginocchio. Io penso che le persone sono un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza.

In seguito, di fronte alle tante critiche immaginabili sopraggiunte, lo stesso si è scusato con parole che, sinceramente, poco tolgono alla gravità dell’affermazione. Anzi, come spesso si dice, la toppa è stata peggiore del buco fatto e, per dimostrarlo, mi sono messo alla ricerca degli ultimi aggiornamenti sulle vittime di Covid nel mondo e in Europa.

Ho assemblato anche un po’ di dati relativi alla sovramortalità rilevata dall’Istat per l’anno in corso. Qualche percentuale, incidenza, prevalenza, classi sociali maggiormente colpite, categorie di lavoratori, perdite in termini di capitale umano, e qualche altro dato in argomento. Poi però mi sono fermato un attimo. Ho riflettuto e mi sono posto la domanda più semplice e più complicata del mondo – concedetemelo anche questa volta l’ossimoro da citazione -: Perché?

Mi sono chiesto perché dovrei citare numeri che si conoscono già e che sono sotto gli occhi di tutti. Numeri che nella loro tragica quotidianità sono diventati quasi insignificanti. Quasi. Perché insomma la forza delle migliaia, il peso dei milioni dovrebbe aver ragione della cattiveria del pensiero.

La questione non è, e non può più essere, quella di dimostrare che un pensiero è condannabile solo perché provoca un tot di danni (morti). Il peso dei numeri può avere ragione sul peso delle idee espresse? In certi casi sì, ma in molti altri in alcuna maniera. Se per alcuni la questione può essere meramente quantitativa, per altri invece è di tipo qualitativo, filosofico, umano, ideologico, etico e valoriale.

In sintesi: non esiste nessun guadagno monetario che possa giustificare la perdita di una sola vita umana. Non di centinaia, migliaia, milioni, ma di una sola vita umana

Qual è il cortocircuito che ha permesso al pensiero di accettare la morte – altrui del resto, neanche la propria – pur di garantire un guadagno economico? Ed in realtà, si è trattato proprio di un corto circuito oppure si è di fronte ad un retro pensiero che un vede la vita umana se non come capitale umano, bene da investire (o disinvestire), sfruttare, ed impoverire?

Vite da mantenere o recidere pur di salvaguardare un profitto, un mercato, un investimento o che altro. Per quale ragione insomma si dovrebbe noi infermieri, si proprio noi, adoperarci ogni giorno, ogni singola ora, ogni dannato minuto per salvare e salvaguardare una vita umana, se per qualcuno essa può essere… una variabile dipendente legata alle sorti dei titoli in borsa?

Sto forse esagerando per una voce del sen fuggita?, come scrisse Orazio? Non credo, anche perché il sommo risponde allo stesso tempo: Poi richiamar non vale. Ecco, più delle cifre della John Hopkins University sul Covid, o del Sole 24 ore, è imperativo riflettere sulla cruda semplicità e cattiveria espressa in un piccolo e meschino passaggio.

Attenzione, lungi da me colpevolizzare colui che le ha pronunciate. Oddio, non che possa risultare proprio un modello cui ispirarsi, ma del resto egli stesso è solo uno dei tanti signori dell’Olimpo che in questi anni hanno detto di tutto senza remore alcuna, per poi rimangiarsi tutto e ritornare successivamente ancora alla carica con le stesse affermazioni iniziali. E dopo aver detto di tutto, hanno fatto di tutto.

Già immagino le possibili reazioni difensive di fronte alle critiche per le ciniche parole. Probabilmente potranno essere state del tipo: E che c…o avrò detto mai! Vabbè ho detto una c…..a, ma quanto la vogliamo fare lunga. E poi il problema resta perché bisogna avere (sigh!) il coraggio di scegliere se morire di fame o morire di Covid!

Il fatto è che c’è qualcuno che muore per entrambe le ragioni. O qualcun altro che muore semplicemente… di lavoro. E tutti, ad ogni modo, non hanno scelto neanche di quale morte morire, ma è capitato loro in sorte, non per un destino crudele ed infingardo, ma perché qualcuno ha tagliato un servizio o un infermiere, un medico, un fondo per la sicurezza, o ha risparmiato sui materiali, sui posti letto e non sui cacciabombardieri.

Oppure ha raddoppiato i tempi di lavoro e dimezzato quelli di produzione, e … molte altre brutte cose. La pandemia, presto o tardi se ne andrà. Le morti sul lavoro, purtroppo no! Ma la possibilità di cacciare via da questa società chi non ha remore per la vita umana a parole, e probabilmente anche nei fatti, presto o tardi dovrà farsi forza sociale.

Intanto, come infermieri, come lavoratori e come cittadini, continueremo a fare di tutto per salvare tutte le vite che saremo chiamati ad assistere. Ed anche qualcuna di più. Sempre. Ah! Dimenticavo, ma esiste il reato di apologia di pandemia?

NurseReporter

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