La chiusura delle discoteche, come prevedibile, ha sollevato numerose polemiche da parte degli operatori di un settore, quello dello spettacolo e dell’intrattenimento, tra i più colpiti economicamente dall’inizio di questa emergenza. D'altronde, era sin dall’inizio prevedibile la chiusura di quelli che sono luoghi di assembramento per eccellenza, dato che è proprio nell’assembramento che è insito il loro scopo: nessuno in discoteca si è mai divertito in un locale vuoto o stando a debita distanza dagli altri. Chiunque in questi luoghi ha vissuto forti emozioni derivanti dal contatto e dalla vicinanza con l’altro; si vada a dirlo a chi in discoteca ha trovato l’amore della vita o, perché no, anche quello della serata, di stare a 2 metri di distanza l’uno dall’altro in pista.
La cultura non fa rumore
Questa nuova disposizione trova il suo motivo di essere nell’aumento del numero dei contagi, che da qualche giorno hanno ripreso la loro salita. Sia ben chiaro: massima solidarietà a tutti coloro che grazie al “mondo della notte” vivono e danno lavoro. Perché se per i più la discoteca è un luogo di divertimento, per molti altri significa sacrifici, lavoro e investimenti ingenti.
Tuttavia, le polemiche che sono susseguite a questa decisione aprono la strada a una doverosa riflessione sullo stato attuale del nostro Paese.
Paese dove, mentre da una parte il “mondo della notte” ha riaperto e richiuso, dall’altra il “mondo della cultura” non ha mai visto le sue porte riaprirsi: le scuole sono rimaste chiuse per mesi (e non è poi così scontato l’avvio dell’anno scolastico in presenza) e le università operano ancora in modalità a distanza. Le immagini delle discussioni delle tesi di laurea davanti un PC in cucina di casa è una delle immagini più emblematiche che porteremo con noi quando tutto questo sarà finito.
Il fatto che l’attività in presenza sia tutt’ora ferma non è da considerarsi di non poco conto, in quanto tutti conoscono i benefici di studiare e apprendere attraverso il contatto col docente in un setting che non sia la propria camera da letto.
In tutto questo, appare paradossale come lo stesso soggetto in fase di apprendimento non possa al mattino recarsi nelle aule universitarie con le dovute e doverose precauzioni che questa emergenza richiede, ma debba partecipare a “fredde” lezioni a distanza, mentre alla sera possa liberamente andare a divertirsi in discoteca.
I più sosterranno che il problema non è rappresentato in forma esclusiva dal mondo della notte, in quanto questo non è l’unico luogo dove il rischio di assembramento incontrollato è elevatissimo. Anche qui, la questione merita una doverosa riflessione da parte degli organi di governo politico, in quanto la questione e complicata e delicata nonché reale e attuale. L’emergenza sanitaria è ancora presente e i dati ce lo dimostrano quotidianamente, così come avvalorano il fatto che riaprire tutto incondizionatamente possa essere stata una misura troppo avventata.
Abbiamo faticato tutti tanto in questi mesi, e non solo noi sanitari: docenti, genitori, studenti, lavoratori, imprenditori, disoccupati. Tutte le classi sociali sono state colpite trasversalmente e sono state chiamate a fare numerosi sacrifici.
Non dimentichiamocelo, non rendiamo vano tutti gli sforzi fatti nei mesi scorsi. Forse si stanno già iniziando a dimenticare le strade deserte, le serrande chiuse, il non poter uscire dal proprio comune di residenza, il non poter camminare a più di 200 metri da casa.
Perché solo la memoria può far evitare di ricadere ben presto in tutto questo. E in un Paese dove la chiusura del mondo della notte crea più scandalo di quella del mondo della cultura non può che destare una più che giustificata preoccupazione.
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