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Il Rooming in dopo il Covid-19

di Redazione

Molto dibattuta durante la pandemia di Covid-19 è stata la gestione della diade madre-bambino dopo il parto così come l’allattamento: il virus non è stato ritrovato nel latte e solo pochissimi casi sono stati descritti in Cina così come nelle principali città italiane colpite dal virus, tra cui Bergamo e Milano, che hanno contratto l’infezione dopo la nascita a domicilio e sono stati poi riospedalizzati. I dati a disposizione attualmente non sono ancora sufficienti e la Società Italiana di neonatologia ha pubblicato le indicazioni ad interim il 22 marzo in accordo con le raccomandazioni di OMS, ISS, UNICEF e CDC, le quali differiscono in base al quadro clinico della madre.

Com’è cambiato il modello Rooming in durante l’era Covid-19

Nel Rooming in, anche durante l'era Covid-19, è necessario che i professionisti della salute favoriscano l'allattamento al seno

Secondo le Linee Guida del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) del 2012 si afferma che un neonato sano a termine dovrebbe essere tenuto a contatto pelle a pelle con la propria madre che ha avuto un parto vaginale o un taglio cesareo con anestesia epidurale subito dopo la nascita o non appena possibile.

A sostegno di quanto detto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’UNICEF hanno promosso il modello del Rooming in, che si definisce la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza in un tempo più lungo possibile durante le 24 ore, eccetto quello dedicato alle cure assistenziali; il modello è stato incentivato a partire dal 1992 attraverso l’iniziativa “Baby Friendly Hospital” al fine di garantire l’assistenza più efficiente ai neonati in tutti gli ospedali e di promuovere l’allattamento al seno con un’adesione di 157 Stati nei quali l’OMS e l’UNICEF hanno certificato 23.000 “Ospedali amici dei bambini”.

Il modello organizzativo del Rooming in viene suggerito in quanto propone alla madre una formazione sulle cure da dedicare al neonato per poter affrontare al meglio le difficoltà e per rilevare in maniera tempestiva eventuali segni patologici includendo anche il padre e gli altri componenti della famiglia per condividere le cure per il neonato.

Il neonato subito dopo la nascita viene asciugato, coperto con un telo e messo a contatto pelle a pelle con la madre per circa un paio d’ore o fino al momento della prima poppata; durante il primo contatto il neonato cerca il capezzolo grazie all’odore percepito della madre dando il via alla prima poppata.

Vari studi hanno dimostrato che il contatto con la madre subito dopo la nascita calma il neonato, favorisce il corretto attacco al seno, stabilizza il suo metabolismo e la temperatura corporea, regola la sua respirazione e il battito cardiaco e fortifica il legame madre-neonato. Inoltre, anche sulla salute materna determina notevoli benefici in quanto si sono riscontrati una diminuzione delle perdite di sangue post-partum, una ridotta incidenza di depressione post-partum e la riduzione del cancro al seno e all’ovaio.

Se il contatto pelle a pelle non avviene in maniera corretta è necessario che gli operatori aiutino la madre attraverso delle indicazioni verbali affinché siano raggiunte la posizione e l’attacco attraverso la tecnica hands-off. Pertanto, tutte le procedure rivolte al neonato, dalla profilassi emorragica e oculare alla misurazione dei parametri di crescita al bagnetto, possono essere ritardate.

Il contatto, considerati i vantaggi, può essere protratto anche dopo il periodo postnatale. Molto dibattuta durante la pandemia di Covid-19 è stata la gestione della diade madre-bambino dopo il parto così come l’allattamento: il virus non è stato ritrovato nel latte e solo pochissimi casi sono stati descritti in Cina così come nelle principali città italiane colpite dal virus, tra cui Bergamo e Milano, che hanno contratto l’infezione dopo la nascita a domicilio e sono stati poi riospedalizzati.

I dati a disposizione attualmente non sono ancora sufficienti e la Società Italiana di neonatologia ha pubblicato le indicazioni ad interim il 22 marzo in accordo con le raccomandazioni di OMS, ISS, UNICEF e CDC, le quali differiscono in base al quadro clinico della madre: se quest’ultima risulta positiva o sospetta, ma è asintomatica o con sintomi lievi sono raccomandati il Rooming in e l’allattamento al seno; in caso, invece, di sintomi respiratori o compromissione generali è raccomandata la separazione temporanea dal neonato e la somministrazione di latte estratto.

Inoltre, sono consigliati durante il Rooming in l’uso della mascherina, il lavaggio delle mani e la distanza di sicurezza dal neonato per prevenire la trasmissione del virus attraverso la via respiratoria sia durante l’ospedalizzazione sia al domicilio.

L’assistenza al neonato appartiene alle competenze professionali sia dell’infermiere che dell’infermiere pediatrico secondo il Decreto Ministeriale 739 del 14/09/1994 - che definisce l’infermiere come responsabile dell’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa - e il D.M. n° 70 del 17/01/1997 (“Regolamento concernente l’individuazione della figura professionale e del relativo profilo professionale dell’infermiere pediatrico”), che definisce l’infermiere pediatrico come responsabile dell’assistenza infermieristica pediatrica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa.

In ambito neonatale, sia l’infermiere che l’infermiere pediatrico valutano l’intervento assistenziale sia individualmente che in collaborazione con le altre figure professionali, supportano le mamme e le educano ai primi approcci nell’allattamento e nelle cure al neonato.

È necessario, quindi, oggi più che mai, che i professionisti della salute che rivolgono un’assistenza personalizzata e continua alle madri e ai neonati nelle strutture sanitarie e a domicilio implementino la spremitura del latte materno o il ricorso al latte umano donato evitando i sostituti del latte materno.

  • Articolo a cura di Anna Arnone - Infermiera

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