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Editoriale

C’è della neve tra il sangue

di Monica Vaccaretti

C'è dell'erba tra il sangue, disse Henry Dunant nel 1859, inorridito a Solferino. Tra il sangue, in Ucraina, c’è la neve. La Croce Rossa, già impegnata sul fronte di guerra, descrive scene devastanti di indicibile sofferenza umana. Sui campi di battaglia che sono diventate le città ucraine. Sulle strade che conducono alla porta d'Europa. Sulle frontiere dove si sono già ammassate oltre due milioni di persone in fuga. Una diaspora. Un esodo. Una catastrofe.

In Ucraina, uomini, infermieri e medici tornano per salvare vite

Nevica al confine polacco dove donne, anziani e bambini continuano incessantemente ad arrivare a piedi. Con un trolley. Una borsa di plastica, di quelle con cui si fa la spesa. Un carrello del supermercato. Con cani e gatti in braccio o nel trasportino. Chi ama, non lascia indietro nessun affetto. E bisogna essere leggeri, per scappare meglio. Arrivano anche gli uomini ma soltanto per accompagnare la propria famiglia. Poi tornano indietro perché gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono lasciare il Paese, sono prescritti per difendere la Patria. Sotto la neve si consumano addii strazianti di famiglie spezzate, divise. Indietro, nell'inferno ucraino, tornano solo gli uomini. A far compagnia agli animali, domestici e selvatici, abbandonati al terrore delle bombe. Indietro tornano anche infermieri e medici.

Noi non combattiamo ma è con il nostro popolo che dobbiamo stare

sento dire ad un cronista da alcuni sanitari che si incamminano verso l'Ucraina. Tornano agli ospedali, anche quelli da campo. Alle ambulanze. Alla loro gente. Anche se mancano farmaci e presidi medici. Manca ossigeno, secondo l'allarme dell'Oms, che serve per il Covid e per salvare vite, martoriate dalle ferite di guerra, sotto i ferri chirurgici.

Per un impegno di tale natura, non ci vogliono dei mercenari. C'è bisogno di infermieri ed infermiere volontari diligenti, preparati ed iniziati a questo lavoro e che, riconosciuti dai capi degli eserciti in campagna, siano facilitati e sostenuti nella loro missione. In questo secolo, accusato di egoismo e freddezza, quale fascino avrebbe per i cuori nobili e compassionevoli per i caratteri cavallereschi, correre gli stessi rischi dell'uomo d'armi, con una missione del tutto volontaria, di pace, di consolazione e di abnegazione, scriveva Dunant pensando alla sua Croce Rossa, ora in prima linea nei soccorsi in Ucraina.

Mentre percorro i sotterranei del mio ospedale per raggiungere lo spogliatoio ogni mattina, passando davanti al bunker della radioterapia, non posso non pensare ai colleghi ucraini che vivono e lavorano in ospedali cittadini in scenari di guerra. I corridoi sottoterra dei nosocomi, con tubi e condutture di ogni tipo e i quadri elettrici, non sono bunker. Gli ucraini vi hanno allestito reparti d'emergenza, buttato materassi a terra, raccolto i pazienti per proteggerli dalle bombe. Ma se crollano gli ospedali, nei sotterranei si resta sotto le macerie. Immagino Vicenza come Mariupol. Se capita in un posto può capitare anche in un altro. La guerra è in Europa. Le autorità ucraine hanno detto che medici ed infermieri sono degli eroi. Pragmaticamente fanno, come sempre, quel che devono fare tutte le professioni d'aiuto. Come le forze dell'ordine. I pompieri. I soldati. E tutti coloro che sono al servizio della società e tutelano il bene comune. Si fa, anche in condizioni estreme e disperate. Con la paura, come tutte le persone, ma si fa. Si diventa più forti quando si passa in mezzo ad inferni e poi, un giorno, prima o poi, quando tutto finisce, si crolla. Sotto il peso, non delle macerie, ma dei macigni che si hanno nel cuore dopo quel che si è vissuto.

Manca il pane, manca l'acqua. Le persone bevono la neve, si lavano con la neve. I carri armati la sporcano, di fango e sangue

Gli ucraini sono 44 milioni. Si stima che un quarto della popolazione fuggirà dall'Ucraina. Sono dieci milioni di persone. Quasi due milioni e mezzo di persone hanno già oltrepassato i confini. Due milioni sono ancora a Kiev, barricate. In Polonia, Moldavia e Romania le condizioni sanitarie sono allarmanti. Manca l'igiene personale, ci sono liquami ed assembramenti. Ci sono migliaia di brandine vicine, non si tengono mascherine. Non solo per proteggersi dal contagio di Sars-CoV2 ma da qualsiasi infezione. Ai confini manca la logistica, il coordinamento centralizzato da parte della protezione civile e dell'esercito. L'Onu chiede di poter consegnare in sicurezza gli aiuti umanitari nelle città assediate. La gente sta incominciando a morire di fame e di terrore. Manca il pane, manca l'acqua. Le persone bevono la neve, si lavano con la neve. I carri armati la sporcano, di fango e sangue.

Onore ai sanitari ucraini

È una guerra sul terreno. È una guerra d'informazione. È una guerra economica mondiale. È un'emergenza sanitaria. Servono misure emergenziali per tutto, ancora. Servono sacrifici di tutti per salvare gli ucraini e la pace. Sono scene di una violenza inaudita, che ci fanno precipitare un'altra volta in un abisso. Le trincee, le divise, le armi. I bombardamenti sui civili. La fame. Gli sfollati. A milioni. Le fosse comuni. Ci rendiamo conto davvero di quel che sta avvenendo? È il giorno diciannove di guerra. Io mi sveglio ogni mattina con una torsione dello stomaco. Diciannovesimo pugno.

La verità non annega nell'acqua e non brucia nel fuoco, dice un proverbio ucraino. Il resto è narrazione russa, falsa. Ma a me sembra che manchi da parte dell'Europa una visione storica e una visione strategica. Manca autorevolezza, coerenza, memoria. E mentre i governanti europei ragionano, parlano, sanzionano e sorridono, stonando, dalla reggia di Versailles, gli uomini ucraini tornano indietro a combattere, tra eroismo e resistenza. Gli uomini stranieri ex militari occidentali - inglesi, svedesi e olandesi - vanno dentro ad arruolarsi nella Legione Straniera Ucraina perché non si può stare a guardare. Gli uomini ucraini, già emigrati all'estero, tornano a casa per difendere la patria o per caricare in auto i profughi, per salvare più persone possibili della propria gente, facendo la spola dal confine polacco e moldavo.

Anche i sanitari tornano indietro a fare la loro parte, accanto ai militari e alla popolazione, tra eroismo e resilienza. Tornano indietro per far andare avanti le loro donne, i padri e le madri, i bambini. Per salvare quello che è rimasto dentro. Fino alla fine. Tra le bombe e le tombe. Nella neve, tra il sangue. Quello che scorre e quello che lega.

Onore ai sanitari ucraini.

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