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editoriale

Infermieri attenti a postare su Facebook

di Francesco Falli

Tutte le più grandi scoperte, e le più importanti invenzioni, legate alla storia dell’umanità hanno sempre generato vantaggi e svantaggi. Un esempio al riguardo è quello dell’impiego della dinamite, con la quale l’uomo, grazie alle sue caratteristiche, può costruire una comoda e confortevole strada fra montagne invalicabili o, purtroppo, può compiere efferate azioni delittuose.

I post o le visite ai social network sono vietati durante il lavoro negli ambienti sanitari

Infermieri Social Network

I social, che hanno negli ultimi anni completamente modificato il rapporto e la interazione di gran parte della popolazione mondiale, hanno anch’essi questa doppia potenziale opportunità di utilizzo: da una parte favoriscono lo sviluppo dei contatti fra le persone, con risultati inizialmente inattesi (i matrimoni fra persone che si sono conosciute on line sono in esponenziale crescita, per esempio) e dall’altro, se utilizzati impropriamente, possono esporre a concrete conseguenze negative proprio coloro che li usano con eccessiva disinvoltura.

In questo contributo, il taglio e la intenzione sono piuttosto semplici: condividere (per usare un termine molto in voga nel mondo social) spunti di riflessione su alcuni aspetti che andrebbero conosciuti, proprio quando ci affacciamo sui social network: questo, in generale, ma in particolare se ciò avviene nel nostro ruolo di professionisti sanitari.

Intanto, per chiarire qualche aspetto normativo importante (tranquillizzo subito i lettori: il passaggio è molto soft!) potremmo citare una recente sentenza, che ha chiarito il concetto della sanzione per chi, su un social network, insulta un altro individuo.

La Cassazione si è occupata, nel suo ultimo grado di giudizio, di una vicenda salita alla ribalta delle cronache e che era scaturita da insulti pesanti, rivolti all’allora commissario straordinario dell’ente Croce Rossa Italiana da un ex dipendente dell’ente stesso, su uno dei social più usati (al momento il più usato in assoluto): Facebook.

In sostanza, era stato superato quel limite (un po’ mobile) del diritto di critica.

La Suprema Corte ha spiegato (Cassazione penale, Sezione V, sentenza 01/03/2016 n° 8328) che "anche la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595, comma terzo, del Codice penale, poiché la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall'utilizzo per questo di una bacheca Facebook ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone”.

Altro passaggio di sicuro interesse è questo: “…bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca Facebook non avrebbe senso)” ed inoltre, l’uso di Facebook… “integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che proprio per il mezzo utilizzato assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti, al fine di una costante socializzazione".

La sentenza è interessante non solo per l’aspetto giuridico, ma perché riconosce a Facebook (e dunque anche agli altri social di principale utilizzo: Twitter, Linkedin, Instagram) un particolare valore del rapporto fra le persone, e ne ‘’fotografa’’ l’attuale incidenza in società.

Di conseguenza, diventa ancora più importante conoscere i limiti e ‘’le regole’’ (in gran parte non scritte) per posizionarsi su questi mezzi di comunicazione in forme e modi regolari e compiute.

Credo però che, assai più di tanti concetti e ragionamenti vari, le storie realmente accadute possono essere più istruttive e dunque anche molto educative.

Desidero anche ricordare che, alla nascita di questi favolosi strumenti di comunicazione (in questo inizialmente aiutati dalla novità, e da una relativa ‘’anarchia’’ nella possibilità di inserire ogni genere di opinione) molti utenti hanno decisamente sbagliato l’approccio, convinti di trovarsi – per fare un concreto esempio- al tradizionale bar sotto casa, dove generazioni di utenti hanno condiviso di tutto, fra una birra e un caffè.

Dove una battuta, una affermazione pesante, un apprezzamento volgare ‘’stanno’’ nelle discussioni, spesso aiutate dal tono della voce, dallo sguardo, dalla postura di chi le avanza; e così anche un insulto può essere accettato con una risata, subito respinto al mittente con un ulteriore rilancio, come in una partita di tennis allargata agli spettatori della ‘’contesa’’, che intervengono con facilità.

La stessa dinamica avviene sui social, con una grande differenza: nonostante le varie icone (emoticons), chiaramente manca la possibilità di una comunicazione metaverbale, e questo aumenta il rischio del precipitare della situazione: e il tutto – soprattutto - resta scritto, e può essere ‘’salvato’’ prima di una eventuale rimozione.

Ma, avanzata questa premessa, dobbiamo anche ricordare in particolare che non sono i rapporti fra gli amici del bar Sport (virtuale) a generare le azioni legali, quanto –più spesso - i rapporti fra i dipendenti e datori di lavoro.

Ecco un esempio molto netto: la dipendente di una ditta di ristorazione piemontese ha perso il lavoro, per aver condiviso su Facebook un post (dunque, qualcosa scritto da altri) che raccontava le lamentele di genitori che avevano trovato insetti nei cibi dei loro figli (notizia del 12.12.2015).

Prima di entrare nei settori più ‘’nostri’’, ricordiamo che, mentre molte Aziende sanitarie pubbliche e private si attrezzano alzando dei ‘’muri virtuali’’ che impediscono l’accesso ai social dai propri computer, in alcuni casi si sono già avuti (si tratta di realtà non sanitarie, spesso private) licenziamenti per un uso eccessivo dei social durante il lavoro, una attività retribuita evidentemente per altre funzioni.

Il provvedimento in questi casi (non isolati, ed anzi in crescita) è scaturito dopo la visualizzazione della cronologia degli accessi alla Rete, e anche di questo torneremo a parlare nei prossimi appuntamenti.

Il rapporto spesso critico, o nella migliore delle ipotesi ‘’un po’ superficiale’’ fra i professionisti sanitari ed i social network è un problema non soltanto italiano: poco più di un anno fa è stata pubblicata sul The Telegraph, un giornale britannico, la notizia che ben quarantamila Infermieri sono stati sottoposti a soggetti a sanzioni disciplinari (cfr "Nurses warned Twitter and Facebook no place for naughty pictures") per affermazioni su social legate alla propria attività.

Questi Colleghi hanno, in queste occasioni, violato aspetti di privacy o di trattamento dei dati; oppure hanno commentato situazioni organizzative, e descritto le inadeguatezze di altri dipendenti e/o delle strutture stesse, senza il …gradimento dei citati… rispetto a questi numeri, in Italia (fortunatamente) siamo ancora a poche centinaia di sanzioni, ma alcuni casi sono saliti alla ribalta della cronaca andando ‘’oltre’’ il contesto iniziale.

E’ il caso (un caso limite, certamente) di Lugo di Romagna, dove le indagini sulla morte di alcuni pazienti sono scaturite proprio dai selfie che la imputata (oggi già condannata in primo grado per omicidio) ha postato e condiviso sulla propria bacheca Facebook.

Però qui siamo evidentemente ‘’oltre’’, presenti in un fatto di criminalità che va oltre la frequentazione della Rete. A conclusione di questa prima parte, credo corretto rimarcare che, nonostante il desiderio di esprimere il proprio pensiero, e il diritto a farlo, l’uso della Rete, dei social, impone regole che sono oggi più chiare, soprattutto alla luce della sentenza citata.

Non si tratta di censura preventiva, ma di un uso consapevole, attento; va ricordato, anche quando l’istinto ci vorrebbe più… diretti, che si rischia molto nel pubblicare qualcosa che può essere vissuto come una offesa.

Ancora – ma su questo torneremo senza dubbio presto, con esempi concreti- si rischia oggi molto se il nostro ‘’commento’’ (magari con foto) ha a che fare direttamente con le attività sanitarie, specialmente se e quando coinvolgono l’assistito: vedi le fotografie pubblicate da personale in servizio nelle sale operatorie di alcune realtà ospedaliere italiane e straniere (famoso a livello mediatico fu un caso cinese), in alcune terapie intensive, in altri contesti decisamente delicati, con reazioni mediatiche piuttosto marcate: anche quando, e ciò appare evidente, la intenzione di chi pubblica le immagini è caratterizzata dalla voglia di ‘’apparire’’ in una determinata situazione, e non di ledere l’assistito: ma qui si entra nel complesso assetto etico di una professione sanitaria, e ne riparleremo, presto.

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Commenti (1)

Peppebre80

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1 commenti

la consapevolezza...quella sconosciuta

#1

c'è sempre meno attenzione verso le esigenze degli altri, l'unica cosa che conta è apparire...non importa se di mezzo c'è la privacy di un paziente o di operatorisalute...solo l'uso consapevole dei social può metterci al riparo da sconsiderate degenerazioni.